«Cuneo è nel nostro dna, sentiamo il valore di un legame con una terra piena di imprenditoria, che in un certo senso ci ha anche portato a doverci allontanare per realizzare il nostro progetto, a uscire prima dalla zona di confort per imparare che ciò che diverso è bello, è fonte di ispirazione». Alberto Dalmasso ricorda i primi anni di una splendida avventura imprenditoriale chiamata Satispay. «Ci siamo spostati subito a Torino, ma poi abbiamo visto che tutti gli incontri con gli investitori si facevano a Milano ed eravamo sempre in treno. Poi siamo tornati a Cuneo per lanciare il primo servizio, è stata la prima piazza. L’entusiasmo era forte come la voglia di sperimentare. Oggi qui a Milano una decina di colleghi sono cuneesi e la nostra sala più importante, all’ottavo piano, dove si riunisce il Cda, si chiama Sala Cuneo». C sono nuovi progetti e ne abbiamo parlato in questa intervista con il co-founder e ceo del sistema di micropagamenti più diffuso del momento.
La forza del vostro progetto nasce dal valore che avete dato ai circuiti cittadini?
«Sì, la nostra missione è di servire le comunità locali. L’elemento di fondo è razionale: se pago con Satispay sento che faccio qualcosa che all’esercente costa meno e sono più vicino alle sue esigenze. Lui mi fa saltare la coda per pagare con la app, si crea un’intesa. E poi mi chiama per nome».
Quando vede il pagamento.
«Lo abbiamo fatto apposta, per mettere l’aspetto umano al centro della narrazione. A volte si frequenta lo stesso bar per anni e non ci si chiama mai per nome».
Parliamo pur sempre di un servizio finanziario, quanto conta questo dettaglio?
«Per Satispay è fondamentale. La quantità maggiore dei pagamenti avviene nei negozi fisici, in strada. Noi siamo una piattaforma che porta questi negozi nel digitale, pensiamo a un mondo dove avremo sempre più tempo libero e spenderemo i nostri soldi nei negozi di prossimità. E speriamo non esclusivamente da casa, facendo tutto online e calando dal balcone il cestino con la fune per prendere la spesa senza neanche fare le scale per scendere giù».
Perché questa attenzione?
«Perché se macellaio, panettiere e farmacista hanno un buon business, migliora la qualità del rione, ci saranno più palestre e musei, ne beneficiano tutti. Questo ci dà motivazione per lavorare su un servizio sempre migliore e perché questa sensibilità si rifletta sul momento del pagamento».
Anche l’iniziativa dei buoni pasto è in linea con questa idea?
«Al centro c’è ancora la comunità locale: abbiamo ascoltato gli esercenti – più di 300mila utilizzano Satispay – che ci chiedevano di entrare in questo settore dove i costi erano assurdi. Abbiamo studiato e capito che c’era un disequilibrio dove i pochi player pur di vincere i contratti concedevano grandi sconti che poi compensavano con enormi commissioni a carico degli esercenti (dal 15% in su). Ci siamo chiesti se potevano esserci altre strade».
E state già registrando ottime risposte.
«I lavoratori che possono usufruire di benefici fiscali sono 19 milioni ma solo 4 milioni utilizzano buoni pasto. Alle aziende abbiamo detto: se voi date i buoni pasto ai dipendenti ne avete già un vantaggio fiscale sotto forma di incremento dello stipendio al netto di ogni imposizione fiscale per il lavoratore. Migliaia di lavoratori spendono i buoni nei negozi vicini agli uffici e torniamo al discorso della comunità locale».
Così le aziende reinvestono nel territorio?
«Ci sono esempi significativi nel Cuneese in questo senso e vediamo che c’è la sensibilità per capire il criterio dei buoni pasto. Noi forniamo un prodotto premium che pesa sull’economia locale e ancora di più sulla community».
E le grandi aziende?
«Abbiamo avviato tanti discorsi, serve tempo per passare da un contratto all’altro ma abbiamo superato le 4mila aziende che forniscono buoni a 12mila dipendenti attivi. Sono aziende piccole e medio-grandi. Tra settembre e fine anno si sono mossi subito gli autonomi e adesso arrivano le grandi realtà, siamo contenti»
C’è anche la novità dei discount di Md.
«L’anno scorso c’è stato un giorno in cui nessun esercente ha accettato buoni pasto. Quasi un punto di rottura che ci ha spinto a entrare in gioco. Chi emette buoni pasto ha evidentemente un potere negoziale, noi come nuovo player potevamo cambiare le regole. Prima per i discount non era sostenibile accettare i buoni pasto, ma in un momento di così alta inflazione questo è un segnale importante. È un servizio in più per quella fascia media che fatica con l’aumento dei costi (e non dei salari). Era giusto allora, invece di replicare gli altri modelli, aprire a un’alternativa di maggiore spendibilità e maggior valore».
Avete creato un circuito alternativo alle grandi realtà?
«Fin qui i buoni pasto erano esclusiva di multinazionali francesi, capaci per prime di intercettare questa domanda. Sta a noi come azienda locale badare ai bisogni locali seguendo un modello diverso».
L’altra innovazione riguarda l’app aperta ai 14enni?
«È qualcosa che avremmo voluto fare già tanti anni fa. Le famiglie ci chiedevano uno strumento per i figli minorenni con una buona spendibilità e copertura. La nostra app si adatta alle esigenze dei ragazzi delle superiori che escono da soli e fanno acquisti nei dintorni, gestiscono settimanalmente una somma e tengono sotto controllo le spese. Tutto in linea con il nostro spirito, aiutiamo a rendere i ragazzi consapevoli con una prova pratica di educazione finanziaria. In diecimila si sono già iscritti e abbiamo una base di nuovi utilizzatori».
Il modello cittadino e molto italiano si può estendere all’estero anche oltre la Francia e il Lussemburgo?
«In una visione internazionale il mercato unico offre opportunità ma scopriamo continuamente quanto sia grande il mercato italiano. Al nostro interno si dibatte molto la questione: c’è chi spinge per l’internazionalizzazione e chi vuole essere sempre più forte in Italia. La filosofia è di sperimentare ancora due anni in Francia consolidando l’Italia per poi avere più forza e ampliare rapidamente i mercati esteri. La nostra ambizione è europea, condividiamo con la commissione opinioni su normative e tassazioni che presentano ancora troppe differenze. Mercati uguali spingerebbero verso quegli Stati Uniti d’Europa dove – come negli Usa – un nuovo servizio ha enormi margini di successo. In Europa succede poco. L’auspicio è che Satispay possa lavorare sempre più all’internalizzazione per fare in modo che ci sia una presa di coscienza e che anche da noi nascano, nel campo dei servizi, campioni e giganti in grado di competere con i big americani e cinesi».