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«Mio figlio resta solo se non volete capire»

Giacomo ha la sindrome di Asperger e sua mamma Bruna Olivero ha scritto un libro per rompere l’indifferenza: «Mi dice che se non avesse una gamba, almeno il suo deficit sarebbe chiaro e la gente saprebbe come parlare con lui»

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«Ho pensato di tracciare un sentiero dove in­canalare i miei pensieri e por­tarvi con me a passeggiare nel tempo raccontandovi co­me è stato per me diventare un genitore particolare». Bru­na Oli­vero, 52 anni, di Vezza d’Alba, presenta così il suo libro «La zanzara ha il sangue tiepido», edizioni Mille, dove prova a spiegare che cosa significa essere «la mamma di un ragazzo, Giacomo, che og­gi ha 18 anni, che vive un quotidiano ricco di sfaccettate particolarità, ricorrenti ma non sempre prevedibili, che spesso ci fanno vivere in una dimensione fuori dagli schemi tradizionali». Già perché Giacomo ha la sindrome di Asperger, una forma di Au­ti­smo, e per questo «noi viviamo – dice Bruna – un quotidiano do­ve spesso si viene esclusi dalle feste di compleanno o dalle varie situazioni di gruppo, perché potrebbe essere un problema condividere i mo­menti più lievi e gioiosi con un bambino che non riesce a socializzare come tutti gli altri, a stare bene insieme con tutti gli altri».

Bruna si rende conto che Gia­como manifesta dei disturbi già all’asilo, ma la diagnosi ar­riva solo all’inizio della scuola me­dia, dopo un campo estivo. Pri­ma di allora un calvario che sembrava senza soluzione: «Non provo rabbia né ri­sen­timento nei confronti di chi lo ha seguito – scrive la mamma -. Penso che, in buo­na fede abbia sottovalutato al­cuni determinanti aspetti del­la psiche del bambino. Capita, quando sulla scrivania c’è una pila di cartelle ed ognuna racconta un caso; decine e decine di casi che sono innanzitutto persone, bambini sofferenti da seguire, da ricordare. A volte anche un impegno oltre i limiti può non bastare. “A vol­te il centouno per cento è ancora insufficente” ragionavo tra me e me e, a testa bassa, mi sono ritrovata quasi a do­ver chiedere scusa per essere costretta ad uscire dal Centro. E fa niente se nell’ultimo in­contro con lo psicologo mi ero sentita dire che stavo facendo troppo l’apprensiva, che volevo curare Giacomo per una pol­monite mentre il suo era sem­plicemente un raffreddore».

Un’affermazione che sprona Bruna ad andare oltre, si rivolge al centro per l’Autismo di Mon­dovi: «Dopo dieci minuti di colloquio la terapista mi par­lò per la prima volta della Sin­drome di Asperger, “è talmente chiaro signora, come han­no fat­to a non dirglielo pri­ma?” mi spiegò la dottoressa». A Bruna, finalmente, si apre un mondo: «Bisognava tentare un’altra stra­da, lo do­vevo a Giacomo, per non ve­dere più i suoi occhi spenti – scrive la mamma -, lo dovevo a mio marito, lo dovevo a Ma­tilde, mia figlia, e anche a me stessa, per non sentire ad­dosso l’odore del fallimento che ristagnava tra le mura di ca­sa nostra».

Raccontando l’esperienza rea­le, mamma Bruna cerca di dare elementi per sostenere l’attenzione degli operatori (medici, psicologi, insegnanti, educatori) ma anche per demolire l’atteggiamento diffidente ed e­mar­ginante di una grande par­te della società che non conosce questa sindrome: «Invento e moltiplico io stessa le occasioni di aggregazione – scrive – affinché l’universo di mio figlio non sia fatto di solitudine e giustificazioni e mi ritrovo, ad os­servare, da lontano, i sorrisini taglienti, gli sguardi eloquenti, le parole sussurrate, i giudizi la­pidari di chi non capisce o, sem­plicemente, preferisce far finta di non capire». Un quotidiano complicato per Giacomo che si rende conto dei suoi limiti e delle sue difficoltà. Bruna inserisce nel libro i pensieri del figlio: «Oggi, a scuola, mi sono sentito solo, tremendamente so­lo; forse ho sbagliato a dire og­gi perché negli ultimi due anni mi sono sentito quasi ogni giorno così, da solo, ogni volta che entro nella mia scuola. De­vo essere sincero: a me piace anche stare da solo, a volte ne sento proprio un gran bisogno; allora mi fermo ad osservare il cielo, guardando fuori dalla finestra, e se tu me lo chiedessi, ti potrei raccontare di quanti colori l’ho visto cambiare, men­tre le nuvole si gonfiano e sgonfiano tenendosi per mano. A volte resto fermo, mentre par­lo fitto fitto con me stesso e, mentre mi parlo, inizio a roteare le braccia e le mani, le sventolo forte, proprio come se vo­lessi volare via, scappare lontano da questo posto che sembra proprio non adatto a me». È difficile per Giacomo avere un’assistenza adeguata a scuola: «È un problema grave – racconta Bruna -, cambiamo insegnante di sostegno ogni anno, se non più volte l’anno. E devo anche dire purtroppo che spesso man­ca una preparazione adeguata. Ho l’impressione che fare l’insegnante di sostegno sia un ri­piego». Così spesso Giacomo viene allontanato dalla classe e trascorre ore solo in biblioteca. «Non è giusto – dice mamma Bru­­na -. Lui immagazzina no­zioni con impressionante rapidità, è curioso». Il titolo del li­bro ha fermato un suo pensiero, per un compito di scienze: «La zanzara ha il sangue tiepido». Il grande cruccio di Gia­como è che gli altri non si rendono conto delle sue difficoltà: «So­vente – racconta Bruna – mi dice che sarebbe meglio non avesse una gamba. Almeno il suo deficit sarebbe chiaro e la gente saprebbe come rapportarsi con lui». Giacomo, invece, ha ben chiaro chi è: «Io sono questo, sono così e non potrei immaginare di essere diverso da quello che sono», parola di un domatore di criceti.