Dopo il successo al debutto nazionale di Brescia e i tantissimi applausi raccolti a Roma, dal 31 ottobre al 5 novembre arriva al Teatro Carignano di Torino “Il caso Kaufmann”, la trasposizione teatrale dell’omonimo e pluripremiato romanzo di Giovanni Grasso, giornalista e scrittore romano, nonché consigliere per la stampa e la comunicazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La storia narrata – che a teatro, con la regia di Piero Maccarinelli e la produzione del Centro Teatrale Bresciano, incontra un cast di altissimo livello, composto, tra gli altri, da Franco Branciaroli, Graziano Piazza e Viola Graziosi – è ispirata a fatti realmente accaduti. Siamo nel 1941 e ci troviamo nel carcere di massima sicurezza di Monaco di Baviera, dove stanno scorrendo le ultime ore di Leo Kaufmann, condannato a morte per aver commesso il reato di “inquinamento razziale”. Nonostante Kaufmann si sia sempre dichiarato innocente, la Corte di Norimberga ha infatti stabilito l’esistenza di una lunga relazione di carattere sessuale tra l’anziano ebreo e la poco più che ventenne “ariana” Irene Seidel, figlia del suo migliore amico. È la vigilia dell’esecuzione, e Leo chiede di poter vedere il cappellano. Non per una conversione in punto di morte, ma per far recapitare a Irene un ultimo messaggio. Davanti al prete cattolico, negli ultimi e angoscianti momenti prima della fine, Kaufmann ripercorrerà la sua drammatica vicenda, sconvolgente scontro tra odio e ingiustizia.
Grasso, Leo Kaufmann è una vittima del nazismo ma anche dei vicini di casa: sono infatti le loro calunnie a farlo finire sotto processo. Una storia di odio ancora attuale, non crede?
«Leo è prima di tutto vittima del nazismo. Non devono esserci dubbi. Senza le leggi razziali non ci sarebbe mai stata quella persecuzione. Leggi che, non bisogna dimenticarlo, punivano come un crimine gravissimo le relazioni tra gli “ariani” e le cosiddette razze inferiori, tra cui appunto gli ebrei».
Poi, però, a denunciare Leo sono stati i vicini di casa…
«È tristemente vero. Sono proprio gli abitanti del quartiere ad accendere un faro sulla vicenda. Una vicenda che poi diventa drammatica, oltre che ingiusta, quando Leo finisce davanti alla Corte speciale di Norimberga: qui viene messo di fronte a un giudice fanatico e fazioso; un “autentico” nazista che, pur di condannare Kaufmann, ricorre a metodi addirittura peggiori a quelli previsti dalle leggi razziali».
E, purtroppo, è una storia accaduta per davvero.
«Proprio così. Il processo e altri fatti che racconto nel mio libro si basano sui documenti autentici riguardanti le vite di Leo Katzenberger e Irene Seidel. Attorno alla loro triste vicenda, ho costruito il mio romanzo, in cui a essere frutto della fantasia sono solo i dialoghi dei protagonisti».
Chi è oggi Leo Kaufmann?
«Leo oggi vive in tutte quelle persone che, purtroppo, sono perseguitate a causa della loro diversità oppure per il fatto di appartenere a un’altra cultura o a un’altra religione. Guardando alla persecuzione nazista, uno degli aspetti più inquietanti è che tutto partì da un Paese civilissimo come la Germania: si compì una sterzata improvvisa che fece ripiombare l’Europa e il mondo in situazioni di odio, violenza e discriminazione che non si vivevano da secoli».
Le terribili notizie dal Medio Oriente confermano che, purtroppo, l’odio nei confronti degli ebrei non è scomparso.
«Gli ebrei, loro malgrado, hanno sempre rappresentato il capro espiatorio ideale. E oggi l’antisemitismo, purtroppo, continua a essere presente, a volte in modo latente, altre volte, come in questi giorni, in maniera decisamente più evidente. Peraltro, gli slogan dei terroristi di Hamas corrispondono proprio a quelli dei nazisti, la cui volontà era quella di cancellare gli ebrei dalla faccia della Terra. Tutto ciò, a mio avviso, è grave anche per un altro motivo: l’antisemitismo è la forma più evidente e simbolica di ogni razzismo e, comunque, della diffidenza e dell’odio nei confronti del diverso».
Qual è la differenza rispetto all’epoca del nazismo?
«La Germania nazista fece di questo odio un sistema giuridico, morale, politico e organizzativo; programmò addirittura uno sterminio e si raggiunse un livello estremo di atrocità che spero non venga mai più toccato».
Lei, persona parecchio sensibile a queste tematiche, cerca di stimolare le persone alla riflessione attraverso i suoi scritti, che ora sono anche opere teatrali. Sta lavorando a nuovi progetti?
«Ho in mente un romanzo differente rispetto agli altri che ho scritto finora: non sarà un racconto storico, ma narrerò una vicenda recente sotto forma di giallo esistenziale. Cercherò di guidare ognuno alla scoperta di sé stessi. Intanto, sarei felice se lo spettacolo de “Il caso Kaufmann” potesse arrivare anche nei teatri cuneesi: la Granda è una terra con valori importanti».