Tra i tanti spunti di riflessione emerge un’idea. La suggerisce l’ex comandante dei Ris, il generale Luciano Garofano, in collegamento da Parma: «Con le nuove tecnologie che oggi sono a disposizione degli investigatori, non sarebbe male affidare a una task force delle forze di polizia i cold case che hanno segnato la cronaca degli ultimi anni e che sono rimasti irrisolti. Penso, tra gli altri, a quanto accaduto per i casi Elisa Claps, Carretta oppure Bilancia, dove l’intervento scientifico fu già decisivo per individuare le prove».
Se n’è discusso ad Alba, nell’auditorium di Fondazione Ferrero, nel corso di un dibattito con l’ex colonnello dei Carabinieri, Biagio Fabrizio Carillo sul tema “Dalla cronaca alla pratica investigativa. Riflessioni su omicidi, femminicidi e casi da prima pagina”. Lo spunto suggerito da Garofano è nato dalle considerazioni fatte a proposito di ciò che accade su una scena del delitto, quando lì arrivano gli investigatori. È un momento che spesso si rivela decisivo, perché se per qualche motivo si verifica un inquinamento delle prove, tutto si complica. Ecco perché le tecnologie si devono unire alle compoetenze nella ricostruzione di ogni dinamica.
Dopo i saluti del segretario generale della Fondazione Ferrero, Bartolomeo Salomone, il dibattito è stato animato dal qualificato intervento di Garofano e si è poi sviluppato grazie alla lucida esposizione di Carillo, autore del suo “Manuale di tecnica dell’investigazione criminologica”. Su IDEA il colonnello, criminologo e scrittore, è protagonista di una rubrica (“IDEA Noir”) che ha affrontato e approfondito negli anni la cronaca nera e i suoi avvenimenti più eclatanti sottolineando spesso l’importanza di una corretta procedura delle indagini.
La tecnologia, con tutte le sue innovative risorse anche in questo campo, ha drasticamente cambiato lo scenario nel quale un investigatore può muoversi e sono nate nuove competenze. «Penso agli antropologi forensi – ha detto Carillo -, alla stessa psicologia forense molto utile negli interrogatori. Sempre tenendo conto che l’esperienza sul campo resta molto importante così come il lavoro d’equipe che deve mettere insieme tutte le conoscenze».
Nel racconto delle scene del delitto, ci si è soffermati sulle innovazioni che nel corso di questi anni hanno fatto e stanno facendo la differenza: dall’analisi del dna allo strumento del luminol capace di rendere visibili tracce di sangue altrimenti non riscontrabili, fino al test dello stub quando per un delitto è stata usata un’arma da fuoco. Garofano ha ricordato la svolta che grazie alle nuove risorse a disposizione degli investigatori si ebbe nelle indagini, a metà anni ’90, a Novi Ligure per gli omicidi commessi da Omar ed Erika. In quell’occasione fu utilizzata per la prima volta in Italia la Bpa (blood pattern analysis) basata sullo studio delle tracce di sangue.
Il rischio più evidente resta quello legato alla scena del delitto, cioè alla possibilità di «far nascere male un’attività investigativa e quindi trovarsi in difficoltà nel ricostruire quello che effettivamente è accaduto». Accade spesso che chi arriva per primo sul luogo del crimine, pur involontariamente finisca per inquinare le prove. «E allora diventa fondamentale la formazione – ha aggiunto Carillo – che deve essere rivolta sia alle forze dell’ordine sia ai soccorritori».
L’altro rischio costantemente dietro l’angolo, soprattutto in una società come quella attuale, immersa in una costante attenzione mediatica, è quello della spettacolarizzazione di un evento criminoso. Qui subentra un limite etico sul quale ha posto l’accento Carillo: «Da un lato il lavoro dell’informazione è prezioso perché può contribuire a far emergere dettagli importanti in vista di una soluzione che magari resterebbero nascosti. Dall’altro però un’eccessiva enfasi porta a danni anche irreparabili». E allora serve che ogni soggetto sia consapevole del suo ruolo.
«Una task force di grandi qualità per i casi irrisolti»
Il criminologo Biagio Fabrizio Carillo ha analizzato la scena del delitto: «Serve formazione per evitare errori»