«Più educazione finanziaria e meno debito pubblico»

I consigli per rilanciare l’economia nazionale del banchiere e scrittore cerverese Beppe Ghisolfi

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Rapporto deficit-Pil, spread, finanziaria, tassi. Termini che ormai fanno parte del linguaggio comune, ma che non sempre sono conosciuti nel loro vero significato. Un aspetto non secondario, visto che l’economia è presente in maniera importante nella quotidianità di ciascuno. E, pertanto, la non conoscenza di determinate parole chiave diventa un problema. In provincia di Cuneo, da ormai diversi anni, c’è una persona che si batte per ov­viare a questa lacuna: è il cerverese Beppe Ghisolfi, esperto di finanza, banchiere, do­cente, scrittore e opinionista tv. Lo abbiamo intervistato.

Ghisolfi, da sempre il suo cavallo di battaglia è l’educazione finanziaria. Si sente un paladino?
«Mi sento più che altro un pioniere, come mi ha definito l’ex dirigente di Banca d’Ita­lia, oggi editorialista per Mi­lano Finanza, Angelo De Mat­tia. Proprio lui, qualche giorno fa, mi ricordava che io ho iniziato a occuparmi di queste tematiche trent’anni fa, quando cioè l’educazione finanziaria era una materia completamente sconosciuta».

E oggi, invece?

«Oggi, fortunatamente, qualcosa sta cambiando. C’è una sensibilità diversa, un’attenzione maggiore. Merito sicuramente delle tante iniziative che propongono istituzioni, enti e aziende».

La più significativa?
«Penso soprattutto alla Fon­da­­zione per l’Educazione Fi­nanziaria e al Risparmio (Feduf), costituita su iniziativa dell’Associazione Bancaria Italiana, grazie alla sensibilità e alla lungimiranza del suo presidente Antonio Patuelli. Tale ente propone e diffonde l’educazione finanziaria mettendo al centro i giovani. Lo fa organizzando eventi, concorsi, convegni e tante altre attività che hanno i ragazzi come protagonisti».

Devono quindi essere i giovani il punto di partenza?
«Informare e sensibilizzare i ragazzi deve essere una priorità assoluta. Certo, i risultati si vedranno più avanti nel tempo, ma bisogna concentrarsi sulle gio­vani generazioni se si vuole costruire per davvero una società più consapevole e più attenta a ri­sparmi e investimenti».

La prima mossa?
«Non mi stancherò mai di ripeterlo: bisogna rendere l’educazione finanziaria una materia di insegnamento scolastico obbligatoria. Se un tempo magari non era così indispensabile conoscere il significato dei termini finanziari, oggi le cose sono cambiate e di molto. Ignorare il significato di determinati vo­caboli del mondo finanziario significa incontrare difficoltà nella vita di tutti i giorni. Questa mancata conoscenza, ad esempio, complica addirittura la comprensione di un telegiornale, che ormai per la metà del tempo tratta temi di carattere finanziario».

Ci sono possibilità che l’educazione finanziaria diventi una materia scolastica?

«Qualche piccolo passo in avanti si è fatto. Da quest’anno, infatti, è previsto che alcune ore di educazione civica vengano impiegate per parlare di educazione finanziaria. Meglio di niente, sicuramente. Ma è troppo poco. Dobbiamo seguire senza in­dugi tutti quei Paesi che hanno già introdotto nei propri piani formativi l’educazione finanziaria».

I media, in questo senso, che ruolo possono svolgere?

«Un ruolo importante, di ac­compagnamento. Sarebbe uti­­le, ad esempio, che nei palinsesti televisivi, specie quelli della tv di Stato, venissero introdotte trasmissioni su questo tema. Penso, in particolare, a un programma settimanale che, in modo semplice e divulgativo, spieghi al grande pubblico il significato delle parole chiave del mondo finanziario. Un format simile a quello, di successo, che a ca­vallo tra gli anni Sessanta e Settanta, aveva per protagonista il maestro Alber­to Manzi».

Come inizierebbe la sua lezione di educazione finanziaria?
«Parlerei senz’altro di mutui, spiegando la differenza tra il tasso fisso e quello variabile, illustrando anche la possibilità, consentita dalla legge, di trasferire senza costi extra (la cosiddetta “portabilità”) il pro­prio mutuo in un’altra banca che offre condizioni più vantaggiose. Ma il primo termine di cui spiegherei il significato è spread».

In effetti, è una parola usata a dismisura, specie sui media generalisti…
«È un termine essenziale in quanto consente anche di comprendere il meccanismo del debito pubblico. E, di conseguenza, permette di capire perché le reali possibilità di investimento dello Stato sono sempre condizionate».

Qual è la situazione?
«Oggi l’Italia si trova a dover pagare 100 miliardi di euro di interessi sul proprio debito. Una cosa folle, soprattutto se si pensa che l’intera spesa per la scuola – dall’asilo all’università – si ferma a una cifra inferiore: 80 miliardi di euro. E quando cresce lo spread au­mentano pure questi interessi. Ci troviamo quindi davanti a una situazione complessa, con il bilancio che non concede le disponibilità che invece servirebbero».

Il consiglio ai risparmiatori?
«Bisogna affidarsi a interlocutori seri, come le banche e le so­cietà di intermediazione mo­bi­lia­re, e imparare a conoscere a fondo questo ambito e i suoi ter­mini: solo così potremo tutelare al meglio i nostri risparmi e com­piere scelte oculate».