Home Articoli Rivista Idea «La nostra società deve dialogare con il carcere»

«La nostra società deve dialogare con il carcere»

Cosima Buccoliero è direttrice dell’istituto di Monza: «Le aziende mettano alla prova i detenuti»

0
2

Cosima Buccoliero, giurista, è attualmente direttrice del carcere di Mon­za. È arrivata a quest’ultimo incarico dopo esperienze im­portanti, una fra tutte la conduzione del carcere di Bollate, apripista in Italia di un modello nuovo e moderno di intendere la struttura penitenziaria. Un’espe­rien­­za durata sedici anni da cui è nato il libro “Sen­za sbarre”: «Pensare ad un modello Bollate ovunque non è fattibile – dice – ma è fattibile pensare che il rapporto con il territorio, con i volontari, con il cosiddetto mondo esterno sia di vitale importanza per i detenuti e per tutto il microcosmo che è un carcere. E quindi è im­portante costruire con la rete che sta fuori una serie di percorsi che possano entrare nel carcere e renderlo parte della comunità».

Lei sarà speaker a “Meta­morfosi, idee in trasformazione”, l’evento TEDx in programma a Cuneo il 4 maggio, parlerà di queste esperienze?

«Il mio intervento sarà sulla vita in carcere, in generale. Sottolineerò le difficoltà e le problematiche non soltanto quotidiane ma anche le difficoltà all’uscita, alla dimissione. E quindi, dati alla mano, parlerò di quella che è adesso la funzione del carcere: non di sicurezza per la società e neanche di risocializzazione purtroppo. E del­la necessità che sempre di più ci sia un’attenzione da parte della comunità esterna».

È difficile per il carcerato che ha finito la pena riuscire a rientrare nella società, ci sono soluzioni?

«Dobbiamo avere più attenzione per gli interventi di formazione. I problemi che affrontiamo non sono di delinquenza ma sociali, derivano dalla grande sperequazione che le persone affrontano. Chi finisce in carcere sono persone che vivono sempre più condizioni di precarietà. Le iniziative nel carcere ci sono ma non bastano, anche solo per il motivo che non raggiungono tutti perché gli istituti sono sovraffollati. I detenuti sono tanti, sono troppi. I servizi sono organizzati per meno persone e non sono in grado di sostenere un numero così alto. Il carcere di Monza attualmente ha 700 detenuti ed una capienza di 400. Innanzitutto quindi bisognerebbe abbassare il nu­mero e poi riuscire a creare delle opportunità, avere la possibilità di intercettare imprenditori che possano dare a queste persone una seconda possibilità creando situazioni che possano accoglierle quando escono. Tante volte succede che le persone lavorino quando sono in carcere ma quando finiscono la pena smettono perché non trovano altre opportunità».

Per i detenuti extracomunitari le difficoltà sono ancora maggiori?

«Purtroppo sì. L’integrazione di una comunità straniera è in­versamente proporzionale al nu­mero dei carcerati. Un problema sociale prima ancora che carcerario. In carcere sono gli ul­timi degli ultimi. Sono le persone più disagiate, che scontano fino all’ultimo giorno di pena e quando escono si ritrovano in una situazione anche peggiore di quella rispetto a quando sono entrati. Individui di grande fragilità, che generalmente non hanno la possibilità di uscire per scontare in comunità il residuo di pena, senza riferimenti e supporto. Spesso anche senza documenti, cosa che impedisce loro di trovare lavoro. Questo porta inevitabilmente a una recidiva alta».

Il quadro che viene fuori dalle sue parole è di un istituto di pena isolato, che interagisce poco con l’esterno. è così?

«Esatto ed è una sconfitta oltre che una visione miope della società. Queste persone rientrano in comunità e molto spesso tornano a delinquere, anche perché non hanno alternative. Se fuori si ripresentano situazioni di disperazione e non hanno opportunità è facile che ricadano nel crimine. Lo dico senza voler giustificare perché dipende molto anche dalla volontà e dalle decisioni personali, ma è un dato di fatto. La mancanza di risorse sicuramente incide. Il carcere ha una recidiva altissima, quasi il 70 per cento: così non funziona. È stato calcolato che su circa 56mila persone detenute, solo 18mila erano state riammesse al lavoro, ma di queste solo il 2 per cento era tornato a delinquere. Per fare in modo che il carcere funzioni abbiamo bisogno di creare opportunità, in collaborazione con la comunità: imprenditori, forze sane della città collaborino con il carcere, mettano alla prova le persone detenute, sia all’interno che fuori».

Altri tre speaker a Cuneo tra astri, doppiaggio e crisi internazionali

La rosa degli speaker di TEDxCuneo 2024 è ormai definita. Marco Bersanelli (docente di Fisica e Astronomia presso l’Università degli Studi di Milano), Fiam­ma e Giuppy Izzo (appartengono alla ce­lebre famiglia di doppiatori italiana, figlie di Renato) e Daniele Raineri (giornalista esperto di crisi internazionali, per La Re­pubblica segue la guerra in Ucraina e la questione israelo-palestinese) racconteranno la loro esperienza di Metamorfosi il 4 maggio al Complesso monumentale di San Francesco a Cuneo alternandosi agli altri sette speaker già annunciati: Va­lentina Garonzi, Andrea Casta, Chiara Pennetta, i Rusty Brass, Cosima Buc­coliero, Michele Mezza e Francesca Pic­ci. Biotecnologia, visual e street music, inclusione, percorsi dal carcere, agricoltura sostenibile, astrofisica, doppiaggio, informazione, geopolitica saranno i temi affrontati nei talk che potranno essere seguiti in presenza e in streaming.
I biglietti per l’evento sono disponibili su: https://www.tedxcuneo.com/biglietti/.