Negli impianti di nocciolo, la corretta gestione della concimazione in termini qualitativi e quantitativi consente di ottenere alcuni importanti benefici come il mantenimento di elevati livelli produttivi, la riduzione del fenomeno dell’alternanza produttiva e il miglioramento della resa in sgusciato. Inoltre, la fertilizzazione ha un impatto sull’ambiente per cui è necessario conoscere i periodi ottimali di apporto degli elementi e le tecniche operative che riducono l’emissione di gas serra nell’atmosfera. Il consiglio è di interrare sempre il concime durante l’intervento di distribuzione. Quali sono gli obiettivi della pratica? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Ribotta, responsabile provinciale della consulenza tecnica in campo di Cia Cuneo. Afferma: “In generale, nella concimazione post-raccolta si smista la maggior parte del fosforo e del potassio necessari alla coltura e una frazione di azoto che contribuisce a ripristinare la riserva della pianta e a prolungare il periodo della fioritura maschile migliorando l’allegagione: cioè la fase iniziale dello sviluppo dei frutti successiva alla fioritura stessa. In primavera, poi, si fornisce l’azoto al servizio dell’attività vegetativa della pianta e le restanti quantità di fosforo e potassio necessarie a coprire gli asporti colturali”.
Serve una programmazione? “E’ importante impostare un Piano di concimazione o, comunque, per potersi orientare nella scelta dei fertilizzanti, è consigliabile effettuare un’analisi del terreno e valutare bene lo stato vegetativo delle piante. In termini di dosi standard, gli interventi medi annuali sono: azoto, 70 chilogrammi per ettaro; fosforo, 40 chilogrammi per ettaro; potassio, 90 chilogrammi per ettaro. E’ preferibile apportare concimi con titolo basso in azoto e conseguente prevalenza di fosforo e potassio”.
Come agiscono azoto, fosforo e potassio
L’azoto è l’elemento nutritivo più importante per le piante, partecipa a costituire clorofilla, proteine e acidi nucleici. Nel terreno ne sono presenti diverse forme.
Il fosforo, oltre a un miglior sviluppo dell’apparato radicale delle piante, agevola la fioritura, l’accrescimento e la maturazione dei frutti. Si trova nel suolo in forme molto stabili e, quindi, difficilmente solubili ed è presente in forma inorganica nei fosfati minerali e in forma di fosforo organico in residui animali e vegetali.
Il potassio nella pianta regola la permeabilità cellulare; la sintesi di zuccheri, proteine e grassi; la resistenza al freddo, allo stress idrico e alle patologie; il contenuto degli stessi zuccheri nei frutti. Si tratta di un elemento chiave nella produzione in quantità e in qualità delle nocciole: dopo anni di studi è possibile sostenere che vi sia uno stretto legame tra resa produttiva e assorbimento del potassio”
Altri aspetti per la nutrizione di base delle piante di nocciolo
Azoto, fosforo e potassio sono considerati i macro-elementi di apporto per la nutrizione di base delle piante di nocciolo. Ma sono da considerare fondamentali anche altri aspetti necessari a ottenere i risultati migliori. Si tratta del pH, della sostanza organica e dei micro-elementi.
Spiega Ribotta: “La reazione pH gioca un ruolo essenziale nel regolare i processi biologici del suolo: dall’assimilabilità degli elementi nutritivi alla vita microbica. I terreni neutri – con Ph da 6,6 a 7,3 – presentano delle condizioni biochimiche ottimali per la coltivazione del nocciolo. Spesso, però, nei tipici terreni collinari utilizzati per impiantare l’albero, si riscontrano pH superiori”.
Quindi? “In questi terreni basici la solubilità di alcuni macro-elementi, come ad esempio il fosforo, e di micro-elementi, tende a diminuire. Per cui risultano meno disponibili per le colture con la conseguente manifestazione di sintomi più o meno gravi di carenze nutrizionali. E allora dal punto di vista pratico il consiglio è di utilizzare concimi a base organica che contengano anidride solforosa – reazione acida – e nei casi di eccessiva alcalinità iniziare un ciclo di correzione del pH apportando prodotti a base di zolfo, come lo zolfo lenticchiato, con dosi di cinque quintali per ettaro”.
La sostanza organica? “Il carbonio organico rappresenta la principale fonte di alimentazione per i microorganismi del terreno che agiscono trasformando la sostanza organica in elementi nutritivi per le piante. I livelli ottimali di sostanza organica sono intorno al 2-2,5%. Con valori inferiori all’1,5% si passa a una condizione di povertà del terreno con una serie di conseguenze negative per le piante”.
Cosa si può fare? “Nella normalità dei casi è necessario apportare letame bovino correttamente compostato e oggetto di umificazione, questo ogni 3-4 anni; digestati di accertata provenienza; stallatici di origine da letame o da matrici vegetali. Inoltre, è preferibile privilegiare l’utilizzo di concimi organici od organo-minerali che hanno una matrice organica. Poi, si può valutare l’applicazione dei microorganismi fondamentali per tutti i processi biochimici del terreno. Infine, un fattore positivo è rappresentato dalla pratica del sovescio ritenuta di fondamentale importanza per l’apporto di sostanza organica e per la termoregolazione del suolo nelle fasi di allevamento dei giovani impianti”.
I micro-elementi? “Il fabbisogno di micro-elementi in genere è soddisfatto dalla dotazione naturale del terreno. In alcuni casi si possono manifestare carenze che andranno gestite attraverso concimazioni fogliari nel periodo primaverile”.
Gli interventi possibili? “In linea generale non è consigliabile un uso eccessivo dei fertilizzanti fogliari, ma interventi in determinati periodi possono avere una notevole efficacia nel superamento degli stress e sulla qualità finale del prodotto”.
Le conclusioni
Riflessione finale di Ribotta: “La gestione del suolo, in cui rientra la fertilizzazione, è fondamentale per il benessere della pianta e la conseguente resa produttiva. In questi anni nei quali gli eventi climatici, scatenatisi in forme estreme, stanno portando a un rapido depauperamento della fertilità dei terreni e a notevoli stress nei normali processi fisiologici della pianta, la fertilizzazione non va più vista come solo nutrizione della pianta stessa. Gli input che diamo con l’apporto di fertilizzanti, matrici organiche e semine devono essere finalizzati all’innesco dei processi microbiologici del suolo con l’obiettivo di avviare il volano suolo-pianta in un contesto di autonomia del sistema”.