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Don Gianolio: modello sociale che illumina il futuro

A un anno dalla nascita, la Fondazione ispirata al sacerdote albese ha dialogato con i ricercatori Aldo Bonomi e Salvatore Cominu

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A un anno di distanza dal suo battesimo, la Fonda­zio­ne Don Gia­­no­lio Ets ha te­nuto – presso l’Asso­cia­zione Commercianti Al­be­si – una conferenza che ha vi­sto al tavolo dei relatori il so­ciologo ed editorialista del So­le 24 Ore Aldo Bo­nomi, con Salvatore Co­minu, rispettivamente fondatore e ricercatore del Consorzio Aaster, i quali hanno dibattuto con Olindo Cervella e Fulvio Baratella, ovvero il presidente e il vicepresidente della Fon­da­zione Don Gianolio stessa. A moderare l’incontro il giornalista Roberto Fiori. Presenti i soci fondatori: oltre a Olindo Cer­vel­la, Felice Cerruti, Ama­bi­le Droc­co, Paola Ferrero, Giu­seppe Ga­leasso, Fran­ce­sca Sartore e Re­nata Siccardi, i soci partecipanti Caraglio, Elena Miroglio, Giu­seppe Miroglio, Mollo Srl, Sistemi 3 Srl, Stroppiana Spa, Paolo Zoccola e numerosi altri donatori. Hanno introdotto i lavori il benvenuto del presidente dell’Aca, Giu­liano Vi­glione, e l’intervento del sindaco di Alba, Carlo Bo, che hanno ricordato il ruolo fondamentale che don Giovanni Battista Gianolio ha avuto per il territorio albese-braidese sui temi del lavoro, della formazione, della creazione di competenze e dell’inclusione sociale.
Cervella e Baratella hanno spiegato che la fondazione è intitolata a don Gianolio proprio perché ha come mission quella di perpetrare quegli stessi obiettivi ma in un nuovo contesto socio-economico e culturale come quello attuale. È nata, in particolare, per dare una risposta al disallineamento fra domanda e offerta di lavoro e per cercare di offrire una possibilità alle persone «na­te con sogni e buoni propositi, ma pochi mezzi».

Don Gianolio, sacerdote controcorrente, visionario e illuminato, aveva anche ispirato le aziende Ferrero e Miroglio quando negli anni ’50 del secolo scorso decisero di favorire l’insediamento dei loro dipendenti nei pressi dei poli produttivi. Una sorta di «capitalismo dol­ce», co­me l’ha definito Bonomi. La Fondazione Don Gianolio ha già mosso i suoi primi passi, pubblicando un bando destinato a so­stenere chi vuole qualificarsi come operatore socio-sanitario ma che ha difficoltà logistiche ed economiche nell’accedere al relativo corso e supportando minori meritevoli nel loro percorso scolastico. In un cambio totale del paradigma del lavoro, non si tratta di contributi fini a sé stessi, ma di modalità orientate ad attrarre nuovi profili e nuove competenze per il territorio delle colline patrimonio Unesco. Agevo­lare quindi chi sceglie di spostarsi per studiare o trovare lavoro, ma anche trovare una soluzione agli squilibri abitativi per chi arriva da più lontano cercando di favorire una tutela e una facilità di accesso all’abitazione a prezzi calmierati. In un contesto sociale connotato da sempre meno nascite e che, soprattutto nel post pandemia, vede prendere piede nuove consapevolezze e scelte di vita, è fondamentale attrarre nuovi lavoratori e consolidare chi c’è, accogliendo e includendo. Con questi obiettivi la Fon­dazione Don Gianolio continuerà le azioni di raccolta fondi e collaborerà con un soggetto gestore che si occuperà di far emergere e reperire alloggi sfitti per soluzioni di co-housing, tipo studentato, interagendo con agenzie immobiliari, privati e cooperative sociali nel caso fossero necessarie azioni di accompagnamento.

Salvatore Cominu ha poi commentato i risultati di una ricerca campione svolta dalla Fon­da­zione Don Gianolio, partendo dalla considerazione che il bacino di chi cerca lavoro si sta assottigliando con un trend quasi inarrestabile ed è quindi inevitabile ricorrere a persone provenienti dall’estero come compensazione. Le imprese so­no passate dal “non trovare le persone giuste” a “non trovare le persone” mentre si continua a parlare di “mercato del lavoro” in modo inappropriato, in quanto non viene riconosciuto il giusto ruolo alle persone, che hanno va­lori e desideri. Il disallineamento obbliga quindi a guardare alla persona, nel vero senso del termine, e anche ai migranti, trovando la capacità di recuperare la radice storica del territorio per «saper guardare al di fuori dei muri dell’impresa», come ha rimarcato Aldo Bonomi. Pro­prio Bonomi ha proseguito l’intervento ribadendo la necessità di «ricordare il futuro», un ossimoro che rende bene il concetto di partire da quello che ha fatto don Gianolio proiettandolo in avanti, fino a costruire un «intelletto collettivo sociale», una nuova coalizione di territorio che ai giorni nostri non deve aspettare un prete santo che si metta in mezzo, ma deve trovare i mezzi e le sinergie per agire di concerto, tutti insieme. Dai dati presi in esame dalla Fon­da­zione risulta anche evidente co­me non si tratti di una transizione, bensì di una vera metamorfosi, un salto d’epoca. Occorre quindi comprendere che per le aziende il «fordismo dolce» che ha caratterizzato a lungo il territorio di Alba, Langhe e Roe­ro oggi non è più sufficiente. Dal concetto di «territorio», inteso come dimensione socio-politica ed economica, si deve ora passare a quello di «piattaforma», che non è un «di­stretto allargato» ma piuttosto un capitalismo delle reti che coin­volge abitazione, servizi e inclusione per arrivare a costruire un nuovo «intelletto collettivo sociale». Bonomi ha infine sottolineato come sia necessario con­frontarsi con le nuove “im­migrazioni”: «Biso­gna essere at­trat­tivi per i giovani. Bisogna ri­costruire la piattaforma sociale di don Gianolio adattandola ai tempi e proiettandola nel futuro».