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«Non con i governi ma con lo Stato: ecco i carabinieri»

Gianni Oliva spiega a IDEA quale è stato il tratto distintivo dell’Arma nei suoi 200 anni di storia

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«È sempre stato il corpo militare che ri­spon­de a chi rappresenta lo Stato e non a chi rappresenta il Governo». Secondo lo storico Gianni Oliva, questo è uno dei tratti salienti della storia dell’Arma dei Carabinieri, a cui ha dedicato un saggio edito più di trent’anni fa e ristampato più volte (“Storia dei carabinieri dal 1814 a oggi”, Mondadori editore). Nei giorni scorsi l’ha presentato a Cherasco, in un appuntamento della rassegna Cherasco Racconta. Oltre al presidente dei carabinieri cheraschesi in congedo Gian­ni Cabutto, erano presenti il colonnello Giuseppe Carubia, comandante provinciale dell’ Arma, e il tenente colonnello Lorenzo Repetto, comandante della compagnia di Bra.

Proprio quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario della fondazione del corpo. Era il 13 luglio 1814 quando il re di Sardegna Vittorio Emanuele I lo istituì, con l’obiettivo di aumentare la sicurezza pubblica. La sua storia si intreccia da subito con quella del territorio. Poco più di un mese dopo, il 16 agosto di due secoli fa, a Cherasco apre una delle pri­me caserme dell’Arma dei domini di casa Savoia. «Vit­torio Emanuele I prese a modello la “gendarmerie” di Napoleone, che affidava l’ordine pubblico alla presenza costante e ben distribuita sul territorio – ripercorre gli eventi Oliva, 71 anni -. Questa caratteristica è rimasta co­stante nel tempo. Ancora oggi, se ci pensiamo, ci sono stazioni dei carabinieri anche nei piccoli paesi. Nelle grandi città, ce n’è quasi una per quartiere. Un’organizzazione di questo tipo permette davvero di avere il polso su tutto il territorio, anche se, nei primi anni, i carabinieri erano un corpo militare di dimensioni ridotte».

Quali erano i criteri per essere ammessi?
«Bisognava essere capaci di leggere e scrivere. Nei primi decenni dell’Ottocento, poco più del 2% della popolazione era in grado di farlo. I primi carabinieri si occupavano soprattutto di funzioni di polizia politica. Per esempio, intercettavano le corrispondenze sovversive. Ecco perché non potevano essere analfabeti. Già da quegli anni, emerge un tratto distintivo che caratterizza tutta la storia dei carabinieri».

Quale?
«Sono sempre stati il corpo militare che risponde a chi rappresenta lo Stato e non al Governo. Le Regie Patenti, con cui venne istituito, lo mettevano alle dirette dipendenze del sovrano. Così i carabinieri sostennero prima la causa assolutista, poi si schierarono con i realisti, quando nel 1848 ci fu la svolta liberale di Carlo Alberto. Pensiamo alla Carica di Pa­strengo: Carlo Alberto rischia di essere colpito dai soldati tirolesi e i carabinieri lo salvano. Oppure al 25 luglio 1943».

Quel giorno, Benito Mussolini fu arrestato su ordine del re d’Italia Vittorio Emanuele III.
«Fu proprio un capitano dei carabinieri a eseguire l’arresto del Duce. Il re, che lo aveva ordinato, era il capo dello Stato. L’Arma ha eseguito l’ordine senza tentennamenti. Tre anni dopo, nel 1946, alcuni temevano che i carabinieri si sarebbero schierati al fianco del re, se al referendum avesse vinto la Repubblica. Invece non è stato così e hanno continuato a rispondere a chi rappresenta lo Stato. A Napoli, i manifestanti cercavano di assaltare la caserma di Capodimonte e i carabinieri hanno respinto l’assalto».

Ci furono dei momenti in cui i rapporti tra l’Arma e il potere furono particolarmente tesi?
«Per esempio il 1964, l’anno del cosiddetto Piano Solo. È il piano di emergenza speciale per l’ordine pubblico fatto predisporre dal comandante generale Giovanni De Lo­renzo. Prevedeva che i carabinieri occupassero anche questure, sedi di partiti e sindacati in caso di una situazione di emergenza estrema. Fu percepito come un tentativo di colpo di stato, creando scompiglio. È evidente che non fosse quello l’obiettivo. Quel­la lettura era frutto del clima di quegli anni, quando, in più momenti, si temette la realizzazione di un colpo di stato più di quanto non sia mai stato realizzato».

Come mai definisce ambivalente l’immaginario collettivo dei carabinieri?
«La gente li invoca al momento del bisogno e li teme al momento della trasgressione. L’esercito interviene in guerra e in situazioni straordinarie, mentre i carabinieri sono i titolari dell’ordine pubblico nella quotidianità delle nostre città. Sono parte del sentire comune, da duecento anni».

Negli ultimi anni, in più circostanze, alcuni esponenti dell’Arma sono finiti al centro delle cronache per episodi di abusi, presunti soprusi e scorrettezze. Uno dei più recenti: il carabiniere che, a Milano, scandisce a un’anziana manifestante che Mat­tarella non è il suo presidente. L’Arma deve fare i conti con un’area grigia di alcuni suoi componenti che seguono metodi, ideologie e comportamenti poco ortodossi?
«Ci sono episodi da condannare senza giustificazioni, come è stato fatto da più parti. Le forze dell’ordine, d’altro canto, come tutto ciò che ci circonda, sono specchio della società. Nell’ambito di un Paese con tante aree grigie, a più livelli, anche l’Arma non è immune da alcune devianze da fermare e contrastare. Ma ogni generalizzazione è una banalizzazione pericolosa e scorretta di un tema complesso».

Uno sguardo al futuro: dai suoi studi, cosa immagina dovrà cambiare nell’Arma per affrontare le esigenze di domani?
«Da qualche anno non ci sono più requisiti fisici, per esempio legati al peso e all’altezza, per il reclutamento. È giusto che la legislazione punti a eliminare barriere e divieti, in un’ottica sempre più inclusiva. Credo, però, che per alcune professioni è bene conservare certe specificità. Una fisicità solida può essere indispensabile per chi deve garantire l’ordine, soprattutto in quelle situazioni più movimentate».

 

Il suo libro è stato presentato a Cherasco dove venne aperta una delle prime caserme

Un folto pubblico ha assistito, la sera di mercoledì 31 gennaio, alla presentazione del libro “Storia dei Carabinieri: dal 1814 a oggi”, scritto dallo studioso torinese Gianni Oliva. La serata, inclusa nella rassegna “Cherasco incontra”, è stata organizzata dalla sezione cittadina dell’Associazione nazionale Carabinieri, in collaborazione con l’Am­ministrazione comunale e l’associazione Cherasco cultura. Un successo di partecipazione che testimonia la vicinanza delle persone ai carabinieri. Oliva ha ripercorso due secoli di storia. Dalla fondazione del Corpo, avvenuta nel 1814 per volere del re di Sardegna Vittorio Emanuele I, all’assassinio del generale dell’Arma Carlo Alberto Dalla Chiesa nel settembre 1982 a Palermo. Una vicenda che si è intrecciata con i principali eventi nazionali e che è passata anche per Cherasco, come potete leggere nell’intervista in questa pagina: nella Città delle paci infatti venne aperta, il 16 agosto 1814, una delle prime caserme dell’Arma dei domini di casa Savoia.

Articolo a cura di Luca Ronco