«Il piano Mattei? Potrà avere successo se comunicato bene»

Intervista all’ex avvocato anticorruzione negli Usa oggi analista di geopolitica: «L’iniziativa del governo va nella direzione giusta, ma non dobbiamo ripetere gli errori dei francesi. La guerra in Ucraina, vista dalle grandi città russe, appare lontana. Dopo Netanyahu la politica israeliana rimarrà la stessa»

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«Sono tornata in Italia nel gen­naio 2022 do­po otto anni trascorsi fra Parigi (università La Sorbona) e New York, dove ero un avvocato anticorruzione per un grande studio legale. Mi occupavo di tutt’altro, però sentivo mancare uno stimolo intellettuale. Sono rientrata per seguire la geopolitica e ho frequentato la scuola Li­mes, poi c’è stato l’incontro con Lucio Caracciolo». È il percorso professionale, singolare e qualificato al tempo stesso, di Greta Cristini, og­gi reporter di guerra e analista. Che si racconta a IDEA.

Come definirebbe la sua esperienza negli Usa?
«Molto formativa, diversa soprattutto nella metodologia del lavoro. Già dall’esperienza alla Sorbona mi ero portata dietro la disciplina che ho ritrovato nella cultura anglosassone e messo a frutto nel lavoro giornalistico. A New York facevo indagini glo­bali, entrando nel dettaglio, qualcosa che ho ritrovato nell’analisi geopolitica. In Italia è più difficile, specie nella co­munità giornalistica, un po’ meno meritocratica. In Ame­rica fa­cendo il mio lavoro di avvocato sentivo di essere al centro del mondo, avevo una prospettiva crescente. In Ita­lia il lavoro è in crisi, c’è decadenza e la competizione è dettata soprattutto dallo spirito di sopravvivenza».

Come si dice: non è un Paese per giovani.
«In Usa, la mobilità sociale e professionale spinge gli americani a cambiare lavoro e cit­tà ogni due anni, per migliorare la propria condizione. Qua siamo in stallo, un grosso li­mite per le nuove generazioni. Esistono categorie nella pro­fessionalità che in Ame­ri­ca non ci sono. Io sono andata là da immigrata e il mio studio ha subito sponsorizzato il mio visto, mi ha assicurato con­dizioni ideali per lavorare. La famosa scalabilità so­ciale: il sogno americano esiste ancora».

Veniamo all’attualità politica italiana: come vede il Piano Mattei?
«Va apprezzato lo sforzo del go­verno che dimostra un de­siderio di protagonismo dell’I­talia in Europa e palesa una cons­apevolezza riguardo all’im­portanza del Mediterraneo e al nostro rapporto con l’Africa. L’obiettivo è di combattere l’immigrazione alle radici e di affrancarci dalla di­pendenza del gas russo per poi rendere l’Italia uno snodo per il resto d’Europa. De­si­derio ambizioso, forse velleitario. Arriviamo in forte ri­tardo, dopo che russi e cinesi già da anni hanno promosso progetti capaci di affrontare questioni essenziali per l’opinione pubblica africana, sottovalutate dall’Occi­dente. L’i­niziativa italiana non sa di neocolonialismo, ma ri­chiede un’opera di comunicazione attenta. Andiamo per combattere il pregiudizio se­condo cui vorremmo solo sfruttare le risorse, cosa che è stata fatta anche con l’Eni, ma ora Meloni parla di logica solidale paritaria e non predatoria. Ci­­nesi e russi sono stati fur­bi e hanno trattato que­stioni strategiche co­me il debito pubblico, il nodo dell’A­frica subsahariana – da dove partono i flussi migratori -, gli in­vesti­menti infrastrutturali. In particolare, i russi han­no posto l’accento sulla questione securitaria, il mantenimento dello status quo, ma an­che la problematica alimentare che per l’Afri­ca resta fondamentale».

Nel complesso quale è la sua valutazione?
«Per ora vediamo un’idea che fa da cornice a una serie di progetti pilota scomposti tra loro (la formazione in Tunisia, le rinnovabili in Marocco). È un quadro disordinato e mancano accordi con paesi come Niger, Nigeria e Ciad che sono fondamentali per il flusso migratorio… I francesi sono andati via perché hanno capito di non essere benvoluti, noi dovremo fare attenzione a come verremo percepiti».

In primo piano c’è Eni?
«Non è una certezza, ma sono convinta del ruolo ispiratore dell’ad Claudio Descalzi. E al­lora, di nuovo, si deve lavorare sulla comunicazione. Se l’o­biettivo è puntare sulle cause delle migrazioni ma poi si vuol fare dell’Italia un hub energetico, sarà difficile na­scondere l’ottica estrattiva con l’Eni in primo piano (assieme a Enel e Snam), già presente in Africa dagli anni ’50. Se l’obiettivo è quello di rendere la produzione africana autoctona, questo non traspare, ma un tessuto di know how africano aiuterebbe a combattere anche il fenomeno dell’immigrazione».

In Ucraina, intanto, la guerra va avanti a oltranza?
«La linea del fronte lunga mille chilometri dall’estuario del Dnepr fino ai territori a nord del Donbass è ferma. I russi hanno ripreso l’offensiva con piccole iniziative per consolidare il controllo dei territori. Nelle ultime settimane gli ucraini hanno cambiato la modalità difensiva fortificando le trincee, perché si sono resi conto del fallimento della con­trof­fensiva prendendo atto della capacità russa di congelare la guerra, con una linea del fronte stabile. Intan­to il 18 per cento del territorio ucraino è finito sotto amministrazione russa, il processo di russificazione procede da un anno e in quelle zone si voterà il 17 marzo per le presidenziali. Sul campo si soffre il demunizionamento, dopo le mancate promesse europee (la Corea del Sud sta fornendo più armi) ma anche il deficit del capitale umano per cui c’è stata la frizione tra il capo dell’esercito Zaluhzny e lo stesso Zelen­sky».

E Putin mantiene il controllo.
«Questa guerra non è entrata nelle case dei russi, non ha coinvolto le grandi città come Sanpietroburgo. Secondo i son­daggi interni la maggioranza dei russi vorrebbe avere rassicurazioni che questa guerra finirà. Si teme una nuova mobilitazione dopo il quinto mandato a Putin. Non credo che lui continuerà a oltranza, il compromesso po­litico arriverà più o meno sotterraneo perché nell’opinione occidentale lui è stato demonizzato. Temo che a breve non ci sarà alcuna firma, del resto fino a novembre non sapremo chi sarà il presidente degli Stati Uniti».

Israele fino a quando seguirà Netanyahu?
«Quello che accade è il risultato della condizione geografica, storica e antropologica che caratterizza la terra d’Israele dal 1948, con totale impasse di una strategia nel lungo periodo. Israele è nata ed è vissuta con reazioni emergenziali in risposta a situazioni d’assedio, con volontà di vendetta per riordinare i confini e ribadire la sua esistenza. Tutto questo ha portato a reazioni belliche spropositate come stiamo vedendo. Israele rispetto ad Hamas è lo stato forte e lo sa, quindi non dobbiamo cullarci all’idea che le cose andranno meglio dopo Netanyahu».

CHI È

È stata avvocato anticorruzione a New York per tanti anni prima di mollare tutto e rientrare in Italia con l’intenzione di occuparsi di analisi giornalistica nell’ambito della geopolitica.
Un curriculum insolito, qualificato ed esclusivo per la 30enne originaria di Urbino

COSA HA FATTO

Dopo una doppia laurea in giurisprudenza, ha frequentato a New York un master post laurea di diritto americano che le ha permesso di ottenere l’abilitazione per diventare avvocatessa anticorruzione negli Usa. In Italia ha scritto il libro “Geopolitica – Capire il mondo in guerra” (Piemme)

COSA FA

Uscita dalla Scuola della rivista di geopolitica “Limes”, Cristini ha trascorso diversi mesi sul fronte ucraino e recentemente si è trasferita in israele per vivere da vicino le dinamiche che hanno portato al conflitto tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza. La vediamo spesso ospite di trasmissioni di approfondimento proprio in veste di analista per commentare l’attualità internazionale