L’assunzione di duemila dipendenti che la Regione ha annunciato entro la fine dell’anno non potrà guarire di colpo tutti i mali della sanità piemontese, che hanno radici lontane ma è comunque una buona medicina. Anzi, un’ottima medicina. Tanto più che il Piemonte sta affrontando un invecchiamento della popolazione che richiede un maggior impegno sul fronte dell’assistenza. Perché uno degli effetti più evidenti dell’aumento degli anziani lo si registra negli ospedali, messi sotto pressione dalle patologie croniche legate all’età avanzata. Serve un maggior supporto territoriale e domiciliare. Anche per questo le duemila assunzioni vanno sfruttate al meglio. Dunque, occorre individuare con precisione i punti di maggior sofferenza. Di sicuro gli ospedali, sempre più una trincea, con turnazioni difficili da gestire. Ma anche i medici di base. Soprattutto nei paesi delle valli – e il Cuneese ne è una prova evidente – pesa la mancanza del vecchio medico di famiglia. E vanno potenziati anche gli infermieri sul territorio. C’è una sensibile carenza di queste figure professionali. Tuttavia, pur essendo una mossa fondamentale, non basta investire unicamente sull’assunzione di nuovo personale per sostenere il sistema sanitario pubblico. Bisogna andare oltre. Occorrerà nei primi mesi della nuova legislatura regionale prepararsi a un nuovo salto di qualità. Tenendo presente un concetto chiave: se si aumentano i volumi di attività ma non si interrompono una volta per tutte le prestazioni inappropriate, rinunciando dunque a visite e esami inutili, si rischia di generare solo costi ulteriori senza risolvere il problema alla radice. Ecco perché le nuove risorse devono essere utilizzate al meglio, senza che neanche un euro sia sprecato.
Un passaggio chiave diventa seguire passo a passo la programmazione che la Regione si è data per realizzare entro il 2026, con i fondi del PNRR, 91 case della salute e 26 ospedali di comunità. Una carta indispensabile per migliorare la medicina territoriale, primo vero antidoto per ridurre liste d’attesa, che è da molto tempo l’aspetto più tangibile delle difficoltà del servizio sanitario nazionale. E’ fondamentale che questi investimenti vengano completati al più presto, garantendo anche personale adeguato. Penso soprattutto agli infermieri di famiglia e comunità, sia per garantire un migliore accesso alle cure per una fascia particolarmente fragile della popolazione, quella anziana, sia per alleviare il carico sulle strutture sanitarie principali, riducendo gli interventi sanitari a bassa intensità clinica.
Un ruolo importante potrà averlo anche la telemedicina. Che va diffusa in modo uniforme su tutto il territorio dopo le positive sperimentazioni in Asl e ospedali del Cuneese come confermato in un recente convegno della fondazione CRC che ha finanziato l’uso della tecnologia per curare i pazienti a domicilio. Come candidato al consiglio regionale mi batterò perché il sistema sanitario piemontese riceva investimenti adeguati a garantire ai cittadini il diritto inalienabile alla salute. Di pari passo mi batterò perché l’accesso alla sanità privata ritorni ad essere una libera scelta e non una necessità imposta dalle circostanze.