«Il riconoscimento a un territorio che ci ha creduto»

Roberto Cerrato: «In un libro appunti, ricordi e incontri di uno stimolante viaggio lungo vent’anni»

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Sono trascorsi vent’anni da quando il progetto ha preso forma e, almeno inizialmente, aveva i contorni di un sogno difficile da realizzare. Ce ne sono voluti dieci di anni per portarlo a termine e ora ci si prepara a celebrarne i primi due lustri. Era il 22 giugno 2014 quando il Co­mi­tato per il Patrimonio Mon­diale dell’U­nesco iscriveva il sito “I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” nella lista del Patrimonio Mondiale dell’U-manità.

A percorrere questa strada fin dai primi passi c’era Roberto Cerrato, albese doc, appassionato e studioso del territorio, promotore della candidatura Une­sco e, fino allo scorso gennaio, direttore dell’Asso­cia­zione per il Patrimonio dei Paesaggi Viti­vinicoli di Langhe-Roero e Mon­ferrato. Nel volume “Le vigne, un patrimonio da salvaguardare che unisce”, Cerrato ha raccolto le tappe del cammino che hanno portato al riconoscimento dedicando il suo lavoro «a coloro che anche di fronte alle difficoltà non si fermano ma cercano “compagni di viaggio” per raggiungere la meta» guardando, in particolare, alle nuove generazioni… e per un preciso motivo che scopriremo nel corso di quest’intervista.

Come nasce questo libro?

«Dal desiderio, sorto poco prima della pensione, di condividere un’esperienza ventennale in tema di valorizzazione e tutela del territorio nel contesto del riconoscimento Unesco di cui a breve celebreremo i dieci anni. Ho ritenuto importante ripercorrere questo cammino evidenziando cosa il risultato ottenuto significhi nella quotidianità: coinvolge quanti, a vario titolo, si confrontano con il cambiamento climatico; riguarda le Amministrazioni che stanno conciliando sviluppo e conservazione, promuovendo la tutela senza ingessare il territorio; interessa i viticoltori che hanno capito che, ove possibile, la riduzione dei fitofarmaci è strategica; riguarda i tanti extracomunitari che abitano la nostra zona, il cui apporto è fondamentale, perché il lavoro in vigna senza di loro non si potrebbe fare. L’Unesco, nel conferirci il riconoscimento, ha posto l’attenzione su due criteri: l’interazione tra uomo e natura e la qualità dei piccoli borghi rispetto anche a un aumento del turismo. A questi dobbiamo guardare lavorando allo sviluppo del nostro territorio».

In questo viaggio ci sono dei grazie da dire?
«Tanti, prima di tutto a tutti coloro che hanno creduto nel progetto quando era difficile farlo e ci hanno sostenuto. Tra la prima e la seconda candidatura abbiamo dovuto riscrivere il dossier in tre mesi. Se non ci fosse stato il sostegno della Compagnia di San Paolo e l’incoraggiamento della Regione Piemonte non avremmo potuto farlo. Grazie ai Consigli di amministrazione che si sono succeduti negli anni in particolare al presidente Gian­franco Comaschi che mi è succeduto dal 2014 al 2022, a tutte le amministrazioni comunali degli oltre 100 comuni coinvolti, anche quelli che alla fine non sono stati inseriti nell’area Unesco, poiché la scelta dei confini non dipendeva solo da noi, eppure hanno continuato a crederci. E poi a Giuseppe Rossetto che sin dall’inizio ha creduto nel mio lavoro sul territorio. C’è stato un momento, nel 2012, in cui il progetto era vicino a deragliare. Avremmo potuto chiudere la partita agevolmente candidando i soli territori del Barolo e del Barbaresco. Abbiamo deciso di non farlo ritenendo che la forza della nostra iniziativa fosse in un progetto collettivo. Abbiamo chiesto a tutti ulteriori sforzi e di darci fiducia: nessuno si è sfilato. Ce l’abbiamo fatta e questo è stato un premio al territorio che ci ha creduto. Oggi la nuova presidente Giovanna Quaglia sono certo porterà avanti i progetti sulla linea tracciata».

C’è stato un errore da non commettere più?
«Sì, anche se da quell’errore si sono sviluppati buoni frutti. Parte del Roero non ha creduto fin da subito nella candidatura, temendo un’ingessatura dei territori. Ora è in corso la stesura del dossier che, speriamo già il prossimo anno, porterà 18 comuni del Roero nell’area Unesco: un bel risultato che completa quest’iniziativa ma che, al tempo stesso, deve insegnare come a fronte di un progetto importante e condiviso è bene fidarsi, perché l’incertezza può generare confusione».

Un bilancio di questa esperienza?

«Soddisfacente, mi ha consentito di fare esperienze e di incontrare persone che mai avrei pensato. Ma si arriva a un punto in cui è bello smettere e seguire nuovi stimoli. Con questo libro, corredato dalle immagini di Enzo Massa, pubblicato grazie a Banca d’Alba e con il sostegno di Gemini Project dei fratelli Scarzello, consegno le esperienze vissute e gli appunti di viaggio al territorio, alla comunità. È come un album fotografico del matrimonio: racchiude i mo­men­ti più importanti e ne preserva il ricordo».

Sì è concluso il suo impegno presso l’Associazione sul Pa­trimonio Unesco, ma chi la conosce fatica a vederla nei panni del pensionato. Quali sono i prossimi obiettivi?
«Si chiude una pagina e se ne apre un’altra: mi occuperò di volontariato culturale presso il “Centro studi sul paesaggio culturale di Langhe, Roero e Monferrato” che coinvolge i comuni in forma gratuita e i soci con un contributo simbolico di 10 euro l’anno. L’obiettivo è di essere un contenitore a disposizione del sito Unesco, di far parlare il territorio di… territorio alimentando una sensibilità culturale. Lo farò insieme a una grande squadra, quella dei Sindaci: in molti si sono riuniti intorno a questa iniziativa. Abbiamo già individuato quattro sedi distaccate (Treiso, Magliano Alfieri, Rosignano Monferrato e Vinchio d’Asti) e avviato un ciclo di 25 conferenze finanziato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo. Vogliamo parlare di identità partendo dalla storia del territorio e confrontandola con modernità e innovazione. I riscontri che stiamo già ottenendo sono per me e per tutti noi motivo di orgoglio».

Il nostro è quindi un territorio che ha sete di conoscere, approfondire?
«Molta più di quel che pensiamo. E facendo leva su questo abituiamo il territorio a non sedersi! Dobbiamo sviluppare il bell’ambiente che abbiamo sa­puto creare: accogliere i turisti, condividere la nostra identità e non snaturare il territorio. La prossima sfida sarà il cambiamento climatico: ciascuno dovrà fare la propria parte».

Il miglior augurio per questo progetto?

«Che questo progetto possa entrare nelle scuole e intercetti il linguaggio dei giovani. Saranno loro a ricevere il testimone, ma a volte ci sfuggono. Perché? Forse non sappiamo esprimerci o non diamo loro la giusta responsabilità? Vorrei che il Centro studi fosse laboratorio per capire cosa vogliono i giovani dai nostri racconti».
Un modo per tendere una mano alle nuove generazioni e renderle protagoniste di un futuro che è fatto anche di radici perché, afferma Cerrato nel suo libro: «Da soli si parte, ma solo insieme si va lontano».