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Il vallone di Elva tra grande bellezza e spopolamento

Il regista torinese Davide Demichelis ha firmato il documentario che gira intorno a Franco Baudino: «Qui il suo mondo, a disagio se deve scendere a Dronero»

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«Mi chiamo Franco Baudino, ho 72 anni, sto qui per amore della terra. Non mi sono mai allontanato per questa ragione. Se lavoravo in fabbrica magari avevo i soldi, ma forse sarei già morto. Essendo io un selvatico, in fabbrica non sono riuscito a starci perché ho sempre amato la natura. E finisco così». “Qui” per Franco è il vallone di Elva, Elvo in occitano, in alta valle Maira, dove è nato e cresciuto, me­morizzando ogni sasso, ogni sentiero, ognu­na delle 26 borgate del suo comune, i boschi, gli alberi, i pascoli, i fiori, gli animali, le persone.
Occhi azzurri come il cielo in­torno alle montagne, barba brizzolata quasi bianca, capelli ribelli tenuti in ordine (più o meno…) con una bandana co­lorata, un accento che tradisce la sua origine, gambe da stambecco e passo meditato, Fran­co è il protagonista di “Chia­mo, nessuno risponde”, metafora dello spopolamento, un romantico documentario che il giornalista e documentarista torinese Davide Demichelis ha girato – le riprese sono du­rate un anno – accompagnando il protagonista lungo i sentieri e sulle montagne del paese. Potete trovare il trailer su YouTube dove, in un paio di minuti, entrate subito in sintonia con il personaggio e con la qualità eccellente del lavoro del regista.
Demichelis è un volto televisivo noto. Ha girato il mondo come freelance. I suoi documentari su “Geo&Geo”, “Alle falde del Kilimangiaro”, “Il Pianeta delle Meraviglie”, “Nanuk e Timbuctu, i viaggi di Davide”. Ha ideato e condotto “Radici, l’altra faccia dell’emigrazione” su Raitre, nel 2022 ha realizzato “Green Explorer”, dedicato alle isole del Tirreno.
Nel documentario Franco Bau­dino si rivela un uomo particolare, perennemente coinvolto nella sua realtà quotidiana di montanaro a 360 gradi. Non levatelo dalla sua montagna, dai suoi prati, dai suoi boschi, sarebbe un pesce fuor d’acqua. «Anche soltanto scendere a Dronero – racconta il regista e narratore – lo mette quasi a disagio». Insomma Franco deve tornare su in alta valle per rientrare nella sua scorza.
Un uomo particolare, dicevamo, perché di persone legate alla terra in questo modo ormai non ce ne sono più tante. Elva all’inizio del XX secolo aveva 1.300 abitanti, oggi ne ha poco più di 75. La demografia dei nostri paesi di montagna scatta una fotografia crudele che sottolinea in modo impietoso lo spopolamento delle borgate alpine, soprattutto in provincia di Cuneo. Meno male che ci so­no persone come il nostro montanaro che con tenacia, passione, piacere anche, si prendono la briga di essere testimoni di una storia che non può finire nel cassetto delle cose dimenticate, nell’oblio delle vicende perdute.
«Io sono un amante della fatica e del sacrificio – racconta Baudino davanti alla macchina da presa – perché mi fanno stare bene mentalmente e mi permettono di realizzare qualcosa, non solo per me. Praticamente faccio tutto da solo, come un perfetto anarchico, non mi fermo mai e considero la montagna come casa mia. Parlo con gli alberi, parlo con la terra, con la strada, con un rudere». E traccia bilanci delle esperienze della sua vita: «L’erba e i fiori hanno lo stesso profumo di settant’anni fa, le altre cose dove è intervenuto l’uomo sono cam­biate completamente e non c’è più quella vita».
Nel documentario le parole di Franco si alternano a paesaggi splendidi, panorami infiniti, il Monviso, il Pelvo d’Elva, l’altopiano della Gardetta, placide mucche al pascolo di erbe gustose, prati fioriti con mille colori, marmotte timide.
«Montanaro,contadino, pastore, insomma un uomo di montagna – lo descrive ancora il regista – che ha dovuto anche lavorare in città, ma il meno possibile, solo sei anni. Lavora per passione e per la comunità. Aggiusta sentieri e mulattiere, spacca pietre pericolanti sugli stessi. Insegna a falciare a mano». «Devo trasmettere questo sapere – aggiunge infervorato Baudino – perché non posso pensare che dopo di me non ci sia più qualcuno».
Il documentario prende a prestito il titolo di una poesia in lingua occitana “Chamou, edgun respond”, del poeta elvese Pietro Raina, scomparso nel 2009, narratore anche lui di questo microcosmo delle terre alte.
«Al limite del villaggio abbandonato,
Sulla soglia di un casolare,
Mi parve sentire un lamento,
Come un piangere sommesso.
Mi accosto a quell’uscio sconnesso,
Chiamo, nessuno risponde”.
In fondo Fran­co risponde all’appello dell’amico poeta perché di fatto assume il ruolo di voce del loro territorio comune. Baudino ha pubblicato sette libri sulla storia di Elva e dei suoi abitanti, ha fotografato e censito i nomi di ogni borgata, di ogni vallone, di ogni bosco, di ogni roccia e sotto l’ala del Municipio si può trovare una serie di pannelli che raccolgono le sue foto e le informazioni sul territorio catalogate durante tutta la vita.
Un legame che andrà avanti per sempre fino a quando avrà un respiro: «Vorrei che la montagna mi inghiottisse e alla fine del mio ciclo diventassi un pezzo di montagna in mezzo alle pietre, come un altro detrito di pietra».
Intanto però lui regolarmente riparte tutti i giorni, quasi sempre da solo, oppure ac­compagnando qualcuno che vuole sapere, conoscere, con cui condividere storie, ricordi, emozioni.
Buone scarpe, un bastone per gli appoggi più difficili e cadenzare il passo. A tracolla la sua fida macchina fotografica. Sulle spalle un vecchio zaino da cui spunta sempre una buona bottiglia di vino e un ombrello perché non si sa mai, il tempo in montagna varia che è un piacere…
Nel frattempo, per quando finirà tutto, si è costruito una cassa di legno chiaro, con cinque legni diversi: larice, olmo, frassino, maggiociondolo e faggio. Fatta con i suoi alberi. Per stare con i suoi alberi.

Articolo a cura di Luis Cabasés