Oscar Farinetti, imprenditore fondatore di Eataly e scrittore, è in giro per l’Italia a presentare la sua ultima fatica editoriale «Dieci mosse per affrontare il futuro». Il libro è un ponte, che unisce il passato, quello di tutti, e il futuro, quello di ciascuno. In un mondo incerto e competitivo, spazzato da venti di guerra, crisi politiche ed emergenze, spesso l’avvenire fa paura, ma c’è un modo preciso per non lasciarsene sopraffare: progettarlo, giorno per giorno, seguendo dieci semplici mosse.
Quali sono le regole che spiega nel libro?
«Saper gestire l’imperfezione; saper individuare le priorità; pensare locale e agire globale, e viceversa; saper narrare (perché un fatto non narrato non esiste); “from duty to beauty” (dal dovere alla bellezza); “never ever give up” (mai arrendersi); restare giovani; saper copiare (quindi essere consapevoli che esistono persone che hanno più talento di noi); saper cambiare. Infine, le tre parole fondamentali: coraggio, ottimismo e fiducia».
Un testimone d’eccezione spiega queste regole per il successo, di chi si tratta?
«È Leonardo Da Vinci, che le aveva già previste e provate tutte e che non a caso era un genio. A lui mi rivolgo come interlocutore ideale per dare autorevolezza ai miei dieci consigli, e a lui, in cambio, racconto a mia volta alcune storie. Quella dei giovani rivoluzionari del Maggio ’68 che immaginarono il futuro e quella di Marilyn Monroe che non riuscì a costruirselo; quella di Che Guevara che tentò di cambiarlo e quella di Andy Warhol che volle trasfigurarlo, o di Miles Davis che riuscì a colorarlo. E altre ancora, per finire con una riflessione su ciò che letteralmente lo alimenta, il futuro: il cibo, che unisce tradizione e innovazione, piacere immediato del gusto e valore permanente della sapienza gastronomica. Lo stesso Leonardo, pochi lo sanno, era un intenditore del buon cibo. Le dieci mosse che suggerisco sono passi di una costruzione che non si improvvisa e che non si compie da soli: occorre un’intelligenza collettiva che può nascere solo da una profonda cultura condivisa».
Il libro è dedicato alla generazione Zeta, perché?
«È quella che ci salverà. Quando sono in università, con la scusa di fare lezione in realtà faccio solo domande. Innanzitutto, dico ai giovani di non accettare consigli dalla nostra generazione. Ho scoperto che i ventenni sono fantastici, hanno il concetto di sostenibilità proprio dentro. L’80 per cento dei ragazzi di 20 anni a cui ho chiesto se volevano un figlio ha detto di sì: è la prima generazione che è nata consapevole di non ereditare un benessere maggiore rispetto a quello dei propri genitori, come invece valeva per le generazioni precedenti. Il nostro compito è quello di aiutarli il più possibile. Sono molto meglio di noi, non hanno preconcetti e possiedono una grande apertura mentale».
Tra le mosse per affrontare il futuro, parla del saper gestire le imperfezioni: che cosa significa?
«Faccio un esempio: è come la torre di Pisa che pende ma non cade, e proprio per questo è così famosa. E proprio per la necessità di saper gestire le imperfezioni mi sono rivolto a Leonardo, perché è il “re dell’incompiuto”, che amava di più cimentarsi in nuove opere senza concludere necessariamente quelle precedenti; così infatti afferma Da Vinci all’interno del libro: “Godo in sovrappiù a provarci che a farcela”».
Napoleone Bonaparte rappresenta il never give up (arrendersi mai), perché lo ha scelto?
«È toccato a lui perché quando fu intervistato dopo la sconfitta contro il duca di Wellington, i giornalisti gli chiesero perché la Francia avesse perso la battaglia, e la risposta di Bonaparte non ha bisogno di ulteriori commenti: “Ho perso perché i francesi hanno combattuto cinque minuti in meno degli inglesi”. Bisogna sempre lottare 5 minuti in più dell’avversario, basta questo per vincere».
Quello che manca spesso agli italiani, lei dice, è il coraggio di cambiare, una delle sue regole per il futuro. Siamo abitudinari?
«Einstein affermava: “la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”. Il contrario dello stupore è la mancanza di curiosità, “chi è abitudinario, chi non sa comprendere lo scenario in cui vive e agire di conseguenza, è già vecchio, e non sarà mai felice”. Così conferma Leonardo all’interno del libro, e nei suoi dipinti che colgono proprio l’essenza del movimento: “Il moto è causa di ogni vita”».
Infine, coraggio, ottimismo e fiducia, sono le parole chiave per il futuro?
«Assolutamente si. Il coraggio che nasce dalla paura, quando si impara a gestirla; l’ottimismo che consiste nel pensare che i problemi si risolveranno, e la fiducia. Se penso al futuro penso al provarci. La fortuna te la devi andare a cercare: il futuro dobbiamo cercarlo attraverso il pensiero dell’armonia e della bellezza. Dobbiamo cambiare noi per creare il nostro futuro».
Lei sottolinea come il tasso di fiducia degli italiani è più basso di quello dei cittadini del Bangladesh, come lo spiega?
«Cos’ha il Bangladesh più di noi? È più bello? Impossibile, noi abbiamo 55 siti patrimonio dell’umanità Unesco, siamo i primi al mondo, loro ne hanno tre. È più ricco? Il reddito pro-capite degli italiani è 14 volte quello dei bengalesi. Mentre in Sicilia e in Campania il tasso di povertà ed esclusione sociale è attorno al 50 per cento della popolazione. Qualcuno ha teorizzato la decrescita felice. Che non esiste. La decrescita è infelice per definizione. Intanto perché contraddice la natura umana, lo stimolo a migliorare la nostra vita che è il segreto dell’evoluzione dal “più grande uomo del Pleistocene” a oggi. E poi perché la storia insegna che il prezzo della decrescita ricade sempre sui più poveri. Il Bangladesh è un Paese giovane. Noi, con i giapponesi, siamo il popolo più vecchio al mondo. E meno male, ripeto, che abbiamo i ventenni. Loro ci salveranno».