Francesco aveva 18 anni e stava camminando sul marciapiede con un amico, dopo una serata al cinema. Fu travolto dall’auto guidata da una 23enne ubriaca. L’investitrice è stata condannata a 5 anni, ai genitori del ragazzo è rimasto il dolore. Inesprimibile. E un’urgenza, quella di un impegno totale nel nome della sicurezza stradale. Per evitare che il dolore si moltiplichi. I genitori di Francesco sono due giornalisti del Corriere della Sera, Paola Di Caro e Luca Valdiserri. Proprio con lui abbiamo approfondito il tema. «Sono statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ci dice – : a 30 all’ora il pedone si salva 9 volte su 10, a 40 invece 7 su 10, a 50 solo una volta e mezza su 10. C’è differenza nell’impatto tra i 30 e 50. Spesso mi si dice: a trenta devo stare con il piede in tensione e guardare troppo il tachimetro. Ma a trenta non ammazzi nessuno, a 50 sì: c’è anche tutela per il guidatore».
Bisogna limitare tutti i rischi.
«Al volante siamo sempre più distratti. Mio papà al massimo poteva accendere la radiolina, adesso il guidatore riceve tanti stimoli via Whatsapp o altro. Se vai più piano, non ammazzi nessuno e salvi anche la tua vita. Bisogna decidere se esiste un numero ipotetico di vittime che sacrifichiamo all’idea che non si possa andare più piano».
Nelle vie centrali cittadine c’è chi sfreccia ad alta velocità…
«Con mia figlia dovevamo spostarci nella zona centrale di Roma. Siamo partiti alle 8,15 di mattina in pieno traffico, sul navigatore abbiamo visto che siamo andati a una media di 9 chilometri all’ora. Altro che trenta».
Ma c’è chi ha fretta.
«A quell’ora a Roma bisognerebbe prendere la bici o il monopattino per andare più veloci. Ma quelle stesse strade, alle tre del mattino, le trovi vuote e puoi pure andare a 80 all’ora. Però se qualcuno attraversa la strada all’improvviso come fai? O interiorizzi il limite o si continuano a provocare incidenti, c’è sempre chi passa col rosso o si sta facendo un selfie. Non possiamo decidere noi quale sia la velocità giusta, ci deve essere un cartello che vale anche se la strada è vuota».
E sulle strade di campagna, fuori dalle metropoli?
«Se trovi nebbia e non vedi a un metro, ti devi adattare, ma sempre a scendere. Se piove a dirotto e la strada è dissestata, scendi ancora. Per spirito di sopravvivenza. Non pensando di essere come Hamilton. Uno studio della Sapienza di Roma su come ci vediamo alla guida, ha evidenziato che in media ci assegniamo un bell’8,4 mentre gli altri meritano meno di 5. La colpa è sempre degli altri, sottostimiamo il pericolo che è ovunque».
All’estero ci sono norme più rigide?
«In Olanda ho preso la multa perché andavo a 56 all’ora, se non avessi pagato non sarei potuto rientrare. Ho pagato. È chiaro che i controlli e la certezza della pena rappresentano un deterrente formidabile»
Perché da noi non succede?
«La polizia stradale ti dice che adesso ha meno persone in servizio. Servono più controlli, ma chi li fa e con quali mezzi? In teoria, anzi per legge, il 50% dei proventi delle multe deve essere reinvestito dai comuni nella sicurezza stradale. È così? Il problema è che questo dà la stura a personaggi come Fleximan e a chi dice che gli autovelox servono solo per fare cassa. In un Paese come il nostro questo è il problema più grave?».
Ci sono anche i dossi.
«L’autovelox è aggirabile, rallenti e riparti. Il dosso, se vai veloce, ti fa prendere una bella botta alla macchina. Lo capisci subito che vai troppo forte».
Le sentenze sono adeguate?
«Quella sull’omicidio di Francesco è stata scritta molto bene, con rispetto per la vita di mio figlio, individuando una responsabilità e un comportamento scriteriato. Per noi era importante – al di là che non avremmo messo mai in discussione il verdetto – che uscisse chiaramente che Francesco camminava sul marciapiede. Perché in tanti casi in cui la vittima è sulle strisce, comincia una terribile commedia. Ci sono misurazioni, si fanno calcoli per stabilire la frenata, le perizie durano mesi. Nel caso di Francesco c’era poco da discutere».
E la sentenza di Casal Palocco?
«L’unica certezza è che il ragazzo alla guida del suv era incensurato, mentre la ragazza che ha investito Francesco era già stata fermata una volta in stato di ubriachezza, chiara aggravante. Può far discutere perché uno che ha ucciso un bambino di 5 anni non si farà un giorno di carcere, ma bisogna vedere le motivazioni del giudice. La legge ragiona in modo diverso, non usa il buon senso».
Quello che serve a noi.
«Se per esempio nelle meravigliose Langhe abbiamo bevuto una bottiglia di un fantastico rosso, aspettiamo due ore o magari fermiamoci a dormire dopo un tagliolino al tartufo con barolo. Così la mattina dopo non siamo positivi all’alcol test».
I giovani che incontra nelle scuole sono più consapevoli?
«Per quanto riguarda alcol, droga e leggi più severe, tranquilli che in città come Roma sono più un problema dei cinquantenni che dei diciottenni. Non fatico a far passare il messaggio “se avete bevuto, non guidate”. Il problema è “non usate lo smartphone alla guida” perché per loro è come una terza mano».
La tecnologia però può salvarci.
«L’Onu ha un programma che prevede entro il 2050 zero vittime sulle strade: può essere attuato solo con la guida dell’intelligenza artificiale. Le statistiche indicano che nel 93 per cento dei casi decide la componente umana, anche quando cade un albero su una macchina c’è l’errore umano per la mancata manutenzione o altro. A Roma un ragazzo, Leonardo Lamma, è morto cadendo in moto dove c’erano lavori stradali segnalati male, i genitori hanno potuto riaprire il caso».
Una questione complessa?
«Faccio un esempio. Guidi in una giornata di sole tranquilla, ascoltando la radio con i tuoi. Si mette a nevicare. Immediatamente smetti di parlare, stai con le mani strette al volante e massima attenzione. Dovrebbe essere qualcosa che facciamo sempre, non solo sulla strada ghiacciata».
Ci sono esempi da seguire?
«Gli inglesi hanno ridotto il numero di morti e incidenti. Se devono comunicare un lutto specie se la persona è giovane, hanno agenti formati psicologicamente che ti dicono “Francesco ha avuto un incidente” non “suo figlio”. L’agente che si occupa del caso ti lascia il suo numero, non quello del centralino. Così ogni volta non devi ripetere cosa è successo… E seguono le tre E: education, nelle scuole; enforcement, con leggi e controlli che funzionano; engeneering, cioè la tecnologia. Oggi le auto leggono già i cartelli stradali. Da noi l’autostrada del Brennero è informatizzata. Ma in italia i parchi macchina sono tra i più vecchi, anche per ragioni economiche. Servirebbero incentivi, magari per le auto elettriche e magari per i neopatentati. Sarebbero aiuti importanti».
CHI È
Come ha scritto lui stesso: «Per quasi 40 anni sono stato Luca Valdiserri del Corriere della Sera, cronista sportivo che ha girato il mondo. Dalla notte tra il 19 e il 20 ottobre sono diventato “il papà di Francesco”, investito e ucciso a Roma mentre camminava sul marciapiede insieme a Nicco, il suo grande amico»
COSA HA FATTO
Giornalista sportivo, ha seguito in particolare negli anni le partite della Roma per il Corriere della Sera. Nel luglio scorso ha sposato in Campidoglio la moglie Paola Di Caro, collega del Corriere, davanti alla figlia Daria e onorando una promessa fatta anche a Francesco
COSA FA
Oggi è impegnato con la moglie nella promozione di ogni misura che possa migliorare la sicurezza stradale (nella foto in alto è con l’artista Wuarky autore di un murales dedicato a Francesco)