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«È dalle imperfezioni che scaturisce la bellezza eterna»

Dalla famiglia che viveva di pastorizia al rapporto con le dive: Diego Dalla Palma si è raccontato a IDEA. Ed è partito dal suo primo amore: il teatro

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Ritorno alle origini per Diego Dalla Palma che presenta a teatro la sua opera prima, “Bellezza imperfetta – fra vacche e stelle”. Ma chi pensa che sia il solito show per non farsi mancare niente, sappia che non è un debutto: in teatro, Dalla Palma, ha esordito un bel po’ di anni fa. Come scenografo e costumista, quando i costumisti non si occupavano solo degli abi­ti ma esercitavano una supervisione generale che contemplava anche trucco e acconciature. Di qui, casomai, è nata la passione per il trucco. Col­tivando il teatro dietro le quinte e coccolando gli attori prima che salissero sul pal­co. Parliamo degli anni Set­tan­ta, precisamente tra il ’68 e il ’78, e gli artisti si chiamavano Al­berto Lionello, Enrico Ma­ria Sa­lerno, Anna Proclemer, Va­leria Mori­co­ni, Ornella Vano­ni, Da­lida, Va­len­tina Cortese, Rossella Falk, Giu­lia Lazzarini, che alcuni fortunati avranno il piacere di vedere in scena in una serata particolare.

Bei tempi, vero?

«Gli anni più belli della mia vita. Un’esperienza meravigliosa la­vo­rare con “montagne” di fascino e autorevolezza. Una lezione che non era soltanto tecnica, di mestiere, ma di fascino e comunicazione».

Giulia Lazzarini sarà anche una sorta di “guest star” in una del­le piazze della tournée.

«La più grande attrice in Italia. Sono estremamente felice che sia lei a leggere un passaggio che riguarda mia madre, il momento in cui prevedo di incontrarla nell’aldilà».

Lo spettacolo è un po’ la storia della sua vita, dove sua ma­dre occupa un posto di pri­mo piano.
«Portava il rossetto con una fierezza che pareva il magma di un vulcano in una notte di tenebra e il suo sguardo severo, prepotente, tagliava l’aria. Assomi­glia­va al­lo sguardo di Amália Ro­dri­gues quando cantava il fado».

Entriamo nel cuore dello spettacolo, un viaggio in sei sta­zioni: co­­raggio, diversità, do­lore, destino, consa­pevo­lez­­za e disciplina.
«Il viaggio della vita, se è una vita di qualità. Sono le stagioni attraverso cui passare perché l’esi­sten­za abbia un senso».

Cos’è la diversità?
«L’anticamera del fascino. Mi sono spesso trovato di fronte a donne e uomini dolenti, bullizzati per qualche particolare considerato “diverso”, poi osservandoli a lungo, nel tempo, mi rendevo conto di cosa li rendesse au­torevoli: la luccicanza».

Cioè?
«La bellezza eterna, che nasce dalle imperfezioni, dopo avere cam­minato a piedi nudi su terreni sassosi. L’aspetto fisico è legato alla giovinezza, ma ci sono persone che restano bellissime nel tempo perché acquisiscono la luccicanza. Virna Lisi negli ultimi anni era diventata persino più brava, aveva la luccicanza».

Virna Lisi? La fa facile così…

«Bisogna scegliere se si vuole ac­chiappare o se si vuole brillare; se in qualche mo­do si attraversano i disastri dell’esistenza, si ottiene una sorta di laurea, ti pos­sono danneggiare le malattie ma la luccicanza resta».

Non pensa che però l’aspetto fisico faccia la sua parte?
«Sì ma ci sono donne e uomini che sono sta­­ti bellissimi da giovani e che restano in­cagliati all’immagine di sé anche quando non gli corrisponde più, e allora ricorrono agli artifici che sappiamo per ottenere una bellezza che in realtà è solo illusoria».

Niente a che fare con la luccicanza, quindi…
«Niente. È rassegnazione, scompenso della mente, dolore non ela­borato, che invece di diventare alleato è soltanto nemico».

È contrario alla chirurgia plastica?

«Sono favorevole quando serve a salvare le persone da certe menomazioni. Giusto è curarsi, truccarsi con attenzione, usare i colori giusti, ma stravolgere i lineamenti o tatuarsi completamente, no. Ho visto un ragazzo che ave­va tutto il corpo e il viso tatuati: da vecchio sembrerà una lavagna di sporcizia. Ma perché dobbiamo cercare la felicità in un palliativo che poi diventerà un nuovo nemico?».

Però anche i canoni della bellezza sono mutevoli.

«Questo non mi spaventa, anzi i canoni devono essere mutevoli. Quello che mi spaventa è l’omologazione, che è il vero cancro del­la bellezza. Da decenni la bellezza è pilotata per generalizzare canoni che invece non possono appartenere a tutti. La bellezza è una categoria dello spirito, non una ragione dell’apparire».

Invece come la mettiamo con la bruttezza?

«La bruttezza è l’abbrutimento, sia rivolto a sé stessi sia al prossimo: un abbrutimento doppio che non fa che peggiorare la tua condizione».

Non insisto e spero lei abbia ragione…

«Ho convinto donne normalissime a tirare fuori una sensualità che non pensavano di avere».

Come?
«L’occhio all’ingiù, per esempio, è sensualissimo. Pensi a Marilyn, non aveva uno sguardo sensuale?».

La fa facile un’altra volta.
«Tutti gli occhi all’ingiù sono bel­li. I napoletani, che hanno gli oc­chi all’ingiù e il sopracciglio che scende, sono sensualissimi. E pure le occhiaie che danno l’idea di una notte passata peccaminosamente…».

Con il mascara che cola?
«Certo. Infatti, lo sguardo più sensuale è quello delle donne in­diane che massaggiano il kajal con il polpastrello del mignolo sulla palpebra inferiore».

Torniamo allo spettacolo: leg­go che per ognuna delle stazioni ha chiesto il contributo di al­trettanti autori che hanno scritto aforismi dedicati. Cito, a me­moria, Aldo Caz­zullo, Massi­mo Gramelli­ni, Stefano Zecchi.
«Li ho scelti in relazione alla loro esperienza con il mondo femminile, che li ha visti intelligentemente nel segno del confronto».

Infatti, sono tutti uomini, tran­ne una…

«Marina Terragni. Disse una cosa talmente bella che ho voluto citarla: la bellezza è vivere con la certezza che andrà perduta e quando la raggiungi si allontana beffarda ridendo di te».

E quindi, belli e brutti, non ci resta che provare a brillare. Sem­­­bra che lo spettacolo brilli molto. Effetti visivi di France­sco Lo Per­golo; musiche inedite di Cesare Picco, violoncellista in sce­na; voce recitante di Vera Dra­­gone. Il tutto diretto da Fer­di­nando Ceriani, che dice di ave­re voluto creare una eco emo­­tiva al racconto. È d’accordo?
«Con Ferdinando ci sono stati sintonia pura, alleanza, rispetto, misura e una vera complicità artistica».

Ci tolga una curiosità: cosa c’entrano le vacche?

«I miei vivevano di pastorizia e conservo dentro di me queste im­magini, amo gli impressionisti, Mario Rigoni Stern, il mio film preferito è “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi. Ma poi, d’altra parte, sono per la modernità assoluta, anche azzardata, mi emoziono di fronte ai maestri della grafica, cerco l’unione tra spiritualità e carnalità».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco