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Quello specchio degli anni ottanta chiamato “Drive in”

Il programma di Antonio Ricci 40 anni dopo. Ora la critica è d’accordo: raccontava un’epoca

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La caricatura delle abitudini degli italiani e della società anni ’80, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell’Italia del riflusso, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere. Par­liamo di “Drive In”, lo storico varietà di Antonio Ricci (nella foto grande e qui sotto, voce e chitarra-basso del complesso The Flymen nel 1969. Come solista ha vinto il prestigiosissimo “Festival della Canzone delle Terme di Ga­ressio”), andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, che il 4 ottobre ha compiuto 40 anni.
Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Benia­mino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Lu­ciano Salce, Lietta Torna­buoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti in­tellettuali e artisti dell’epoca definirono “Drive In” «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l’unico programma per cui vale la pena avere la tv». Il programma è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni».
Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Tra i personaggi mitici, il bocconiano rampante Sergio Va­stano, il paninaro sfigato Enzo Braschi, il vigilante Vito Catozzo di Giorgio Fa­letti e la top model pentita Antonia Dell’Atte. Senza di­menticare i monologhi di Gianfranco D’Angelo e la sa­tira pungente di Ezio Greggio, Enrico Beruschi e della mo­glie dell’onorevole Coccovace (Caterina Sylos Labini), le comiche di Benny Hill e le curve pop delle Ra­gazze (parlanti) Fast-Food. E ancora, le parodie dei film campioni d’incasso e dei telefilm (Bold Trek con la coppia Boldi-Teocoli). Ancora vivissimi i tormentoni lanciati dallo show: da «Troppo giusto!» ad «A me, me pare ‘na strunzata», «È chiaro ‘stu fatto», «Has Fidanken» e «Teomondo Scrofalo». A 40 anni dalla sua prima puntata, resta un’icona della televisione italiana, un programma che ha fatto ridere, pensare e riflettere su un’epoca che ha segnato profondamente il nostro Paese. E con la ricorrenza dei 40 anni “Drive In” ottiene an­che lo sdoganamento della sinistra, la sponda che l’ha sempre criticato e bistrattato perché simbolo dell’americanizzazione della società e del futuro berlusconismo. Ama­to e odiato per anni, in particolare per l’immagine che offriva delle donne, “Drive In” è protagonista di una riscoperta in occasione del suo compleanno. Silvia Fu­ma­rola firma su Repubblica un articolo in cui assolve lo show «come succede per i film dei Vanzina». «Per noi vale la regola della doppia lettura: non c’era sketch che non nascondesse un sottinteso, una denuncia o una battuta al vetriolo», ricorda Ezio Greggio. «Non c’era malizia, credo che le copertine dei settimanali dell’epoca, penso a Panorama o all’Espresso, fossero molto più sexy, noi eravamo solo la parodia. I balletti ironici e le donne facevano le battute. Credo che “Drive In” sia stato lo specchio ironico e critico, divertito, di quegli anni», aggiunge il co­mico piemontese. Greggio ricorda ancora quando lui, Ricci e il regista Giancarlo Nicotra andarono nell’ufficio di Silvio Berlusconi a fargli vedere la prima puntata che avevano preparato: «Silvio era seduto davanti a noi, ogni tanto si voltava. “Non è esattamente quello che vi ho chiesto”, ci disse, “ma intuisco che potrebbe piacere”. Ci ha fatto andare in onda, fu un successo pazzesco». Luca Beatrice esalta Drive In come «manifesto del postmoderno applicato all’intrattenimento»: «Ci sono voluti quarant’anni ma alla fine abbiamo avuto ragione proprio noi che da ragazzi ci siamo entusiasmati per lo show più strampalato, esilarante, adrenalinico, comico e sexy della tv».