Home Articoli Rivista Idea «Con il Fact Checking il lettore sceglie a chi deve credere»

«Con il Fact Checking il lettore sceglie a chi deve credere»

Il direttore dei progetti Pagella Politica e Facta.news domani ospite a Cuneo: «Diamo un contesto alle notizie. Tra i politici c’è chi ci attacca e chi ci apprezza. L’informazione oggi è un campo di battaglia, ma online non bisogna commettere l’errore di cedere al sarcasmo e agli insulti»

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Domani nel Salo­ne d’Onore del Co­mu­ne di Cu­neo si parlerà di “Rico­no­scere e affrontare la disinformazione: media, elezioni europee e clima”. Un tema che definire attuale suona riduttivo, per quanto è entrato nella nostra quotidianità. Tra i relatori ci sarà Giovanni Zagni, direttore dei progetti di fact checking Pa­gella Politica e Facta.news. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua attività. «Pa­gella Politica è un progetto nato più di dieci anni fa – ci ha risposto – che inizialmente si oc­cupava solo di verificare le dichiarazioni dei politici. Su­l­la base dei dati disponibili, si pubblicava un verdetto per stabilire se un certo contenuto fosse vero o meno. Poi il progetto si è allargato a un’analisi a 360 gradi sui temi principali del dibattito politico con l’idea di basarsi il più possibile su fatti e numeri, senza entrare nei re­troscena e nei classici litigi tra partiti».

Un’attività che immaginiamo complicata, se non osteggiata…
«C’è da dire che molti politici apprezzano la nostra imparzialità del lavoro. Se muoviamo una critica in un caso ma poi diamo loro ragione in un altro, ci viene riconosciuto che facciamo un buon lavoro. Poi c’è chi se la prende a morte. Ci è capitato un anno fa con la stessa Meloni. Dal 2020 è stato avviato un altro progetto (Facta) sulla di­sin­formazione non politica. Ab­biamo a che fare con la spazzatura che gira sui social e arriva sulle chat di Whatsapp. Tutto un altro lavoro, anche se in entrambi i casi si tratta di fact checking».

La verifica della verità è il fulcro attorno al quale gira l’informazione?
«Oggi l’informazione è un vero e proprio campo di battaglia. Forse lo è sempre stato ma in modi diversi, mentre ora è spesso scontro ideologico. Si usa l’informazione come uno strumento».

La conseguenza è che c’è sempre più “polarizzazione”. Per­ché ci si divide aspramente su ogni tema?
«Da un lato le comunità online sono poco istruite, nel senso che la possibilità di avere scambi di opinione con persone che non si conoscono ma che trattiamo da pari a pari anche se sono personaggi vip, porta chiunque a reagire in modi appassionati, con termini ma­gari eccessivi che mai si userebbero in una conversazione faccia e faccia. Online si tende a litigare immediatamente, si cede al sarcasmo e all’insulto, si perde il senso del contesto così come sfumature e toni. D’al­tro lato, i social sono costruiti in modo che uno possa silenziare le voci che fanno arrabbiare. Succede anche a me, al­la lunga le voci contrarie le na­scondo. Per come si sviluppano le discussioni, la polarizzazione forse è inevitabile. Non che in passato non accadesse: ci si sfidava a duello…».

Non c’è il rischio, ricercando a tutti i costi una verità oggettiva, di silenziare voci interessanti solo perché contrarie?
«È vero che a volte i dettagli più interessanti si trovano in un punto di vista an­ticonformista o nelle voci di dissenso. E il fact checking non sempre ha avu­to alfieri all’altezza. Non significa essere arbitri del­la verità con il ditino alzato. L’operazione corretta è dare un contesto alle notizie per dire: in base alle migliori informazioni a noi disponibili riteniamo che questa affermazione non sia vera, fuori contesto. I motivi sono questi e le fonti queste, poi pensatela come volete. Ma è sbagliato farne uso come strumento di censura. La gen­te è libera di pensare e scrivere quello che vuole. Qui non si tratta di discutere – faccio per dire – se sia vero che Putin abbia ragioni storiche o culturali per invadere l’Ucraina, qui il nostro compito è dire, nel caso di una foto di Biden che abbraccia un noto criminale: guardate che è stata prodotta dall’Intelligenza artificiale, se volete crederci fa­te pure, ma deve esserci una ­ba­se di contenuti verificabili. Poi so benissimo che siamo in un’enorme zona grigia. Il de­bunking serio si occupa di cose dimostrabilmente sbagliate e di contenuti, non del­le persone».

Altrimenti, sotto l’ombrello del cosiddetto complottismo, può finirci anche qualche parere semplicemente in controtendenza. Che ne pensa?
«Il complottismo è quel fenomeno interessante da studiare ma difficilissimo da smentire nei casi più estremi. Come fai a dimostrare che non esiste il grande complotto dei ricchi per farci vaccinare e poi schiattare? Si può dire “guardate che questo studio che state usando lo avete forse travisato”, poi liberi tutti finché non si fa del male».

Un argomento complicato so­prattutto nel caso di interessi economici importanti?
«Un altro grande problema. Più umilmente noi ci occupiamo di contenuti virali online. In teoria si potrebbe fare questo tipo di operazione anche verificando la comunicazione istituzionale delle aziende oppure i claim nelle pubblicità. Può essere uno strumento per fare accountability journalism. Il fatto è che alla fine il fact checking non è qualcosa che fanno solo alcuni. È uno strumento, un linguaggio, una forma mentis che sta dietro a tutto il giornalismo di qualità».

Ci avviciniamo alle elezioni europee ed è un argomento di cui parlerà a Cuneo.
«Facciamo parte di un progetto europeo (Edmo) dove coordiniamo una cinquantina di progetti di fact checking e monitoriamo ogni mese an­che gli altri paesi. Lo scorso anno abbiamo fatto una ricognizione sulle storie false girate durante le elezioni nazionali in una decina di Paesi. Quelle create con l’intelligenza artificiale che talvolta hanno anche avuto successo. Ecco cosa potremmo aspettarci anche a giugno».

Qual è lo stato di salute dei media italiani?
«Se guardiamo quelli tradizionali, i grandi giornali cartacei, la situazione è difficilissima. Ma accade anche nei Paesi più ricchi, in Usa ogni settimana ci sono chiusure. Però nascono altri progetti innovativi che se la cavano molto bene. In generale non c’è mai stata un’epoca con così tanta informazione buona come adesso. Sono moderatamente ottimista».

Anche per l’informazione locale?
«Qui si aprono praterie. Il bisogno di essere informati bene su argomenti locali c’è e forse più di prima esiste anche la possibilità di innovare. Penso al caso di un nostro collega che con un progetto di giornalismo investigativo in Germania ha lanciato una newsletter ottenendo un successo clamoroso. Gli spazi ci sono, poi magari resistono vecchi modelli che fanno fatica. Però vedo grandi opportunità».

Era già stato a Cuneo?
«No, solo a Torino e sono molto curioso. Vengo da Mantova e amo la provincia. Sono stato in Fondazione Mirafiore da Fa­rinetti, una meraviglia. Tutti i miei amici milanesi mi sponsorizzano sempre le Langhe come un posto quasi mitologico per i weekend da agriturismo».

CHI È

Giornalista, dal 2017 è direttore del progetto di fact checking Pagella Politica e ora anche
di Facta.news. È membro del comitato esecutivo dell’European Digital Media Observatory (Edmo) e del gruppo di esperti sull’integrità dell’informazione online (Msi-Nf) istituito nel 2022

COSA HA FATTO

Prima di occuparsi di fact checking ha lavorato per Linkiesta e Il Post. Ha inoltre pubblicato articoli sul Foglio, Rivista Studio e Le Scienze.
È stato allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa e ha un dottorato in Filologia romanza presso l’università di Siena

COSA FA

Domani nel Salone d’Onore del Comune di Cuneo (ore 15) partecipa, assieme a Mauro Buonocore e Marta Ellena di Cmcc, al seminario “Riconoscere e affrontare la disinformazione: media, elezioni europee e clima”, organizzato da Europe Direct Cuneo Piemonte area sud ovest con l’Associazione Per l’Incontro delle Culture in Europa (Apice), Pagella Politica, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e lo European Digital Media Observatory