Enrico Nada è presidente della Coldiretti Cuneo da maggio 2022: anno particolarmente complicato per emergenze climatiche, guerre e burocrazia sempre più invalidante. «Nonostante le difficoltà noi siamo sempre al fianco dei nostri iscritti, che oggi sono 26 mila, per cercare soluzioni» dice Nada.
L’emergenza climatica, in particolare la siccità, mettono a dura prova le coltivazioni. Nel Cuneese quali sono le più colpite?
«La mancanza di acqua è il fattore che ha condizionato di più produzioni e mercato. Pensiamo che il Cuneese e l’Astigiano sono le zone con la più alta percentuale di siccità a livello europeo. E la situazione è sempre più difficile. Assistiamo ad un crollo della piovosità, in certe zone, come nella Langa, dove attualmente è a livello dei paesi del Nord Africa. Una volta poi c’erano periodi di siccità che si alternavano a momenti di grandi piogge. Oggi non si riescono più a recuperare, le falde sotterranee si sono abbassate molto, in montagna non nevica più e tutte le colture sono in affanno. Nella viticoltura i danni sono enormi, la produzione di Moscato si è ridotta del 15-20 per cento, perdita che va a incidere direttamente sul reddito delle aziende. Anche le nocciole patiscono, in più in quelle zone il terreno è poco argilloso e non trattiene l’acqua. A tutto questo l’anno scorso si è aggiunta la grandinata devastante di inizio luglio. La difesa da questi fenomeni è complicata e andrebbe messa a punto in anni di lavoro. Ma non c’è tempo».
Quali strategie state mettendo in atto?
«Negli anni non sono mai stati fatti invasi per la raccolta dell’acqua. Oggi sarebbero vuoti. Bisogna pensare a strutture più piccole e gestibili, anche dal singolo agricoltore o da due o tre aziende insieme. Invasi più piccoli che possono anche essere riempiti più facilmente. Per le viti bisogna pensare a porta-innesti che si approfondiscano di più, oppure provvedere a mettere erbe o verde tra le piante delle coltivazioni per proteggere il terreno dal sole e limitare la perdita di acqua. Altro problema, gli acquedotti: oltre il 50% della loro portata va perso a causa delle tubature obsolete e non può essere recuperato».
Gli allevatori come possono affrontare il problema della siccità?
«La situazione è complicata, immagini la transumanza delle greggi su pascoli brulli, un disastro. In questi ultimi anni abbiamo assistito al progressivo aumento del prezzo del fieno e dei mangimi. Aumento dovuto alla scarsità di erba e alla guerra: si pensi che l’Ucraina era considerata il granaio di Europa. In tutto questo entrano in gioco anche le speculazioni ma è un altro discorso purtroppo. Credo sia fondamentale per il nostro Paese una sempre maggiore autonomia sul reperimento delle materie prime».
Un altro grande problema per le coltivazioni è la presenza dei cinghiali, com’è la situazione?
«È sempre più grave, ormai è fuori controllo. Il danno alle colture è enorme, ormai ci sono agricoltori che rinunciano a seminare il mais perché i cinghiali passano solco per solco e si mangiano tutti i semi. Per non parlare della sicurezza stradale: nelle vie di collina e montagna sono un pericolo costante. Noi chiediamo di snellire le procedure per l’abbattimento e di far intervenire l’esercito. Purtroppo le nostre richieste si scontrano con le proteste di animalisti da salotto che parlano senza conoscere i problemi e fanno di tutta un’erba un fascio. I danni che provocano questi animali sono enormi per l’agricoltura, mentre i rimborsi sono inadeguati e ritardati da inutili lungaggini burocratiche».
La presenza dei lupi è meno preoccupante?
«Per ora si, anche perché sono in numero molto inferiore rispetto ai cinghiali nonostante il Cuneese sia il territorio più popolato d’Italia. Spesso in montagna le greggi vengono assalite, gli animali che salgono negli alpeggi tornano decimati. Così ci sono allevatori che lasciano i pascoli, aziende che chiudono, un fattore in più che provoca l’abbandono dei territori».
In che modo la Coldiretti è a fianco dei propri iscritti nel combattere gli ostacoli della burocrazia?
«Siamo sempre al fianco dei nostri tesserati, chi ha bisogno sa che troverà appoggio e sostegno nei nostri uffici. Di recente la Coldiretti ha ottenuto dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida il decreto che posticipa l’introduzione e l’applicazione della normativa europea sul cambio di etichettatura. Grazie a ciò sono state salvate cinquanta milioni di etichette per il vino made in Italy che erano messe a rischio dalle nuove norme Ue, norme che impongono l’inserimento degli ingredienti e dei valori nutrizionali in etichetta (legge che è entrata in vigore l’8 dicembre scorso). Fermo restando che contestiamo queste nuove norme europee e non permetteremo che storia, cultura, economia e occupazione enoica vengano minacciate o cancellate da infausti, infondati e superficiali tentativi di colpevolizzare un’eccellenza millenaria, inserita a pieno titolo nella dieta mediterranea, riconosciuta Patrimonio Unesco. Come tale, infatti, anche l’alimento-vino, consumato con consapevolezza, concorre a garantire i benefici, che fanno guadagnare all’Italia il primato europeo, e il secondo posto mondiale, per longevità. Sarebbe opportuno che l’Unione Europea iniziasse a ragionare e agire in maniera puntuale. Ci sono argomenti per i quali non si può continuare a standardizzare. Abbiamo avanzato anche una proposta di legge per l’etichettatura delle carni con indicazioni sulla razza dell’animale e chiarezza sulla provenienza. Deve essere sempre più semplice scegliere il prodotto locale che noi vogliamo valorizzare, sempre accanto alle realtà anche le più piccole. Per questo motivo abbiamo di recente ricostituito le consulte del prodotto che nel frattempo hanno consentito, ad esempio, per la nostra frutta di trovare importanti acquirenti anche fuori dal nostro territorio, garantendo in questo modo guadagni ulteriori e precisi ai nostri produttori. Con un occhio al biologico, sempre più diffuso anche grazie all’aumento della domanda e ai prezzi più contenuti».