Una mamma partigiana (la giornalista fiorentina Wanda Lattes), un papà che ha raccontato la Shoah (il giornalista e scrittore polacco Alberto Nirenstein). Lei, nata a Firenze, oggi vive a Gerusalemme. Ed è da lì che ha raccontato quello che è successo lo scorso 7 ottobre, nel recente libro che ha la stessa data come titolo. «Rimane un’esperienza che ha cambiato la vita mia e quella di tante persone – ci dice al telefono -: io non sono più la stessa persona che ero fino al 6 ottobre. Perché ho dovuto vedere cose che non immaginavo, ho capito che la crudeltà e l’odio contro gli ebrei possono prendere forme che nemmeno nei film dell’orrore: decapitazione di neonati, stupri di donne e mutilazioni varie».
Che cosa ha visto?
«L’aggressione contro gli abitanti nei dintorni della Striscia di Gaza. Le loro case distrutte, le uccisioni che non hanno risparmiato neppure i lavoratori, incolpevoli come tutti. Ho visto i domestici filippini fatti letteralmente a pezzi. Quel film purtroppo dovrebbero vederlo tutti, per capire. In quella zona c’era sempre stato un atteggiamento di fratellanza per gli abitanti di Gaza. Tra le persone rapite, anche una signora – per fortuna ritornata a casa – che di solito andava a prendere alcuni conoscenti al confine per accompagnarli all’ospedale. Una fotografa e pittrice si è accorta che uno dei suoi collaboratori la stava cercando a casa sua per andare ad ammazzarla. Sono cose che danno contezza della natura umana sotto una luce spaventosa, ma ci mettono anche in guardia: la pace si fa sempre in due, oppure sconfiggendo il nemico che non vuole farla. Quello che mi aspetto è che Hamas venga sconfitto e si possa fare la pace».
Si poteva prevedere ciò che è accaduto?
«Sono emersi tanti indizi che apriranno inchieste da parte del governo, dell’esercito e dei servizi. Forse con maggiore attenzione per i segnali che erano arrivati, si poteva evitare la tragedia dei 1.400 morti e delle centinaia di rapiti. Si vedrà al momento giusto. Ora Israele combatte per sconfiggere definitivamente questo nemico che mette a repentaglio la sua stessa vita e dopo gli ultimi orrori ha costretto milioni di persone a spostarsi dal confine totalmente sgomberato. Come anche a nord dove a bombardare sono gli Hezbollah. E se Israele non sconfigge chi causa questo pericolo, la vita sarà impossibile. Loro dicono “from the river to the sea Palestine will be free”, cioè la Palestina sarà libera dal fiume al mare. Ma non è mai esistito uno stato palestinese, gli ebrei sono gli unici indigeni».
Dall’altra parte si accusa Israele di un’occupazione colonialista.
«La verità è ben diversa, parla di una delibera votata dall’Onu e di un territorio che ha accolto gli ebrei nati e vissuti per primi in quell’area da loro civilizzata. Quelle terre non sono mai state palestinesi e il movimento che accusa Israele nasce da un terribile equivoco figlio della propaganda islamica e, in altre parole, figlio dell’antisemitismo».
Due stati due popoli: uno slogan destinato a restare utopia?
«Va chiesto ai palestinesi. Israele dal ’48, quando accettò la partizione, ha offerto quattro volte una soluzione sentendosi sempre rispondere no. Come dopo Camp David e gli accordi tra Barak e Arafat con lo scatenarsi della seconda intifada: 2mila morti sugli autobus, nei negozi e ristoranti. O anche dopo la guerra del ’67, i famosi tre “no” dopo l’accordo per restituire i territori. Loro vogliono non due stati ma uno solo per distruggere Israele, non chiedono la pace ma la guerra. Non si può pretendere che Israele vada al macello: non ci andrà. Se Israele lascia sopravvivere Hamas, si dichiara pronta a essere eliminata, pronta al suicidio. È già successo una volta che gli ebrei siano stati uccisi in 6 milioni, non può più accadere».
E non c’è spazio per un cessate il fuoco?
«Ma è già pronto, sei settimane in cambio delle persone prigioniere di Hamas tra malati, donne e anziani. Era già stato definito e Hamas ha fatto un passo indietro. Se restituisse almeno questi ostaggi avrebbe un cessate il fuoco di 6 settimane e otterrebbe 10 volte in più rispetto agli ostaggi, cioè gli assassini palestinesi già giudicati colpevoli secondo leggi uguali a quelle italiane…».
In Occidente le manifestazioni pro Palestina aumentano.
«Io sono ebrea, laica e liberale: anche dai miei amici pretendo la stessa chiarezza morale. Questa implica che non possa tenere per Hamas o per chi uccide gli omosessuali, schiavizza le donne, costringe al matrimonio bambine di 10 anni, uccide i dissenzienti. Chi va in piazza ora avrebbe dovuto farlo prima contro Assad che ha ucciso trecentomila siriani. Altrimenti chi si schiera da quella parte rappresenta il nuovo fascismo che in realtà condanna tutta la nostra cultura conquistata in tanti anni, con la fine del nazifascismo e quella dell’Unione Sovietica».
Netanyahu divide l’opinione pubblica internazionale.
«Se fosse stato il primo ministro di prima, quello di centrosinistra, sarebbe stato maggiormente sostenuto. Biden ha le sue ragioni: le elezioni a novembre. Ma ci tiene alla vittoria di Israele. Il fatto è che Israele fornisce già aiuto umanitario e cerca di salvare la popolazione da Hamas, che ha messo in casa della sua gente i lanciamissili e i depositi di armi sotto gli ospedali, ha messo la sua gente in pericolo. A noi seguitano a suonare le sirene, io a Gerusalemme corro sempre nel rifugio. Anche l’altro giorno in un attacco vicino casa mia sono state pugnalate due persone. Non si subisce una tortura senza fare niente, qui c’è un colossale diritto all’autodifesa».
Ogni guerra però ha effetti collaterali irreparabili.
«Conosco bene l’esercito israeliano, è sorvegliatissimo legalmente. I numeri che girano non sono veri, li diffonde il ministero della salute di Gaza… Se è vero che 14 dei 18 battaglioni di Hamas sono stati sconfitti, la percentuale di morti civili rispetto ai militari è di 2 a 1, una delle più basse nella storia. Questo non toglie che la gente soffra. Gli stessi soldati israeliani tornano disperati per le morti di bambini e donne palestinesi. È tutto orribile ma lì sotto ci sono lanciamissili».
Israele vede vicina la fine della guerra, cioè la vittoria?
«Qui ci sono tante opinioni, è un paese libero e allenato alla battaglia politica. Ma su questa questione della guerra tutti sono allineati. Siamo un paese piccolo e ognuno ha un parente, un amico, un figlio perduto al Nova Festival, un fidanzato fatto a pezzi… Insomma la percezione è che andando avanti si scopriranno altri orrori. Come per la Shoah: quanti anni ci abbiamo messo a scoprire tutto… Il popolo è unito, non ci sono manifestazioni per la pace qui. La guerra è giusta ed è contro il male fomentato, tra gli altri, daIl’Iran che è l’altra grande cattedrale del terrorismo che ci minaccia tutti con l’atomica».
CHI È
Giornalista, autrice e politica, studiosa di antisemitismo ed esperta della realtà mediorientale, è nata nel 1945 a Firenze. Vive a Gerusalemme. Scrive per Il Giornale ed è stata inviata per La Stampa, ha insegnato per diversi anni Storia di Israele
e del Medio Oriente all’Università Luiss di Roma
COSA HA FATTO
Nel 2008, eletta alla Camera con il governo Berlusconi, è stata eletta vicepresidente della Commissione Affari Esteri rimanendo in carica fino al 2013
COSA FA
Ha da poco pubblicato il libro “7 ottobre 2023. Israele brucia” (edizioni Giubilei Regnani), un’antologia dei suoi articoli scritti per il Giornale dopo il massacro di Hamas nei territori confinanti con la striscia di Gaza