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«Per ogni reperto c’è un’avventura da raccontare»

Il direttore del Museo Regionale di Scienze Naturali a Torino, il cuneese Marco Fino, ci guida alla scoperta della nuova struttura riaperta dopo una pausa di 10 anni

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Un successo travolgente quello della riapertura del Mu­seo di Scienze Na­turali di Torino, chiuso dal 2013 per un incendio che ha rimesso in discussione tutto l’allestimento con imponenti lavori di ristrutturazione. Die­cimila prenotazioni in soli quindici giorni dall’apertura, lo scorso 13 gennaio, sono un buon punto di ripartenza. Sia­mo an­dati ad intervistare il nuovo direttore, l’ingegner Mar­­co Fino che ci accompagna per una visita personalizzata: conosce IDEA, ne ha sempre apprezzato i “racconti del territorio” e il “suo” museo è, in fondo, un grande insieme di racconti strettamente legati agli eventi del Piemonte, dove tra l’altro pare che milioni di anni fa scorazzassero i rinoceronti. «Que­sto mu­seo ha una storia unica perché le sue collezioni sono frutto di studi ed esplorazioni che ripercorrono soprattutto il nostro ’800 piemontese e che hanno avuto un’indiscussa dignità scientifica. Molti reperti racchiudono delle vere e proprie avventure ed è importante contestualizzarli con informazioni che ri­creino lo spirito dell’epoca. Il tricheco del Duca degli A­bruzzi non deve rimanere solo un simpatico animale impagliato: sapere che dietro la spedizione del 1900 nel Mare Artico che l’ha fatto arrivare qui ci sono uomini che hanno rischiato la vita per la conquista del Polo Nord, è un’altra ottica».

Viaggi intorno al globo promossi per interessi naturalistici si intrecciano a missioni di­plomatiche e interessi commerciali.
«Sono state imprese straordinarie che spesso noi ignoriamo, ma che qui vengono documentate con precisi pannelli didascalici. Abbiamo dei pezzi unici che già di per sé sono valori assoluti, come il meteorite o l’animale estinto, ma la vera peculiarità di questo posto è che ogni reperto ha una storia da raccontare ed è giusto divulgare questo patrimonio che fa parte della nostra cultura».

Gli animali esposti, dal grande orso bianco agli insetti più piccoli, restano indubbiamente la prima fonte di coinvolgimento emotivo, ma cosa si intende col termine tassidermizzati?
«È un procedimento che permetteva di studiare gli animali suddividendone il corpo in pel­le, che dava la sagoma una volta ricostituita internamente con materiale di recupero, scheletro, rimontato per studiarne struttura e movimento, e organi, analizzati ma non conservati».

E questo è stato anche il destino dell’elefante Fritz che in­con­triamo a metà percorso, diventato ormai il simbolo del museo.
«L’animale che mi affascina maggiormente è forse però quella tigre himalayana che ha saputo ispirare la fantasia di Salgari, assiduo frequentatore del primo nucleo espositivo».

Percorriamo la sala dell’Arca dedicata alle esplorazioni, sempre spettacolare con il grande scheletro di una balenottera spiaggiata a Bordi­ghera, per giungere alla crociera dove un video mapping ci immerge in una realtà di abissi marini. «Qui uno spazio eventi, collegato alla Sala delle Mera­viglie, permette di accogliere il pubblico per incontri che auspico possano contaminare la scienza an­che con altri campi, come quello dell’arte». Le sezioni aperte sono attualmente cinque: paleontologia, zoologia, botanica, entomologia e mineralogia; la biblioteca è consultabile su richiesta, il bollettino continua a pubblicare due numeri an­nuali secondo la vocazione di ricerca che non si è mai arrestata. A questi ambiti si aggiunge la sezione Didattica: «Oltre alla visita guidata abbiamo un quaderno di offerte di laboratori consultabile online, che propone attività agli studenti dal più banale erbario a lavori più approfonditi. L’aula è dotata di un visore per il metaverso per offrire anche la possibilità di fare un foglio di botanica con la realtà virtuale».

Direttore, questo non è che un primo passo, quando si prevedono ulteriori aperture e il museo si riapproprierà di tutti i suoi spazi?
«I lavori saranno ancora lunghi e costosi, la riapertura completa è prevista per il 2030, ma già per l’autunno ’25 si pensa di aprire il secondo lotto del piano terra, poi progressivamente saranno resi agibili i cortili con la chiesa di San Giovanni, riabilitando l’ingresso di via Giolitti, la sala conferenze nell’interrato e infine il secondo piano che presenta una crociera stupenda, ma molto deteriorata». L’edificio è d’altronde parte di un imponente complesso di fine Sei­cento e ha vissuto negli anni utilizzi differenti, da ospedale a sede universitaria confermando dagli anni ’80 la sua definitiva vocazione museale e riunendo le varie raccolte cittadine. Ma in questi storici ambienti la tecnologia incalza. «Oltre alle proiezioni immersive c’è anche un’altra novità di grande impatto, soprattutto per i più giovani. Il totem avatar di un grande personaggio, in grado di rispondere grazie all’intelligenza artificiale alle curiosità suscitate dal museo. Il primo a dialogare è Alfred Wallace, naturalista ed esploratore inglese, tra i primi a studiare la biodiversità dei luoghi, ricordato accanto a Darwin per la teoria sull’evoluzione. Sarà poi la volta del piemontese Michele Lessona, scien­ziato eclettico, insegnante, senatore, direttore dal 1867 del Museo di zoologia e anatomia comparata, antesignano del nostro attuale. Nel 2023 si è celebrato il bicentenario della loro nascita e questo ci è sembrato il modo migliore per commemorarli».

Il ruolo del web nella sua gestione?
«Per la mia idea di museo è importantissimo. Un’agenzia di comunicazione ci segue i profili social. Se si pensa che attualmente non riusciamo ad esporre che un migliaio su 7 milioni di reperti, la potenzialità di divulgarli attraverso piattaforme informatiche diventa affascinante».

Tra i tanti progetti ambiziosi di Fino c’è inoltre aprire il museo alla realtà locale che lo circonda. «Il primo contatto che ho preso è stato col Parco Naturale Alpi Marittime per creare una convenzione che permetta di collaborare non solamente sot­to il profilo didattico. Poi penso al Museo Paleontologico di Asti…». Alla fine salutiamo la nostra guida d’eccezione nel suo ufficio, proprio accanto ad un bellissimo falso storico: «Questo dodo è solo un modello costruito a partire da testimonianze perché, a parte qualche reperto fossile, non esistono resti di questo enorme uc­cello incapace di volare, originario dell’isola Mauritius, estintosi verso la metà del ’600». Uno strano amico dalle morbide piume veglia dunque vigile sul lavoro dell’infaticabile direttore.

Ingegnere elettrico con specializzazione in energia e ambiente, nuovo ruolo da maggio

Cuneese doc, 45 anni, Marco Fino vive con la famiglia a Borgo San Dalmazzo. Ingegnere elettrico con specializzazione in energia e am­biente, dopo l’esperienza lavorativa alla Provincia di Cuneo diventa per concorso Dirigente nel settore cultura della Regione Piemonte. Come sede sceglie il Museo di Scienze Naturali di Torino dove da maggio 2023 si sente «atterrato su un pianeta alieno, un pianeta straordinario che ti accoglie e ti cattura».

Storia (triste) di Fritz, l’elefante indiano che a metà ’800 arrivò nella tenuta del re

Fritz, elefante indiano donato dal viceré d’Egitto Mohamed Alì al re Carlo Felice nel 1827, divenne ben presto una vera star per l’immaginario esotico dei torinesi. Viveva alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, fruiva di una vasca esterna per le sue abluzioni, era di buon appetito, non disdegnava il tabacco e sapeva danzare a suon di musica. Come testimonia l’iconografia dell’epoca, destò grande curiosità ma anche interesse scientifico: i suoi mal di denti e le sue indigestioni di castagne erano oggetto di cure premurose, oltre che di precise osservazioni. Inguari­bilmente rattristato dalla morte del suo guardiano, divenne preda di reazioni improvvise fino ad arrivare ad uccidere il nuovo custode scaraventandolo a terra con la proboscide. Condannato così a morte, nel 1852 venne giustiziato per asfissia da monossido di carbonio, ma il re donò alla scienza le sue spoglie come oggetto di studio e ricordo per i tanti affezionati.

Articolo a cura di Ada Corneri