Grazie alle emozioni (e alle lezioni) che lo accompagnano, lo sport sa essere anche luogo sacro di ispirazione tout court, per i più giovani ma non solo. Gli esempi degli sportivi e le loro storie di sacrificio possono infatti costituire per tutti un modello da imitare nell’approccio alla vita. Lo dimostrano, ad esempio, gli appuntamenti del progetto Fiöi (“ragazzi” in dialetto piemontese), realizzato dal Cuneo Volley. In occasione del primo incontro, rivolto alla “Formazione personale”, che ha avuto come protagonista il campione paralimpico Diego Colombari, abbiamo discusso di questi aspetti – e di tanto altro – con Eleonora Cottarelli, giornalista di Sky Sport e presentatrice della serata.
Cottarelli, che occasione è stata quella dello scorso 15 dicembre a Busca?
«È stata intanto l’occasione per fare un allenamento diverso. I ragazzi del Cuneo Volley che si sono ritrovati per ascoltare la storia di Diego Colombari hanno avuto modo di capire che nella vita possono capitarti delle cose a cui non sei preparato, ma che devi poi trovare il modo di reagire e di ritrovare un percorso che possa darti soddisfazioni e farti sentire completo. Credo che sia molto bella l’idea di Cuneo Volley. L’allenamento non è solo lo stare in palestra, ma anche essere preparati a trovare un piano B, un piano C e a volte anche un piano D. È un’opportunità bellissima che viene data a questi giovani».
Questo appuntamento ha consolidato il suo legame con il territorio cuneese.
«Già conoscevo sia la realtà sportiva legata alla pallavolo che il territorio. Quando sono entrata a Sky, ho iniziato dal volley e spesso mi sono ritrovata a fare il “bordocampo” durante le partite di Cuneo. Grazie a Gabriele Costamagna e a Davide Bima – presidente e direttore generale del Cuneo Volley -, essere riuscita a trovare delle situazioni positive che vanno ben oltre lo sport è stato molto bello. Ho trovato una platea di persone davvero interessata a quello che fa il territorio. Un territorio che mi pare essere ricco di idee: è un aspetto che vale moltissimo. Direi che mi sento un po’ cuneese, a piccoli passi procedo in questa direzione. Sono tra i “fiöi” pure io».
La serata ha messo in evidenza il valore sociale dello sport, di sicuro tra i più importanti. Quali altri elementi, in particolare, la affascinano di questo mondo?
«Sapere che si deve lavorare. Tante volte pensiamo che le cose arrivino per fortuna. È sicuramente una componente, ma se non si abbina la fortuna al lavoro non si può andare da nessuna parte. Si può avere talento per qualcosa, ma senza lavoro non si riesce a essere la stessa persona che avresti potuto essere lavorando. Penso che sia la componente talento più lavoro a portare al successo; anzi, lavoro più talento. Cambiare l’ordine degli addendi, in questo caso, cambia parecchio le cose».
Quando ha capito di voler diventare una giornalista sportiva?
«Volevo fare la giornalista sin da piccola. Prendevo il giornale di mia nonna e, nascosta in bagno, curavo il mio finto tg, canticchiavo la sigla e annunciavo i programmi. Con la mia amica del cuore, poi, facevamo il giornale del condominio, avvolgendolo nella pellicola della cucina e costringendo i condòmini ad abbonarsi. Dopo i primi articoli per il giornalino della scuola, visto che il mio grande sogno era quello di fare l’inviata in Oriente, all’università ho studiato Lingue Orientali. Ho sempre pensato che, per raccontare qualcosa, si debba riuscire a parlare con le persone».
Di lì tante esperienze, fino all’arrivo a Sky.
«Ho avuto la possibilità di cogliere diverse occasioni, facendo uno stage per una radio a New York, collaborando con qualche giornale locale e lavorando in una tv privata di Padova. Ad un certo punto, a Sky Sport cercavano degli stagisti. Partita dalla pallavolo, sono poi stata assunta e ho iniziato un percorso che mi ha portata alla conduzione del telegiornale, ma anche alle Olimpiadi, ai Mondiali di rugby e a tanto altro».
Agli inizi della sua carriera, è stato difficile superare quel pregiudizio tipicamente maschile che attanagliava l’ambiente?
«Non l’ho mai avvertito. Credo fortemente che una donna abbia potenzialità enormi per fare tutto quanto. Trovo che ci possa essere magari la difficoltà di non aver praticato un determinato sport, cosa che all’inizio può essere un limite, ma – vista da un’altra prospettiva – anche una possibilità per raccontarlo in modo diverso. Ogni tanto capita di ricevere complimenti del tipo “bella e brava”, che ad un uomo non farebbero, ma in generale credo che l’essere donna nello sport dia uno sguardo e una sensibilità diversi».
Cosa consiglierebbe ad un giovane con la sua stessa passione?
«Innanzitutto di imparare le lingue, in modo da arrivare a tante persone, ma soprattutto a molte storie, che per lo sport sono preziose. È poi utile imparare ad essere curiosi: interessarsi a più cose possibili consente di entrare in contatto con mondi differenti e di parlare di cose diverse. È infine fondamentale essere felici di farlo, avere l’entusiasmo. In tutto ciò, penso non sia possibile fare solo quello. Consiglierei quindi di provare tanti mestieri, di quelli stagionali, per maturare esperienze e imparare a cavarsela. Quello serve di sicuro, innanzitutto a noi come persone».
Negli ultimi anni si sta occupando prevalentemente di tennis. Crede che il 2024 sarà l’anno del primo Slam per Jannik Sinner?
«Sì. Ci avviciniamo a degli anni in cui vedremo e godremo di un atleta di un livello superiore. È un ragazzo che ha saputo avere coraggio, mettendo il lavoro davanti a tutti e a tutto. Ha una mentalità e una predisposizione straordinarie, le ha sempre avute sin da ragazzino. Un suo allenatore del circolo, una volta, mi disse che Jannik aveva la stessa testa anche a tre anni: in genere potrebbe non essere un complimento, ma nel suo caso lo era».
Dal punto di vista personale, invece, c’è qualche sogno nel cassetto per il nuovo anno?
«Intanto il 2024 è anno olimpico, tornerei volentieri a vivere l’atmosfera dei Giochi. Ho avuto la fortuna di essere a Londra 2012 ed è stata l’emozione più grande della mia vita. Non so se si realizzerà quest’anno, ma prima o poi mi piacerebbe riuscire a fare una trasmissione sportiva legata ai bambini, facendomi raccontare la loro prospettiva su certi campioni e seguendo il loro punto di vista puro».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo