Un romanzo corale, ironico, labirintico. Un romanzo d’avventura, nel quale tante storie si innestano l’una sull’altra, la voce del narratore cambia e i punti di vista si inseguono e le vite dei personaggi si intrecciano generando una trama complessa, presentando spicchi di realtà. Ferrovie del Messico è l’ultima fatica di Gian Marco Griffi. Pubblicato nel 2022 da Laurana Editore, nel 2023 è stato proposto dallo storico Alessandro Barbero al Premio Strega con una motivazione che fa ben intendere la pasta dello scrittore astigiano: «… per la novità, e l’ambizione, del concetto e della trama, come per la qualità della scrittura […] spesso apparentemente orale ma in realtà letteratissima […]. Pubblicato da un piccolissimo editore, cosa che ulteriormente giustifica la sua candidatura, ha raggiunto un vasto pubblico soprattutto grazie al passaparola dei lettori e all’entusiasmo dei librai…».
Incluso nella dozzina ma purtroppo escluso dalla rosa dei 5 finalisti, il romanzo ha vinto numerosi premi e riconoscimenti: il premio Mastercard, il città di Leonforte, l’Augusto Monti, il Mario La Cava mentre Fahrenheit, il programma di Rai Radio 3 dedicato ai libri e alle idee, lo ha eletto libro dell’anno nel 2023.
Protagonista è Cesco Magetti, giovane milite della Guardia nazionale ferroviaria di Asti, affetto da un terribile mal di denti e incaricato, lui che in Messico non c’è mai stato, di disegnare una mappa delle ferrovie di quel paese che servirà per trovare un’arma segreta per vincere la guerra. Siamo nel 1944, nel periodo della Repubblica di Salò e di un’Italia spaccata in due: i partigiani da un lato, il regime nazifascista dall’altro.
Ferrovie del Messico è stato definito un caso letterario. Cos’ha pensato quando ha saputo della candidatura allo Strega?
«Non lo immaginavo, anche se qualcuno aveva cominciato a parlarne. Essere presentati da Barbero è stato un vero piacere: il mio libro ha una base storica ma non è un “libro di storia”. La candidatura è stata l’inizio di un’avventura, come cita il sottotitolo stesso del libro, bella e intensa. La presentazione è stata una bellissima occasione, anche se la discriminante vera è quando entri nella dozzina dei candidati. Il mio libro è stato scritto durante la pandemia, ho sfruttato il tempo a mia disposizione e nel momento in cui ho avuto “tempo di scrivere” mi sono trovato ad avere l’idea e l’immaginazione che ha dato vita al romanzo».
Nel libro il protagonista, Cesco Magetti, pare catapultato in tempi e situazioni delle quali sembra non avere piena consapevolezza. E proprio a lui viene chiesto di disegnare la cartina delle ferrovie del Messico. Da dove parte l’idea?
«L’idea era quella di prendere un essere umano e metterlo di fronte a una situazione kafkiana, a metà tra un uomo che si sveglia al mattino trasformato in uno scarafaggio e un uomo che si trovasse in una situazione terribile, come un periodo di guerra. Quindi, due situazioni opposte. Ho una grande passione per le mappe e la geografia, ciononostante l’idea è arrivata per puro caso. Non trovavo l’innesco, poi leggendo una biografia di Proust ho scoperto che giocava in borsa e tra i titoli azionari che aveva acquistato c’erano quelli della Ferrovia del Messico. È stata un’illuminazione. Trovato un titolo bisognava trovare lo sviluppo, quel quid in equilibrio tra assurdo kafkiano e realtà e ho pensato a un milite che, invece di preoccuparsi della guerra, della fame, della povertà, si trova a fare qualcosa di assurdo».
Perché ha scelto di ambientare il romanzo nel 1944, durante la Repubblica di Salò?
«L’ambientazione storica ha diverse ragioni: la passione per la storia e per quel periodo. Mi serviva un periodo agitato, drammatico, in cui ambientare il romanzo. L’altro motivo è legato al personaggio femminile di Tilde. Avevo scritto un racconto “Storiella delle cartoline” in cui si narra la vicenda di Tilde un’anziana signora che riceveva cartoline da tutto il mondo da un uomo che non viene citato. Da lì sono andato a ritroso sino alla sua giovinezza e alla Repubblica sociale, provando a ricostruire una vita al contrario. Quello della Rsi è per me un periodo irrisolto, questa divisione tra destra e sinistra, tra fascisti e comunisti serviva per parlare di qualcosa che ci riguarda anche oggi, al di là dei temi dell’amore, della vita, della morte e dell’amicizia che sono universali».
Lei è di Montemagno, paesino in provincia di Asti. Quanto Monferrato c’è in Ferrovie del Messico?
«Il Monferrato e Asti sono parti integranti del libro. I personaggi si muovono continuamente tra Asti e il Monferrato, l’astësan, camminando avanti e indietro per vie e viottoli. Vivo ad Asti ma sono cresciuto a Montemagno: c’è l’idea di Montemagno come c’è la vegetazione, gli uccelli, gli animali, i ciabot: è stato naturale. Poi mi interessava scrivere un romanzo che fosse “provinciale”. Raccontare la storia con la “S” maiuscola partendo da un paese ai confini dell’impero. E c’era anche il discorso di vedere come si poteva scrivere un romanzo di ampio respiro partendo da Asti. Anche se poi si va a Berlino, in Messico, alle isole Samoa, Asti resta al centro».
Nel ’44 si concludeva la vicenda della Repubblica dell’Alto Monferrato per mano di una violenta offensiva nazifascista, un’esperienza partigiana forse meno nota rispetto a quella di Alba e delle Langhe. Secondo lei la letteratura è ancora un veicolo potente per raccontare il territorio?
«Un veicolo potentissimo e lo sarà sempre. Possono cambiare i modi in cui ne fruiamo, ma la vera letteratura è il veicolo privilegiato per conoscere l’essere umano e l’ambiente, il territorio, la sua storia. Il Monferrato è più selvaggio rispetto alla Langa, ne amo le colline e il paesaggio ma anche ciò che ha prodotto l’uomo definisce l’aspetto di un territorio. Da qui nascono la lingua e il linguaggio: nominando le cose che conosciamo».
Ha fatto un grande lavoro proprio sulla lingua. Ci sono delle parole all’interno del libro, o magari una in particolare a cui è legato in modo speciale o che definiscono la sua scrittura?
«La parola “Sagittabondo” che incontriamo nel capitolo in cui appaiono Adolf Hitler ed Eva Braun. Il capitolo gira su questo hapax legomenon (parola o espressione utilizzata una sola volta in letteratura all’interno del sistema letterario di una lingua). Mi sono incaponito a usarla nel romanzo, così da fare in modo che non lo fosse più».