Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela del Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che raccoglie 568 aziende, ha appena concluso l’ottava edizione di Grandi Langhe 2024: trecento cantine hanno presentato in anteprima le nuove annate delle Docg e Doc di Langhe e Roero alle Ogr di Torino.
La manifestazione è stata ancora un successo, in crescita di anno in anno, potrà arrivare a fare concorrenza al Vinitaly?
«Noi ci crediamo e non potrebbe essere altrimenti. I numeri ci danno ragione: a questa edizione hanno partecipato 300 aziende e 40 erano in lista d’attesa. Abbiamo avuto 5 mila visitatori. Le Ogr, la location che abbiamo scelto da tre anni a questa parte, è un luogo strategico per rimarcare la crescita nazionale e internazionale della manifestazione e consolidare il rapporto con la città di Torino. Migliora così di anno in anno la rappresentatività all’evento delle aziende vinicole di Langhe e Roero che raggiungono quest’anno cifra tonda e coprono quasi la totalità delle aziende associate al Consorzio. Dopo aver avuto come ospiti il Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte, quest’anno la novità è stata la partecipazione attraverso un grande banco d’assaggio del Consorzio Alta Langa. L’intenzione è quella di tendere la mano ad altri territori per rappresentare al meglio l’intera regione vitivinicola piemontese. Sempre con l’organizzazione del nostro consorzio, sia chiaro. Questo evento ha successo perché è organizzato direttamente dai produttori che sanno cosa è meglio per le aziende. E sono e vogliono restare indipendenti dalla politica e da altri enti».
Com’è la situazione della produzione?
«Il 2023 è stato un anno molto caldo, con una grande siccità. Per fortuna però le zone del Barolo hanno scampato le grandi grandinate e i terreni trattengono di più l’umidità rispetto ad altre vigne. La qualità è un concetto importante ma non sufficiente, la cosa importante è l’unicità, la riconoscibilità e questa è data da pochi fattori: clima. suolo, tradizione, quello che i francesi chiamano terroir. Noi siamo fortunati ad avere vitigni che fanno grandi vini qui e non in altre zone, poi lavoriamo su vini da monovitigno e terzo pilastro della nostra qualità e unicità sono le aziende familiari, che danno la caratterizzazione unica e irripetibile dei nostri prodotti. Se togli questo pilastro il resto rischia di omologarsi».
Che cosa significa non omologarsi?
«Il nostro prodotto deve essere riconoscibile. Ed è sempre più difficile riuscirci perché i vitigni sono internazionali. Ma se i vini hanno tutti lo stesso gusto, vince chi vende a prezzo più basso, a discapito della qualità. È importante cercare di mantenere il legame tra il proprietario e chi il vigneto lo coltiva. Sempre meno langaroli vanno a lavorare le loro vigne, è un problema legato alla manodopera. Nelle aziende familiari c’è stata un’evoluzione: le nuove generazioni magari una volta lavoravano in vigna, poi hanno fatto la scuola enologica, sono passati in cantina e la vigna non la guardano più. Con la terza evoluzione adesso girano il mondo a vendere il vino, fanno gli export manager. Il futuro è questo, ma nei nostri territori rimane anche la possibilità di incontrare in cantina il produttore. Le due cose possono coesistere e sono vincenti».
Bisogna convincere i giovani a tornare tra le vigne?
«Sono discorsi complessi. Io dico solo questo: più vigneti pianti, più hai impatto ambientale, più hai problemi con la manodopera e quindi con le cooperative, più hai vino da vendere e più i prezzi rimangono bassi. Questo è un tipo di sviluppo e non dico che sia positivo o negativo. Un altro tipo di sviluppo è se fai una crescita consapevole, dove hai meno vigneti, meno impatto ambientale e inquini di meno, hai una gestione forse un po’ più etica della manodopera, hai meno vino da vendere e lo fai ad un prezzo più elevato».
Le prossime iniziative del Consorzio?
«A fine marzo saremo a New York: oltre 160 nostre cantine presenteranno le nuove annate di Barolo e Barbaresco negli Stati Uniti presso il Center 415 dove già nel 2020 era stato organizzato il primo Bbwo. Gli Stati Uniti, come dicevo, sono tra i nostri migliori clienti. Una iniziativa in cui crediamo molto, inoltre, è la Barolo & Barbaresco Academy – Langhe Wine School: un percorso di formazione intensivo su due livelli promosso e organizzato dal nostro Consorzio. È rivolta ai professionisti del mondo del vino che intendono approfondire la conoscenza sui vini e sul territorio, con l’obiettivo di creare una rete globale di ambasciatori delle Langhe. Il percorso formativo di primo livello è articolato in moduli di tre giorni dedicati alla storia e alla geologia, alla parte pedoclimatica, ai vitigni e all’enologia: una full immersion fra lezioni in aula, degustazioni, pranzi in abbinamento e tour guidati condotti da docenti di alto livello, selezionati fra le personalità più autorevoli del panorama enologico piemontese. Il secondo livello prevede un ulteriore passaggio di approfondimento con tre giorni di lezioni tra marketing, geologia, viticoltura ed enologia, accompagnati da degustazioni didattiche e corredati da un esame finale volto a individuare i nuovi Langhe Wine Ambassador».
Il Barolo punta sulle esportazioni all’estero, quali sono i numeri?
«Per l’80 per cento la produzione di Barolo viene esportata, il nostro vino piace molto negli Stati Uniti, in Canada, in Inghilterra, Germania e Svezia. Un discorso legato al nostro turismo che è enogastronomico e del quale sono protagonisti, oltre agli italiani, moltissimi tedeschi, svizzeri, austriaci e francesi».