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«Vittorio Emanuele un Savoia ribelle che non studiò da re»

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Prima insegnante, poi preside a partire dal “Giolitti Gan­dino” di Bra che a lui deve il suo nome, oggi storico e scrittore, il cuneese Aldo Alessandro Mola è un profondo conoscitore di Casa Savoia. «Il mio primo contatto con la famiglia – ci spiega – arriva dai miei studi di storia e dalle mie pubblicazioni; in particolare, nell’opera “Il Parlamento italiano dal 1861 al 1993”, 24 volumi con l’egida del Pre­sidente della Repubblica Fran­cesco Cossiga, ho curato moltissimi profili sui re d’Italia come Carlo Alberto re di Sar­degna, Vittorio Emanuele II e la biografia di Vittorio Ema­nuele III. Ho pubblicato inoltre un volume su Umberto II e ho avuto molti contatti con la principessa Maria Gabriella di Savoia, vera custode della me­moria storica di Casa Savoia, anche in qualità di presidente della Fondazione Maria Josè e Umberto II. Grazie a lei potei conoscere a Ginevra la regina Maria Josè della quale pubblicai anche il ritratto storico».

Al professor Mola abbiamo chiesto un ricordo di Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia, Um­berto II, i cui funerali sono stati celebrati sabato scorso nel Duomo di Torino e le cui spoglie riposeranno nella Cripta Reale della Basilica di Superga.

Quando è entrato in contatto con Vittorio Emanuele?

«L’ho conosciuto durante un incontro molto cordiale, a casa sua. Chiedemmo il suo interessamento per la manifestazione organizzata a Racconigi il 19 marzo 1993 per lo scoprimento del bronzo di Um­berto II nell’anniversario della sua morte. Ci consegnò, perché fosse presentata al pubblico, la bandiera che era sul piccolo torrione del Quirinale e che venne ammainata quando Umberto II lasciò l’Italia. Quell’evento fu molto partecipato anche da personalità politiche; tra tutti voglio ricordare l’onorevole Raf­fae­le Costa e il prefetto vicario Tancredi Bru­no di Clarafond. Ebbi successivamente continui contatti con la principessa Maria Gabriella per ragioni connesse alla traslazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della regina Ele­na al Santuario di Vicoforte nel dicembre del 2017. La principessa venne con la figlia a Vicoforte mentre Vittorio Emanuele fu contrario alla traslazione; avrebbe preferito av­venisse al Pantheon di Roma di fatto impossibile poiché lì sono invece sepolti i sovrani che si sono distinti nella storia a livello nazionale come Ema­nuele II fondatore del Regno d’Italia e Umberto I, re d’Italia».

In più occasioni Vittorio Emanuele fu in contrasto con la famiglia a cominciare dalla scelta di sposare Marina Doria in seguito alla quale decadde il suo ruolo di principe ereditario…

«Sì, quel matrimonio avvenne in polemica con il padre e comportò un disconoscimento non del rapporto filiale ma del suo ruolo di principe ereditario. Fin dall’ultimo ventennio del 1700 furono emanate regie patenti sui matrimoni dei principi reali (titolati per la successione) e dei principi del sangue: per contrarre matrimonio avrebbero dovuto avere l’assenso del re in quanto capo famiglia. Questo perché il matrimonio di un principe non è solo un fatto privato, ma è un fatto dello Stato che mette in discussione la politica estera e quella militare. Nel gennaio 1960 Umberto, informato che il figlio volesse sposare la francese Dominique Claudel, gli scrisse una lunga lettera in cui gli spiegò che si sarebbe ridotto alla condizione di “privato cittadino”, avrebbe quindi perso titolo e rango e la successione sarebbe passata automaticamente ad Amedeo di Savoia. Il Re scrisse infatti chiaramente che “io sono il 44° capofamiglia e dopo 29 generazioni per le quali abbiamo tenuto questa linea anche se volessi mutarla non potrei”. Nel 1963, quando i giornali iniziarono a parlare del legame di Vittorio Ema­nuele con Marina Doria, il Re inviò una seconda lettera in cui spiegò che non doveva aggiungere altro a quanto già scritto tre anni prima. Nel 1970 Vittorio Emanuele e Marina Doria si sposarono a Las Vegas e ribadirono il matrimonio nella cappella dei salesiani di Te­heran. Nel 2002 Vittorio Ema­nuele ha pubblicato un libro di suoi ricordi, “Lampi di vita”, in cui spiega che si volle sposare senza l’assenso paterno ritenendo di non doverlo chiedere: una ribellione chiaramente dichiarata».

Ci furono altri esempi di “in­subordinazione”?

«In un manoscritto del 15 dicembre 1969 Vittorio Ema­nuele depose il padre da Re e in un decreto del giorno successivo conferì il titolo di duchessa di Valdieri a Marina Doria di fatto “nobilitandola”. Sono episodi che ci danno la misura della conflittualità con il padre. Di questo tenore è stata l’iniziativa di Emanuele Filiberto relativa alla presunta abolizione della legge Salica sulla successione al trono di maschio in maschio: una scelta enunciata senza alcun fondamento giuridico. In In­ghilterra avevano stabilito dai tempi di Elisabetta I che la corona potesse essere assunta anche dalle donne. Nella Spagna attuale, con un intervento del Parlamento, si è stabilito che anche le figlie del Re possono ottenere la corona come accadrà alla morte di Filippo VI. Il mutamento di una legge successoria può essere fatta solo da un capofamiglia regnante e con il consenso del Parlamento. L’enun­ciazione di Emanuele Fili­berto non ha valore e non destituisce Aimone Duca d’Aosta, figlio di Amedeo, a cui è passato il titolo di principe ereditario, né i suoi due figli maschi: la successione è garantita dallo Statuto albertino in vigore fino al 1° gennaio 1948».

Perché questa ribellione, questa continua ricerca di indipendenza?

«Forse per carattere o forse perché Vittorio Emanuele non ha mai “studiato da re”, non ha avuto una formazione militare, giuridica. Quando Maria Josè si trasferì in Sviz­zera sottrasse di fatto il principe al programma di Umberto II di farlo crescere con un governatore militare. Il me­stiere del re non si improvvisa tanto più in un’Italia che all’epoca era stata appena unificata e che era da costruire. Vittorio Emanuele visse in mondo diverso rispetto agli altri principi; come scrisse al padre, volle dedicarsi agli affari, come broker, e lo fece anche bene».

Articolo a cura di Alice Bobicedi

I funerali del principe a Torino: in quattrocento sotto la pioggia

Arrivano sotto la pioggia, avvolti in cappe e pellicce nere, gli oltre quattrocento ospiti della famiglia Savoia per il funerale di Vittorio Emanuele, al Duomo di Torino. Fuori, la città sembra disinteressata: solo poche centinaia di persone assistono alla celebrazione dai maxischermi in piazza. «La mia è curiosità, niente di più» nega simpatie monarchiche una signora di 67 anni, tra le prime ad arrivare avvolta in un impermeabile. È accanto a un uomo sulla cinquantina: «Oggi stiamo vivendo un momento storico. Mio nonno mi parlava spesso dei Savoia. Sono qui per questo». Il feretro entra in chiesa accompagnato dal figlio Emanuele Filiberto, avvolto in una grande bandiera rossa con lo stemma di Casa Savoia, mentre risuona l’inno sardo. Ci sono la moglie del principe defunto Marina Doria, le principesse Vittoria e Luisa (figlie di Ema­nuele Filiberto e Clotilde Courau, an­che lei presente) e una lunga schiera di cugini e parentame dei Savoia. In piazza, al loro arrivo, quasi nessuno li riconosce. Tra loro c’è anche il principe Aimone di Savoia Aosta, che arriva in largo anticipo e lancia un segnale distensivo a tutta la famiglia, dopo le tensioni sulla successione al trono virtuale. Il protocollo è una sequenza che richiama tempi passati, con le Guardie del Pantheon che accolgono sul sagrato, sull’attenti, la famiglia Savoia e gli ospiti più illustri: Sofia regina emerita di Spagna, Alberto principe di Monaco, Jean granduca del Lussemburgo, Leka principe di Albania, George granduca di Russia, Carlo di Borbone delle due Sicilie con la figlia Carolina… Non c’è nessun rappresentante della famiglia reale inglese, che si è limitata a inviare un messaggio di condoglianze.
Sfilano uno alla volta mentre entrano in Duomo, dove celebra il funerale monsignor Paolo de Nicolò, gran priore degli ordini dinastici della Real Casa. «Ora principe Vittorio Emanuele sta ringraziando il Signore anche per il dono della sovranità, basata e sostenuta dalla fede e dalla religione» scandisce nell’omelia. Poi legge un messaggio di cordoglio di papa Francesco e il feretro esce sulla piazza, dove la pioggia cade ancora in­cessante. Il principe senza trono, mai diventato re, ha finito la sua vita.
Articolo a cura di Luca Ronco