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«Stop ai giudizi, affidiamoci alla pietas»

Da Canelli alla finale del Campiello, la scrittrice Marta Cai si racconta a IDEA: «Serve calma per prendersi cura»

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“Ho vissuto senza e­si­stere, sen­za mo­­strarmi, senza essere reale; davvero sono io a scrivere queste cose?”. “Queste cose” sono custodite in un diario, il confidente segreto di tante ado­lescenti, le pagine che nessuno è autorizzato a violare, il destinatario immaginario che non ti giudica e non ti ferisce. Soltanto che lei, Te­re­sa, di anni ne ha quarantasette. Teresa è la voce narrante di “Centomilioni”, il romanzo di Marta Cai edito da Ei­naudi e finalista al Pre­mio Campiello 2023. Una storia che alterna narrazione espres­samente rivolta al lettore, ambientata in un’anonima cittadina di provincia, tra mercati rionali frequentati perlopiù per acquistare del cibo, e frammenti di diario, sfoghi privati che invitano invece a inoltrarsi nelle pieghe di questa anima in pena, profondamente sola, che sopravvive tra quotidiani au­tomatismi e desideri impossibili. Di questo e d’altro parliamo con l’autrice, piemontese di Canelli e oggi residente in Brasile.

Marta, certamente non si tratta di un romanzo autobiografico, ma non c’è proprio niente di Teresa nei pensieri di Marta?
«Non mi nascondo dietro Te­resa ma conosco bene questo tipo di ambiente. Di “Terese” ne ho incontrate tante, nella realtà e attraverso casi di cronaca. E poi chissà, forse un po’ di Teresa ci sarà anche in me».

Senza voler anticipare troppo, c’è un momento in cui Teresa racconta una balla colossale riguardo al proprio corpo e sembra quasi riscattare la sua sudditanza di ge­ne­re (e non solo di genere).
«Infatti è la prima volta che lei dice un no e per dirlo trova nella menzogna sul suo corpo qualcosa di simbolico».

Come le è venuta quell’idea in particolare, che rinviamo al lettore?
«Da un racconto di Flannery O’Connor, “Brava gente di cam­­­pagna”, dove una parte del corpo della protagonista diventa fortemente simbolica».

Nella cittadina di pianura che descrive ho ravvisato qualche segno indiziario e ho creduto di riconoscere un po’ di Fos­sano, a cominciare dal mercato del mercoledì. Sbaglio?
«Io sono nata a Canelli, vissuta ad Alba, ho studiato a To­ri­no e ora risiedo in Bra­sile ma ho anche abitato a Fossano per un breve periodo e trovo che questa città riassuma be­ne i caratteri del basso Pie­monte, quanto a modo di vi­ve­re. A differenza di Alba, Fos­sano sconta il fatto di non avere un suo prodotto specifico e quando se ne vuole parlare bene si dice che è ben collegata. Co­me dire che il suo pregio è che è facile andarsene».

Di recente, proprio a Fos­sa­no, da Vitriol, ha presentato il suo libro: com’è andata?
«Benissimo. Vitriol è un bell’ambiente, alternativo».

In Brasile come si sta? E perché ha scelto di trasferirsi a Curitiba?
«Mio marito insegna lì, ma ero io che avevo voglia di “nuovo” e di “distanza”. Mi trovo bene, nonostante la sindrome dell’autoesiliato e i pensieri da “black humor” che ne derivano».

Tipo?
«Mi destabilizza non immaginare il mio luogo di morte. Ogni tanto penso alla lapide: Marta Cai, Canelli 1980, ma poi? Va’ a sapere…».

Teresa è stata anche definita “donna senza qualità”: nessun riferimento a Robert Musil?
«Mah, forse nella malinconia mitteleuropea. Anche se un riferimento più diretto è con “La pianista” di Elfriede Jelinek, agli ambienti piccolo-borghesi che tendono a smussare le personalità di donne e uomini che non devono emergere».

Il rapporto di Teresa con Alessandro, suo ex studente ri­emerso all’improvviso sca­­­tenando in lei quel che al lettore non rivelerò qui, mi ha fatto venire in mente il delitto di Gloria Rosboch, l’insegnante raggirata da uno studente a cui aveva consegnato tutti i suoi ri­sparmi dietro la promessa di un futuro felice.
«Quel fatto di cronaca mi aveva molto colpita e non mi era affatto piaciuta la resa mediatica di questa donna, raccontata come una povera ingenua che si era lasciata ingannare. Credo che come in Teresa sia da preferire una forma di pietà al giudizio freddo e crudele».

La pietà? Ne è convinta?
«Intendo la “pietas”, lo sforzo di capire il pathos dell’altro».

Cosa pensa della facilità con cui sempre più donne si la­sciano circuire anche su Internet?
«Penso che a monte ci sia una gran solitudine, che è la ma­lattia del nostro secolo. Ci so­no troppi vuoti che si cerca di colmare attraverso universi paralleli, che poi diventano una specie di droga. Perché, chi non ha piacere di svegliarsi e leggere un messaggio che dice “buongiorno, amore”?».

Ma può bastare il piacere di un’illusione?
«Sì, anche se una parte del nostro cervello lo sa. Ci pia­ce troppo essere amati e tut­to quello che interferisce con le nostre illusioni viene rimosso».

È un problema prevalentemente femminile?
«Sì, ma ci sono anche “Te­re­si” uomini. Poi è vero che la difficoltà di liberarsi da certi ricatti emotivi è maggiore tra le donne, forse per quella tendenza a tenerle strette con la scusa della cura».

Lei ha due figli: come è messa con la cura? Cucina o scongela?
«Cucinare mi genera ansia, mentre mi piace fare la spesa. A cucinare ci pensa mio ma­rito, che è flemmatico. Per­ché ci vuole calma per pren­dersi cura».

Ha presentato il suo “Centomilioni” a Fossano per “Granda in rivolta”
Marta Cai ha presentato il suo libro all’interno della rassegna “Granda in rivolta” che si svolge a Fossano, ogni primo lunedì del mese, alle 21, presso Vitriol.
Il calendario della manifestazione prosegue il 6 novembre con “Interurbane notturne e tatuaggi color pelle”, un dialogo tra Nicola Brizio e Simone Giraudi.
Altri appuntamenti il 4 dicembre con il poeta ligure Riccardo Olivieri; il 5 febbraio, con la tappa provinciale del Poetry Slam; il 4 marzo, con la poeta pugliese Mara Venuto; il 1° aprile, con il poeta bolognese Bartolomeo Bellanova; il 6 maggio, con un dialogo sulla poesia persiana tra il traduttore Francesco Occhetto e la performer Daniela Gazzera; il 3 giugno, con Francesca Del Moro, candidata al Premio Strega per la Poesia 2023.

A cura di Alessandra Bernocco