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Principe senza corona

Figlio dell’ultimo re d’Italia, Vittorio Emanuele di Savoia ha vissuto a lungo da esule, Un’esistenza complessa, tra cronache rosa e nere, che si è spenta a quasi 87 anni. Riposerà sulla collina di Superga

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«Non rimpiango di non essere stato re, rimpiango solo di non essere cresciuto in Italia». Era sincero, Vittorio Emanuele di Savoia, Du­ca di Savoia e Principe di Napoli: la vita da esule era una ferita e chissà, adesso che s’è spenta, alla vigilia degli 87 anni, se agli scorci di Ginevra, dove aveva scelto di vivere anche dopo la cancellazione della XIII disposizione della Costituzione che vietava il rientro in patria, si sono sovrapposti i luoghi del cuore, i paesaggi attraversati da bambino: Napoli dov’era nato, Roma, Sant’Anna di Valdieri in Piemonte, il Castello di Sarre in Val d’Aosta. Era destinato al regno – quando vide la luce, fu acclamato come Principe dell’Impero -, invece dovette lasciare per sempre il suo Paese con mamma Maria José il 5 giugno 1946, ancor prima del verdetto popolare che scelse la Repubblica: aveva ordinato così papà Umberto II, l’ultimo re d’Italia, per proteggere la famiglia, e non ci fu ritorno fino al 2003 essendo stato previsto, nel 1948, il divieto d’ingresso e soggiorno per ex sovrani, consorti e discendenti maschi di casa Savoia.
Giovane ribelle – ha sempre sostenuto fossero i cattivi consiglieri del padre a screditarlo, temendo di perdere i poteri acquisiti man mano che lui diventava uomo e prendeva consapevolezza – ebbe ridotto l’appannaggio mensile inizialmente superiore rispetto alle sorelle, di sicuro ribelle nell’amore scegliendo di sposare, contro il volere paterno, Marina Doria, borghese, già campionessa mondiale di sci d’acqua: primo sì, in segreto, a Las Vegas nel ’70, dopo dodici anni di fidanzamento, secondo a Teheran con rito religioso. Siccome la legge dinastica sabauda prevede che l’erede decada dai diritti di successione se il matrimonio avviene contro la volontà del regnante, il cugino Amedeo duca d’Aosta rivendica il diritto al trono: ne nasce una querelle accesa benché fragile, riguardando una corona virtuale. Controverso da sempre, Vittorio Emanuele – forse un destino legato alle anime opposte: il rigore del papà e l’anticonformismo materno – mondano ed esuberante, è finito spesso al centro di episodi di cronaca rosa ma anche nera. Nell’estate del 1978, nel mare dell’isola di Cavallo, in Corsica, dalla sua barca vengono esplosi colpi di arma da fuoco che colpiscono mortalmente un giovane tedesco su una barca vicina: l’accusa è che abbia sparato lui, ma non viene mai provata e nel 1991 arriva il proscioglimento dalla Camera d’accusa parigina che lo condanna solo a sei mesi con la condizionale per “porto abusivo d’arma da fuoco fuori dalla propria abitazione”. Senza cancellare le ombre. Il suo nome figura tra gli iscritti alla Loggia P2 e finisce anche al centro di un’indagine per traffico internazionale di armi, dove viene trascinato dall’attività di compravendita di elicotteri militari tra Italia, Iran e altri Paesi arabi: gli imputano d’aver commerciato con Paesi sotto embargo, ma l’inchiesta finisce in archivio lasciandosi dietro solo grande clamore.
Restano anche passi importanti, apprezzabili, dalla condanna delle leggi razziali del ’38 al riconoscimento pubblico della fine della monarchia, decisivi per la fine dell’esilio. Vittorio Emanuele ha rivisto la sua terra ed è tornato più volte pur scegliendo di mantenere la residenza in Svizzera, e se a Ginevra ha spento gli occhi dopo una vita lunga e complicata, dormirà per sempre in Italia, nella cripta sotto la basilica di Superga realizzata per volontà di Vittorio Amedeo III: «Vi riposano i Savoia che non hanno regnato, anch’io sono destinato lì» l’esclamazione diventata volontà.