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«La certosa di Pesio è una comunità che sviluppa valori»

Padre Ermanno ci ha condotto nella visita di un luogo speciale che compie 850 anni: «Qui trovate spiritualità, storia, natura, ma anche un punto di incontro con i missionari»

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Casa, monumento na­zionale, memoria storica, ma an­che luogo di pace aperto e pronto ad accogliere, simbolo di spiritualità all’interno del Parco naturale del Mar­­guareis. Sono tante le storie che si incrociano lungo “il cammino” della Certosa di Pesio che quest’anno celebra 850 anni di vita. Fondata nel 1173, ha attraversato lungo i secoli alterne vicende. Punto di riferimento religioso, civile ed economico della Valle Pesio durante il medioevo, nel 1802 è svuotata dall’editto napoleonico che abolisce gli ordini monastici. A metà ’800 diviene un centro idroterapico per mano del ca­valier Giuseppe Arena. Nuo­vamente abbandonata, viene acquisita nel 1934 dai Mis­sionari della Consolata che la riaprono al mondo. Attual­mente ospita 5 padri missionari guidati da padre Ermanno Sa­varino che, in occasione degli 850 anni, l’hanno aperta ancora di più al mondo attraverso visite guidate, giornate spirituali, concerti, giornate di studio. L’ultima, dal titolo “La Certosa di Pesio: 850 anni di storia e spiritualità”, lo scorso 7 ottobre. Ne parliamo con Padre Ermanno.

«Il convegno ci è sembrato si­gnificativo, perché promosso insieme alla Provincia con l’organizzazione della Società di Studi Storici di Cuneo. Ha approfondito la storia, l’arte e l’architettura e le prospettive di valorizzazione e, attraverso l’intervento di studiosi di alto livello, ha riacceso l’interesse accademico sulla Certosa. È stato bello riallacciare questa relazione con il mondo universitario, riattivando quell’interesse che potrebbe far sì che studenti o laureandi possano studiarla in diversi modi, anche attraverso delle tesi, per comprendere il presente e immaginarne il futuro».

I festeggiamenti sono nati proprio da qui…

«Per organizzare le celebrazioni si era già cominciato a lavorare tra il 2019 e il 2020 con la creazione di un comitato promotore (composto da Pro­vincia, comune di Chiusa Pe­sio, Regione Piemonte, So­printendenza delle Belle Arti e Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Ao­sta, Istituto dei Padri Mis­sionari della Consolata ed Ente Parco Alpi Marittime, ndr). Lo scopo era di riaccendere i riflettori sulla Certosa, facilitando anche il tema legato ai restauri e riattivando non solo l’interesse delle Istituzioni ma della gente, affinché prendesse a cuore il monumento e la sua conservazione. Bisogna ricordare che questa è anche una casa abitata da una comunità missionaria che in qualche mo­do ne custodisce l’anima originale. Un luogo di Dio, forzatamente abbandonato nel 1802 e poi trasformato in stabilimento idroterapico».

Quanto ha inciso questa trasformazione sulla conservazione?

«Molto. A metà ’800 non esisteva una cultura del restauro. L’intervento può però essere letto in due modi: da un lato l’edificio è stato riadattato alle nuove esigenze persino con l’abbattimento di un secondo piano, forse in cattivo stato di conservazione; dall’altro ha permesso di tramandarlo sino al ’900. Se non fosse stata trasformata in hotel, forse oggi la Certosa sottoposta alle ingiurie del tempo non ci sarebbe più. La chiusura dello stabilimento portò poi a un successivo ab­bandono sino al 1934, quando la acquistarono i Padri della Consolata».

Una scelta coraggiosa in periodo di guerra.
«Era un momento in cui l’Isti­tuto Missioni Consolata era in piena espansione e c’era bisogno di case di formazione capaci di ospitare 60/70 novizi e con determinate caratteristiche: gli spazi, il relativo isolamento e la possibilità di condurre qui una vita un po’ spartana. Da questo incontro è nata una simbiosi che dura ancora oggi. Poi, finito il boom delle vocazioni, l’Istituto ha avuto l’intuizione di farne una casa di spiritualità. Un luogo offerto a tutti coloro che vogliono ricercare Dio, aiutati dalle caratteristiche uniche di questo luogo: il silenzio, la bellezza della natura, con una comunità di missionari che qui accogliesse le persone».

Quali attività offrite a chi viene in visita?
«Scuole della parola per giovani e adulti, esercizi spirituali, percorsi di preparazione al ma­trimonio, il ritiro per le famiglie di agosto, il deserto per i giovani, ospitalità a gruppi parrocchiali o scout che durante i mesi estivi vogliono fare qui i loro campi accompagnati an­che dai missionari. La Certosa è diventato un luogo offerto nella sua valenza spirituale ma anche monumento visitabile, turisticamente, storicamente, artisticamente significativo. Chi visita la Certosa può scoprire che è una comunità abitata, che fa proposte e accoglie. Un po’ come accaduto recentemente con le giornate del Fai. Il 14 e 15 ottobre, a cui hanno partecipato quasi 400 persone».

Entrerete nel circuito Fai, anche in un’ottica di restauro e conservazione?
«Con il presidente del Fai di Cuneo ci troveremo per valutare. L’esperienza più bella degli 850 anni e del comitato promotore che si è formato è stato trovarsi per ragionare su come potevamo fare le cose a partire dall’identità di ciascuno, per un bene comune. Ciò ha permesso, collaborando tra Enti, di conoscere le persone scoprendo una bel­la umanità, che ha vo­lontà di fare qualcosa per gli altri. Gli 850 anni non finiscono: sono stati un’occasione per allacciare relazioni, cominciare delle collaborazioni, dei processi che possono continuare. C’è ancora da camminare ma a partire da qualcosa di significativo che è stato fatto».

Articolo a cura di Erika Nicchiosini