Con Suor Anna Monia Alfieri abbiamo parlato di donne nella settimana in cui ricorre l’8 marzo e, più in generale del futuro della nostra società affrontando il tema della scuola e del pluralismo educativo.
Festa della donna e parità di diritti: a che punto siamo?
«Rifuggo da qualsiasi forma di femminismo spesso vissuto come ideologia. Quale significato ha il regalare il ramoscello di mimosa se poi chi lo fa assume comportamenti che dicono ben altro rispetto a quello che il ramoscello di mimosa vuole rappresentare? Credo che occorra formare i giovani a un nuovo umanesimo che faccia del rispetto della persona il centro e il discrimine di tutto. Solo una nuova educazione che punti all’essenziale, alla formazione al bene dell’altro, al senso di corresponsabilità, può fare realmente la differenza. Allora ben venga l’8 marzo se diventa occasione per cercare soluzioni che eliminino le diverse forme di iniquità. Su questo tema cito sempre un passo tratto dalla “Mulieris dignitatem”, la lettera apostolica inviata a tutte le donne da San Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1988: “… per le donne che vegliano sull’essere umano nella famiglia, che è il fondamentale segno della comunità umana; per le donne che lavorano professionalmente, donne a volte gravate da una grande responsabilità sociale; per le donne “perfette” e per le donne “deboli” per tutte: così come sono uscite dal cuore di Dio in tutta la bellezza e ricchezza della loro femminilità …”».
Cambiamo argomento. Lei ha a cuore il tema del pluralismo educativo: che cosa significa esattamente?
«La risposta è semplice: significa costruire un sistema scolastico all’interno del quale i genitori, in virtù del loro diritto precipuo di educare la prole e in ragione del fatto che, in quanto cittadini, pagano le tasse, possono scegliere liberamente, a costo zero, la scuola per i loro figli. L’istruzione è un servizio pubblico, indipendentemente da chi lo gestisce, Stato o Enti privati legalmente riconosciuti e rappresentati. Tutto ciò è logica conseguenza della legge 62/ 2000 che ha istituito il Sistema Pubblico dell’Istruzione, formato da scuole statali e paritarie. Entrambe, quindi, pubbliche ex lege riproponendo, a distanza di cinquant’anni, quello che la Costituzione già aveva previsto. Inoltre l’Europa, in più occasioni, ha ricordato che pubblico non è sinonimo di statale ma che è definibile pubblico tutto ciò che va a beneficio dei cittadini. Alle famiglie dovrebbe essere garantita una quota capitaria da spendere per l’istruzione dei figli presso una scuola pubblica, statale o paritaria, in un’attenta rendicontazione. Con un valore sociale immenso: aumento dei livelli di apprendimento, in linea con gli standard europei, miglioramento della tenuta sociale dei territori economicamente e socialmente più fragili, innalzamento della qualità della vita. Dalla scuola passa il rinnovamento della società».
Oggi questo concetto è in pericolo? Perché?
«È sufficiente guardare ai dati: nel 2007 le scuole paritarie sul territorio nazionale erano 13.252 con 1.245.346 studenti: i dati relativi all’anno scolastico in corso, ci dicono che le scuole sono scese a 11.426 con 770.130 studenti. In sostanza hanno chiuso 1.826 scuole, con una perdita di studenti pari 475.216. Il pluralismo educativo risulta, di conseguenza, gravemente compromesso, soprattutto al sud, dove la percentuale va dal 4 al 10%. Per quanto riguarda la Scuola dell’Infanzia il pluralismo educativo non costituisce un problema: addirittura la presenza della Scuola dell’Infanzia Paritaria è maggiore rispetto alla statale. Questa diminuisce rispetto alla statale soprattutto al Sud e nelle zone periferiche. Situazione ancora peggiore nel passaggio alla Scuola Secondaria di Primo Grado. Lo stesso trend nella Scuola Secondaria di Secondo grado. Il risultato è il tasso di dispersione scolastica che raggiunge nel sud il 23%, dato assai distante dal 13% del Nord e dal 9% dell’Unione Europea. A pagare le conseguenze sono ovviamente i fragili».
Che cosa può e deve fare lo Stato?
«Esattamente ciò che avviene in Europa e nel mondo, dittature escluse, ossia garantire ai cittadini – che hanno già pagato le tasse – il diritto di apprendere senza costi aggiuntivi. In tutti i Paesi europei i cittadini scelgono, a costo zero. Si tratta di un modello che favorisce il pluralismo, la libertà di scelta educativa dei genitori, il diritto di apprendere degli studenti, la libertà di insegnamento dei docenti, in sostanza un sistema scolastico di qualità, con rendimenti scolastici ai primi posti Ocse Pisa».
Nelle scuole statali si bada alla competizione nozionistica, meno all’aspetto umano: è così?
«Esistono scuole statali attente ai loro studenti, esistono scuole paritarie dove la competizione la fa da padrona. Io girerei la questione in questo modo: la libertà di scelta educativa presuppone la responsabilità del singolo e genera, al contempo, altre libertà. Nel caso specifico, quella dello studente di apprendere e quella del docente di insegnare in una realtà che egli percepisce come conforme alla propria impostazione di pensiero. Detto diversamente, quella di scegliere di lavorare in una scuola che riflette le proprie convinzioni personali e professionali sull’educazione e, conseguentemente, di partecipare in prima persona al mantenimento del carattere distintivo della propria scuola. Questo vuol dire creare ambienti aperti. In fin dei conti, la nostra società, definita fluida, dove tutto è sempre più artificiale e domina una impostazione relativistica del pensiero, ha proprio bisogno di questa chiarezza e di questa molteplicità di offerte formative. Ecco il valore della scuola pubblica, statale e paritaria».
Di fronte alla digitalizzazione come vede il ruolo della scuola?
«La scuola è chiamata a giocare un ruolo fondamentale. Tutte le preoccupazioni sulla digitalizzazione sono giustificate nella misura in cui facciamo entrare in questo campo il senso di responsabilità dell’uomo. Si ritorna sempre allo stesso punto. L’Intelligenza Artificiale avrà sicuramente ricadute sul mondo del lavoro, è inevitabile, faranno sentire superate alcune professionalità ma, al contempo, si creerà il bisogno di altre. Entra in gioco, come sempre, la capacità dell’uomo di affrontare il cambiamento. Non bisogna abdicare alla nostra umanità, ai sentimenti di fratellanza e alla consapevolezze dell’essere gli uni dipendenti dagli altri. La tecnologia è un mezzo, non un fine, e, come tale, è a servizio dell’uomo e della sua opera a favore (ricordiamolo) del suo simile. L’era tecnologica viene vissuta in modo disumano quando la tecnologia è vista solo come un mezzo del quale occorre approfittare per dominare l’altro».
CHI È
Religiosa delle Marcelline, laureata in Economia, Giurisprudenza e Magistero di Teologia, è esperta dei problemi dell’organizzazione dei sistemi formativi e fa parte del Gruppo di lavoro in materia di “Istruzione non statale” del Ministero dell’Istruzione e del Merito
COSA HA FATTO
Già premiata con l’Ambrogino d’oro, è Cavaliere della Repubblica per il suo impegno a favore della libertà educativa. Tra le sue pubblicazioni: Andare a scuola e uscire imparati. Lezioni di libertà educativa (2023); Lettera ai politici sulla libertà di scuola (con D. Antiseri, 2018)
COSA FA
Suor Anna Monia è spesso ospite di dibattiti televisivi. Al centro – ma non solo – c’è la sua attenzione per il tema educativo e quindi per tutte le problematiche che riguardano principalmente i ragazzi in età scolastica