Una domanda scontata. Una risposta sincera. Un caso aperto e il dibattito eterno riacceso sulle difficoltà delle donne lavoratrici, non solo quelle del mondo dello spettacolo, di conciliare mestiere e maternità. In tante giurano di non aver dovuto affrontare scelte e sopportare rinunce, di aver tranquillamente scalato professioni tra pappe e pannolini, compiti e recite, tappe di crescita e problemi adolescenziali, certo a prezzo di enormi sacrifici ma senza quegli aut aut destinati spesso a tramutarsi in rimpianti.
A Lily Allen, cantautrice britannica – in realtà poliedrica artista: è anche attrice, conduttrice televisiva e stilista, salita in vetta alle classifiche discografiche mondiali con brani come “Smile”, “Not Fair”, “The Fear” e “Fuck You” – chiedono se dopo la nascita delle due figlie abbia dovuto ripensare il percorso artistico e lei, premettendo di non aver mai avuto una strategia sulla carriera, ammette candida: «Le mie figlie me l’hanno rovinata». Basta e avanza per innescare la miccia, ma solo attraverso il pensiero autentico, prendendosi la pazienza di contestualizzare senza fidarsi dei mozziconi social, si sgombra il campo dall’equivoco più triste e dall’accusa più becera: non c’è moto di risentimento né ombra di pentimento, basta seguire per sincerarsene come Allen completi la riflessione e articoli la verità: «Amo le mie figlie, mi hanno completata – precisa -, ma in termini di successo nel pop me l’hanno completamente rovinato».
Il podcast di Radio Times, al di là dell’esperienza confidata, permette di approfondire un’analisi di vita in cui tante donne si specchiano e tante no, e ribadire comunque l’orgoglio di aver preferito dedicarsi a Ethel Mary, quasi tredici anni, e Marnie Rose, undici: Allen, semplicemente, si schiera con chi ritiene sia impossibile non sacrificare nulla nel doppio ruolo di madre e lavoratrice, non nascondendo anzi un filo di disappunto e sospetto verso chi sostiene un contrario per lei impossibile, e sbandiera con fierezza di aver anteposto a tutto le bambine, avute dall’ex marito Sam Cooper: «Mi dà molto fastidio quando dicono che si può avere tutto perché, francamente, non è possibile – rileva -. Alcune persone scelgono le loro carriere invece dei figli come priorità di vita».
L’artista, trentottenne, oggi legata sentimentalmente a David Harbour, attore noto per aver interpretato Jim Hopper in “Stranger Things” – si sono sposati nel 2020 -, intenerisce anche confessando le radici di una scelta chiara fin dall’inizio e mai messa in discussione: la volontà di non far vivere alle figlie la solitudine e il disagio da lei amaramente assaporati con due genitori, anche loro artisti, assenti nelle fasi sensibili della crescita: papà Keith, attore comico e musicista, e mamma Alison, produttrice cinematografica: «Mi sento come se la loro assenza abbia lasciato delle brutte ferite che non voglio ripetere con le mie figlie. Ho scelto di fare un passo indietro e concentrarmi su di loro e sono fiera di averlo fatto perché penso siano delle persone abbastanza complete». Pazienza se l’ultimo album, l’introspettivo “No Shame”, risale a sei anni fa: da allora si è spesa sempre più per la famiglia, costruendo il nido a New York e prestando attenzione a non iniettare nelle piccole i ricordi malinconici che accompagnano lei: «Nei miei primi trent’anni di vita ho passato più tempo a passeggiare con i miei cani che con mio padre. Voglio che le mie figlie, a differenza della mia, abbiano un’infanzia perfetta. Non voglio che passino il week-end in una camera al Groucho Club con un Toblerone a farle compagnia».
La scelta di una madre
Lily Allen, popolarissima star, confida che le figlie le hanno rovinato la carriera. Frase forte, ma è felice così: le bimbe non avranno le cicatrici lasciate a lei dall’assenza dei genitori