Negli scorsi giorni è arrivato il via libera del Senato al Ddl Nordio sulla riforma della Giustizia. Contestualmente Palazzo Madama ha approvato anche la norma Costa, emendamento alla legge di delegazione europea che introduce il divieto di pubblicazione del testo delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione delle indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Nel frattempo l’Ordine dei Giornalisti ha parlato di «segnale preoccupante per la libera informazione e il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati», ricordando come la direttiva europea «richiama più volte la necessità di salvaguardare la libertà di stampa in nome dell’interesse pubblico». Proprio partendo da questo tema, Rivista IDEA ha intervistato l’autore del suddetto emendamento, il deputato cuneese di Azione Enrico Costa, già ministro per gli affari regionali nei governi Renzi e Gentiloni.
Onorevole, qualche giorno fa il Senato ha approvato il suo emendamento. Quali sono ora le prossime tappe?
«Il Governo dovrà ora esercitare la delega entro il termine di sei mesi attraverso un decreto legislativo. Il decreto dovrà essere approvato nel suo schema dal Consiglio dei Ministri, poi andrà nelle Commissioni Parlamentari per il parere non vincolante e infine tornerà in Consiglio dei Ministri e diventerà legge. Sarà importante vigilare perché l’atto attuativo sia coerente con il testo approvato dal Parlamento».
Come cambierebbe, in concreto, la Giustizia con l’attuazione di questa legge?
«Penso che questa legge sia stata molto enfatizzata da chi l’ha criticata. Per 30 anni, dal 1988 al 2018, quando è entrata in vigore la riforma Orlando, ha resistito la formulazione prevista nel codice Vassalli e non c’è stata nessuna levata di scudi. Penso che molti di quelli che si sono scatenati contro questa norma lo abbiano fatto più per compattare una categoria».
Come si pone quindi contro le perplessità suscitate in particolar modo dai media e dagli altri partiti di opposizione?
«Questa normativa non vuole assolutamente ledere l’attività del giornalista. Da sempre lavoro perché il processo venga celebrato nelle aule dei tribunali e soprattutto perché una persona, se entra nell’ingranaggio giudiziario e ne esce da innocente, sia la stessa che ne è entrata come immagine e come reputazione. L’ho fatto con la legge sulle spese legali degli assolti, con l’oblio per gli assolti e con le forme legate alla comunicazione dei Pubblici Ministeri. Non è assolutamente quindi un esercizio di accanimento nei confronti della stampa, che rispetto moltissimo. Ma penso che ci debba essere un bilanciamento tra il diritto di essere informati e la presunzione di innocenza».
Qualche giorno fa ha inoltre presentato una proposta di legge per sanzionare i magistrati che determinano l’ingiusta detenzione. Qual è nello specifico la sua proposta?
«La mia proposta non è esattamente la sanzione sull’ingiusta detenzione. Ovviamente essa può avere una genesi e prescindere dalla responsabilità del magistrato. Oggi però, nel nostro Paese, di fronte a quelle conclamate e addirittura risarcite dallo Stato non c’è un’analisi delle cause che le hanno generate. Per evitare che si ripetano, penso che sia importante cercare di capire. Per questo, a mio avviso, è giusto che il fascicolo della Corte d’Appello che attesta l’ingiusta detenzione vada a finire sulla scrivania del Ministro della Giustizia e del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, in modo da stabilire eventuali responsabilità. Che ad oggi nessuno si ponga questo problema lo trovo anomalo».
È intervenuto anche sulla questione dei magistrati fuori ruolo. Qual è la sua posizione in merito?
«Credo ci sia uno strabismo costituzionale. Se abbiamo la divisione dei poteri e il potere giudiziario pretende giustamente l’indipendenza e l’autonomia, questa autonomia deve essere reciproca e quindi il potere giudiziario non può essere nella pancia dell’esecutivo. Peggio ancora se i magistrati sono nell’ufficio legislativo di molti ministeri, tra cui quello della Giustizia, dove si generano le norme e si incide anche sul potere legislativo parlamentare, o se addirittura fanno da consulenti della Camera».
Sostanzialmente lei propone una totale divisione?
«Penso che ci debbano essere dei concorsi riservati per questi ministeri, a cui possono partecipare i magistrati, gli avvocati, eccetera, ma senza poi consentirgli di ritornare in ruolo. Se faccio una norma sulla pensione dei magistrati e il parere me lo dà l’ufficio legislativo del Ministero, in cui c’è la loro presenza, è evidente che possano generarsi delle anomalie. Di recente abbiamo fatto la norma sui magistrati fuori ruolo e a produrla è stato appunto il Ministero della Giustizia, il cui legislativo è pieno di loro rappresentanti. È evidente che sia venuta fuori una norma per cui i magistrati fuori ruolo, anziché diminuire, come voleva la Cartabia, aumentano».
Sta promuovendo intanto incontri sui temi del fisco e della giustizia con il deputato di Italia Viva Luigi Marattin. Di che appuntamenti si tratta?
«Si tratta di incontri totalmente sganciati dai profili partitici. Andiamo in giro per l’Italia e parliamo di questi temi in maniera liberale. Abbiamo una grande sintonia, a testimonianza del fatto che, partendo dai contenuti, la convergenza può nascere».
Qual è la risposta del pubblico?
«Ci sono sempre sale piene, incontriamo persone che ci dicono di desiderare da tempo che tali tematiche venissero affrontate in chiave liberale. Proseguiremo dunque su questa falsariga».
Il suo legame con il Cuneese è da sempre assai radicato. Cosa apprezza in particolare della sua provincia? Cosa vede nel suo futuro?
«La provincia di Cuneo è la mia storia. Si tratta di un territorio forte perché basato sulla forza del piccolo, dei piccoli comuni, delle associazioni e delle imprese. Dobbiamo cercare di sostenere questa grande rete. Nel futuro vedo l’ottimismo di una terra dalla spina dorsale molto forte, che può contare su una solidarietà politica sana e anche sulla fortuna di avere un Presidente della Regione del Cuneese».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo