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«Capitale cultura: la nuova storia di Langhe e Roero»

Intervista al direttore tecnico della candidatura albese-braidese, l’architetto di Milano Matteo Gatto

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Il “viaggio” di IDEA alla scoperta della candidatura di Alba Bra Langhe Roero a Capitale Italia­na della Cultura 2026 prosegue con un altro incontro si­gn­ificativo. Quello con Mat­teo Gatto, direttore tecnico del­la candidatura albese-braidese e anche di quella per portare Expo 2030 a Roma; tut­to questo dopo una serie di in­carichi di rilievo interna­zio­na­le che hanno permesso al­l’architetto lombardo di avere un ruolo da protagonista an­che all’Expo 2015 di Mila­no, vissuta da direttore della Visitor Experience e dell’Exhibi­tion Design.

Gatto, qual è il significato profondo della candidatura di Alba Bra Langhe Roero?

«Rinnovare le possibilità a disposizione dei turisti che visitano questo territorio e del­le persone che lo abitano, dando a tutti loro l’opportunità di scoprirlo in un modo nuovo. Come spiega bene il titolo del dossier, vogliamo raccontare “un’altra storia”, “una storia nuova”».

Perché “altra” e “nuova”?
«Il territorio di Langhe e Roero ha radici profonde nel­la cultura materiale e pure in quella artistica: pensiamo, solo per fare due esempi, a Fenoglio e Pavese. Tuttavia, i tantissimi turisti che scelgono quest’area per i loro soggiorni ne apprezzano soprattutto gli aspetti enogastronomici e paesaggistici».

È una cosa positiva, non crede?

«Certo. Anzi, sono tratti distintivi importantissimi, che vanno salvaguardati. Però, si potrebbe andare ben oltre».

Ovvero?
«A questi tratti peculiari se ne potrebbero aggiungere altri più culturali, delle “storie nuove” e “diverse”. Si potrebbero creare una filiera e un’in­dustria della cultura che in questo momento mancano, nonostante le basi siano già importanti: basti pensare alla cultura che c’è qui per l’im­prenditoria, per la cu­ra del paesaggio e l’enogastronomia».

Come si crea un’industria della cultura?

«Con un progetto di sviluppo specifico. Ed è proprio quello che abbiamo fatto con il dossier di candidatura. Mi spiego meglio: non ci siamo limitati a immaginare un cartellone di grandi eventi piacevoli e ac­cattivanti, sicuramente ne­cessari, ma abbiamo anche de­­finito un vero e proprio piano strategico che metta la cultura al centro dello sviluppo del territorio e che preveda al suo interno anche attività da proporre nel medio-lungo periodo finalizzate a rigenerare e dar vita a un’infrastruttura culturale».

Siete fiduciosi nella buona riuscita della candidatura?

«Certo, altrimenti non avremmo nemmeno iniziato il progetto. Crediamo molto nel valore del dossier. E se per qualche motivo dovesse an­da­re male, si potrà comunque sviluppare il piano strategico che abbiamo immaginato».

Quali potrebbero essere le ricadute?
«Oltre a quelle economiche – legate alla creazione di nuove imprese e di nuovi posti di lavoro -, ci sarebbero significative ricadute turistiche, perché il territorio diventerebbe fruibile dai turisti anche al di fuori della stagione del tartufo e delle nocciole. E le ricerche condotte per la stesura del dossier dimostrano che c’è sempre più interesse nei confronti di questa zona».

Ci dica di più.
«Gli studi effettuati dall’Uni­ver­­sità di Torino e da alcuni importanti istituti di ricerca dicono che queste colline sono desiderate, oltre che dai turisti, anche dai cosiddetti “no­madi digitali”, ossia quelle persone che conducono uno stile di vita “nomade” perché lavorano da remoto, utilizzando le nuove tecnologie. Ma non è tutto».

Prego, prosegua.
«Tante persone scelgono – per le loro vacanze o come nuova casa – Langhe e Roero perché sanno che qui la qualità della vita è parecchio alta. Ecco, sono tutti aspetti di cui bisogna tenere conto».

Qual è il suo rapporto con Langhe e Roero?
«Non ho ancora la conoscenza che hanno altri colleghi coinvolti nella candidatura. Pen­so, ad esempio, a Davide Ram­pello: lui, qui, è ormai di casa. Custo­di­sco comunque alcuni bei ri­cordi, tutti legati a Expo 2015, nell’ambito della quale ero direttore della Visi­tor Ex­pe­rience: il tema era la nutrizione e furono avviate in­teressanti collaborazioni con il territorio di Langhe e Roero e i suoi prodotti. Ci sarebbe an­che un aneddoto…».

Siamo curiosi.
«Il compianto ambasciatore Fran­cesco Paolo Fulci, al­l’epo­ca di Expo presidente di Fer­rero Spa, venne in elicottero a prendere me e il commissario unico dell’evento, Giu­seppe Sala: do­po aver sorvolato il sito espositivo dell’Esposizio­ne, volammo sulle Langhe e poi visitammo gli stabilimenti Ferrero ad Alba. Un’e­spe­rien­za indimenticabile».

Prima ha parlato di “vivere il territorio”. Cosa significa og­gi “abitare”?
«Ha un significato più complesso rispetto a qualche tempo fa. Le relazioni che le persone hanno con i luoghi che abitano sono rese sempre più complesse da una società in rapida evoluzione. Ci sono però alcuni aspetti che emergono: sempre più persone – come accade nel caso di Langhe e Roero – desiderano un luogo che possa garantire loro qualità del vivere, rapporto sostenibile con l’ambiente, relazioni felici e serene. E poi si ricercano inclusione e pace sociale».

La mobilità che ruolo ha?
«Importante, anche se oggi è tutto diverso con le nuove tecnologie: possiamo abitare un luogo fisicamente, ma frequentarne contemporaneamente un altro a livello digitale».

Uno scenario articolato…
«Sì, ma molto bello da indagare e studiare. Possibilmente, confrontando dei modelli. In questo senso, Langhe e Roero – immaginando magari delle migliorie per quanto concerne mobilità e sostenibilità – rappresentano senz’altro un esempio cui guardare con ammirazione».

BaNNER
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