La metafora scelta è durissima: Mike Tyson confida d’aver ucciso il ragazzo pieno d’odio che era. Rimangono tratti spigolosi, immagini spietate, ricordi violenti, ma l’eroe maledetto è ormai sceso dal ring: «Sono stato il pugile più cattivo, ora voglio essere il miglior attore. Ho preso sul serio la mia nuova carriera, ho fatto dei corsi di recitazione». Iron Mike parla a Torino, dove gira alcune scene di “Bunny-Man”, thriller innovativo, realizzato quasi per intero su set virtuali, atteso a ottobre al Roma Film Festival: farà la parte di se stesso, ma è pronto per qualsiasi ruolo, anche quello – sorride – «di una ragazzina di dodici anni con gli occhi azzurri». Il produttore italo-canadese Andrea Iervolino, anticipando un’interpretazione più impegnativa in un prossimo film diretto da un regista vincitore di due Oscar, sceglie parole bellissime per far capire quanto creda nella nuova vita di Tyson: «Lo guardo negli occhi e vedo tutto: il diavolo, un angelo, un bambino, l’uomo più cattivo del mondo ma anche quello più buono. Un attore deve trasmettere emozioni e lui ne è pieno: credo possa essere una scoperta per tutto il mondo».
Il nuovo lavoro lo ha aiutato a costruire una nuova immagine, in particolare la serie “Una notte da leoni”, ma “Bunny-Man” è qualcosa di più: è una svolta ulteriore e in fondo una catarsi. Perché Mike Tyson, condannato per abusi sessuali, partecipa a un film che ha per protagonista un supereroe mascherato da coniglio deciso a vendicare la sorella morta suicida dopo una violenza le cui immagini sono finite in rete.
Sì, il ragazzo pieno d’odio non c’è più. È racchiuso dentro biografie lontane e terribili, traboccanti disagio, prepotenza, teppismo: a tredici anni era già entrato trentotto volte nel carcere minorile, incriminato per rapine, furti, combattimenti clandestini, risse. La boxe divenne riscatto, sfogo sportivo d’una rabbia nera e profonda, è valsa imprese e record, ma anche una fama sinistra: l’orecchio morso a un avversario fece il giro del modo, istinto animalesco e selvaggio, non oltre il regolamento ma oltre ogni limite. Eppoi le denunce, i matrimoni finiti a pezzi, la bancarotta, la droga, fino a questa nuova vita accanto a Lakiha, terza moglie, undici anni più giovane, venuta con lui a Torino e come lui innamorata dell’Italia al punto che la coppia valuta l’acquisto di una villa. Non svelano dove intendono costruire la loro oasi, riferimento anche lavorativo poiché Tyson ambisce a star vicino all’industria cinematografica italiana, ma le Langhe e la campagna toscana, secondo i gossip, sono in cima al gradimento.
Tyson adora il nostro Paese, sicuramente è ricambiato: fans di tutte le età lo hanno assediato per selfie e autografi, dall’hotel in centro agli studi in periferia, passando per i ristoranti dove ha stupito accompagnando i cibi non con un buon vino ma con una tisana, anche questo segno di un’immagine inedita che non si sovrappone soltanto, ma cancella quasi la prima. «I giovani – racconta -mi conoscono come attore, hanno visto alcune mie scene sui social, i nonni sanno invece la mia storia di campione». Si è sforzato di cambiare, di essere un uomo migliore, ma ogni tanto l’orgoglio lo spingerebbe a strappare la coltre d’oblio: «Una volta, in una scuola pubblica americana – confessa -, mi accorsi che nessun ragazzo sapeva che ero stato un grande puglie. Ne guardai uno e mi sorpresi a pensare “stronzetto, nemmeno immagini che ho fatto io…».
Un uomo nuovo
Mike Tyson, a Torino per girare un film, racconta la sua metamorfosi: il ragazzo pieno d’odio, il pugile maledetto, non ci sono più e il cinema l’aiuta a cambiare immagine e diventare una persona migliore