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Gipo Farassino musica di barriera, l’arte e la politica

Lo chansonnier e attore torinese avrebbe appena compiuto 90 anni: ripercorriamo la sua storia

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«Sono un patriota della settima Circoscri­zio­ne Città di Torino, nato in barriera, cresciuto e rimasto tale. Il tempo ossidante, viaggi, cultura, esperienze accumulate (tan­te) non hanno minimamente intaccato la corteccia di ribelle anarcoide, un po’ guascone, un po’ romantico che fascia il tronco di tutti quelli che sono nati e cresciuti in mezzo ai temporali. Sono uno di quelli, sempre barrieranti. Il sangue non mente». Così si definiva Gipo Fa­rassino in una concisa biografia che si può trovare sul suo sito www.gipofarassino.it.
Giuseppe detto Gipo l’11 mar­zo scorso, essendo del 1934, avrebbe compiuto no­vant’anni. Se n’è andato poco più di dieci anni fa. Il prossimo 12 aprile al Teatro Mon­terosa di Torino (Via Bran­dizzo 6, alle 20,45) nella sua Barriera di Milano, si celebrerà “Buon Compleanno Gi­po!”, una serata a lui dedicata dove suoneranno e parleranno musicisti, attori, amici personali che per cuore o per arte sono stati con lui.
Valentina Farassino, la figlia, che nella vita fa l’architetto dividendosi tra Torino e La Morra, paese del marito, ha creato l’evento con i «suoi amici di sempre». Si ritroveranno dalle sue parti, vicino al 6 di via Cuneo «Ël 6 ëd via Coni, na cà veja / che gnanca na vòlta, l’era nen bela».
Gipo è stato un musicista a tutto tondo. Studiare studia, frequenta ragioneria. Ma do­po un po’ si stufa e si rende conto che la musica è la sua vita. Impara a suonare il contrabbasso, poi afferra la chitarra, il suo vero amore, e non l’abbandonerà più. A cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, naturalmente a sue spese perché ci crede, incide tre 45 giri. Si fa chiamare Tony D’Angelo. Poi nel 1962 il primo lp insieme ad un noto folksinger torinese dell’epoca, Riz Samaritano, al secolo Lorenzo Schellino. Curioso che nell’album “Le canssôn d’ Porta Pila” risultino tre interpreti: Giuseppe Farassino ap­punto, Riz Samaritano e Giuanin ‘d Porta Pila che altri non è che lo stesso Gipo. Firmerà come Giuanin anche “Le canssôn d’ Porta Pila n. 2” ed esordirà col nome di Gipo in “Le canssôn d’ Porta Pila n. 3”.
Poi parte. Lascia per un po’ Torino, la sua barriera e i protagonisti della vita quotidiana della banlieu torinese. Di­venta per qualche anno quello che oggi si definisce un turnista. Così suona con diverse orchestre per qualche anno in Medio Oriente. Al rientro, siamo tra il 1967 ed il 1968, Farassino ha bene in testa quello che vuole fare. Non è un cantautore tradizionale. È vero che spesso scrive i suoi testi e le musiche, ma lui si sente e si definisce chansonnier perché adora i cantautori francesi e belgi, soprattutto George Brassens, l’artista che insieme a Jacques Brel, ispira la scuola genovese del cantautorato nostrano.
Scrive monologhi e canta sul tavolaccio del Derby di Mi­lano, fucina di decine di artisti comici, di cantautori e musicisti. Conosce Gaber, Jannacci, Lauzi, jazzisti come Enrico Intra, che dirige il locale, e Franco Cerri la chitarra del be bop italiano, noto ai figli di Carosello come “l’uomo in ammollo” del detersivo Bio Presto. La pubblicità, tra l’altro, prende anche Gipo che si esibisce in quegli anni come testimonial per l’analgesico Veramon e per le fasce elastiche del Dottor Gibaud.
Arriva finalmente un contratto con la Fonit Cetra, incide “Sangon Blues”, sul lato B c’è “Serenata ciôcatôna”. La diffusione è nazionale, Gipo Fa­rassino comincia a farsi conoscere anche al di là del Piemonte. Poi il 1968, l’anno che cambia la storia sociale nel mondo tra le generazioni. Il Sessantotto di Gipo Fa­rassino si chiama “Avere un amico”, un bel valzer, un testo in italiano: c’è sentimento, c’è bel canto, c’è un testo e un refrain orecchiabilissimo, è una vera canzone da chansonnier. Insomma è l’inizio di una carriera sfolgorante che durerà per tutta la vita, ag­giungendo alla musica l’attività teatrale e quella di scrittore. Il resto è una storia che dura ancora quasi mezzo se­colo.
Poi abbraccia la politica. Lui, uomo di barriera, sta sempre con gli ultimi, i più deboli. Milita nel PCI di Torino, poi nel 1987 fonda Piemont Autonomista che confluisce nella Lega. È deputato, europarlamentare, assessore re­gio­nale: ma nel 1996 lascia Bossi. «Voglio andare via da Roma – dice Gipo motivando la sua decisione – ma allo stesso tempo non voglio finire sotto Milano».
Si sente anche tradito perché la Lega gli preferisce il cuneese Domenico Comino nella corsa a sindaco di Torino. Gipo sarebbe stato un ottimo candidato per la sua città. E la Lega così perde.
Una vita come artista e come uomo sempre al massimo dell’impegno, forte e determinato, piena di successo. Ma anche di dolori insopportabili come la morte nel 2005 in un incidente stradale della figlia Caterina, 28 anni, apprezzata fotografa del rock e musicista a sua volta. Scompare nel 2011 anche la moglie Lia Scutari. Gipo, malato da qualche mese, le raggiunge due anni dopo, alla fine del 2013.
Resta Valentina. Lei è l’ultima della famiglia; «Valentina è la custode della memoria – racconta con affetto Gabriele Ferraris, collega del Corriere della Sera e amico stretto di Farassino e delle “sue” donne – una memoria che si concreta nelle iniziative benefiche della fondazione intitolata a Caterina e Gipo: prossimi progetti lo spettacolo del 12 aprile e un disco di inediti, 22 canzoni in italiano scritte quando già la malattia stava facendo il suo sporco lavoro. Sarà pronto fra qualche mese, servirà a raccogliere fondi per i prossimi progetti della fondazione».
Valentina qual è il suo ricordo più caro? «Non posso rispondere – mi stoppa – con una vita del genere qualsiasi cosa sarebbe limitante».

Articolo a cura di Luis Cabasés

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