Home Articoli Rivista Idea «Il nostro dialogo come una canzone per tutte le vittime»

«Il nostro dialogo come una canzone per tutte le vittime»

0
3

foto filippo manzini

In una apparente normalità, in un’altrettanta apparente indifferenza, con una diffusa esecrazione che svanisce nel velocissimo spazio di comparsa di un post sui social o dopo un lancio di agenzia o un titolo di un qualsiasi media, in Italia si continua a morire di lavoro.
Solo nel 2023 sono stati mille tra lavoratrici e lavoratori. In pratica nel nostro Paese si muore di lavoro ogni otto ore e mezza. E in questi primi cinquanta giorni del 2024 sono già una cinquantina le vittime, in media una al giorno, se contiamo anche le ultime del crollo del cantiere di Firenze venerdì scorso 16 febbraio.
È una ecatombe che non si ferma, che non finisce, che sempre e dovunque provoca
disperazione, ma anche rabbia sorda quando, come av­viene spesso, si tratta di un incidente causato dalle violazioni delle norme di sicurezza.
«Sai Michè non è che sono solo in questo posto
C’è più folla che a Rimini ad agosto
Tutti come me finiti fuori pista
Tutti fuori dalla lista
Tutti con il marchio addosso di questo paradosso
Che il lavoro porta sotto terra e l’operaio muore come in guerra».
Michè è piccolo, non conosce il lavoratore suo padre. Anzi, non lo conoscerà mai perché a casa non tornerà più.
Paolo Jannacci e Stefano Massini, con il loro dialogo in musica, “L’uomo nel lampo”, pubblicato da Ala Bianca e presentato al Festival di Sanremo, usano una prosa dolce, a volte anche ironica, una musica delicata che ti commuove, per descrivere una grande tragedia, quella di un bambino che potrà vedere il padre soltanto su una foto, che il tempo trasformerà in una immagine sbiadita, accompagnata da una lontananza nel loro legame di sangue.
Jannacci e Massini non usano mezzi termini nel descrivere questo immaginario dialogo: «Sono io Michè, questa voce lontana
Dicono, sai la vita è strana
Ma più che strana è proprio bastarda
Ed io lo so perché mi riguarda
Da quando il mio filo si è rotto
Sono una foto appesa in salotto
E in quella foto oltretutto…
Ma dai Michè son così brutto
Occhi chiusi, viso scuro…
Che se mi avessero detto giuro
Questa foto resterà di te
Accidenti Michè, mi sarei messo in posa 1,2,3, flash, perfetto
Sono io, sì, sono l’uomo di cui ti hanno detto
Che un lampo mi portò via
E di me non resta, che una fotografia».
Jannacci, musicista e cantautore, e Massini, scrittore e drammaturgo, collaborano assieme ormai dal 2020. È un rapporto artistico nato grazie allo spettacolo teatrale “Storie”, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in cui Massini, nella sua veste di narratore, quella più nota al grande pubblico, soprattutto televisivo, racconta la genesi delle storie di tutti i giorni, con gli alti e i bassi delle nostre vite. E nello spettacolo si inserisce il controcanto della musica di Jannacci che fluisce creando una perfetta armonia tra le parole e le note del pianoforte.
«Sul palco dell’Ariston – dicono i due interpreti – abbiamo fatto vivere un brano a forte impatto sociale ed emotivo, su un argomento di cui si parla sempre e solo in occasione di gravi accadimenti ai quali non si pone mai rimedio, come queste morti. Raccontate spesso con numeri e statistiche, restano vite scomparse improvvisamente, dimenticate il giorno dopo».
Stefano Massini è l’unico scrittore e drammaturgo italiano che ha vinto, nel 2022, ben 5 Tony Award su 8 nomination, il massimo premio del teatro americano, come l’Oscar per il cinema, con “Lehman Trilogy”. I suoi testi sono tradotti in più di 30 lingue e rappresentati in tutto il mondo, premiati con il Prix Medicis Essai, il Prix Meiller Livre, il Selezione Campiello, il Supermondello, il Premio De Sica e il Prix Meilleur Auteur Vivant Les Cyranos 2023. Massini entra ormai da tempo nelle case degli italiani con le sue storie di attualità narrate in Piazzapulita, su La 7.
«Il brano – dice lo scrittore – è un dialogo in musica. C’è un padre morto giovanissimo in un incidente sul lavoro, senza far notizia al punto tale che neppure desta più scandalo perché il lavoro è diventato un far west e i diritti sono un lusso. L’assuefazione alle co­siddette morti bianche è ormai un dato di fatto, e con questo brano di teatro-canzone tentiamo di sollevare il velo della narcosi. La canzone – continua lo scrittore – è un piccolo ritratto di vita, drammatica perché cristallizza un dialogo impossibile: da quella fotografia appesa in salotto, il padre non smette mai di parlare al figlio, che nel frattempo cresce nella leggenda di quel papà “morto dentro un lampo”. È un nuovo capitolo della collaborazione che da anni mi lega a Paolo, che mi rende ancora più fiero dal momento che si inscrive nella scia di un impegno civile, quello sulle morti bianche».
Paolo Jannacci è il figlio, sempre più simile a lui, di Enzo. Col padre, a marzo saranno undici anni dalla sua scomparsa, Paolo ha percorso una carriera in comune. È stato il suo arrangiatore spesso e volentieri, è stato anche la spalla di un genitore geniale che rivendicava con la sua musica il gusto di divertirsi, ma anche di essere ben cosciente della realtà, mi­schiando momento intimo e impegno civile.
Dal canto suo Paolo Jannacci aggiunge che «riuscire a tutelare e tutelarsi nel mondo del lavoro ci sottrae dalla meschinità che spesso ci domina. “L’uomo nel lampo” è un piccolo contributo in chiave poetica, per non dimenticare chi è morto sul lavoro e per mantenersi sempre in guardia, perché ne va della nostra vita. L’Italia – conclude la sua riflessione Jannacci – è una Re­pubblica democratica fondata sul lavoro, ma spesso ce ne dimentichiamo. Altro non posso dire perché sono solo un saltimbanco… Ma si sa: i saltimbanchi, da sempre, raccontano amare verità».

Articolo a cura di Luis Cabasés