Nel 1993, l’ultima volta in cui una tappa del Giro d’Italia arrivò a Fossano, era in gara, chiuse la corsa rosa al terzo posto e vinse la classifica del miglior scalatore (maglia verde). Lunedì 6 maggio, trentun anni dopo, il ciclista Claudio Chiappucci sarà al traguardo per assistere all’arrivo del gruppo. Già nei giorni scorsi, è stato in città per una pedalata con gli allievi delle scuole del territorio.
Una carriera, la sua, che ha nei punti più alti le tre tappe conquistate al Tour de France (1991, 1992, 1993) e quella di Corvara in Badia al Giro 1993. Classe 1963, originario del Varesotto, dove continua a vivere, è stato professionista dal 1985 al 1998.
Chiappucci, che ricordi ha di quell’arrivo a Fossano?
«Per chi fa questo mestiere, non è semplice ricordare le singole tappe. Ma c’è un aspetto che accomuna tutte le tappe del Giro: l’entusiasmo lungo le strade, il tifo della gente, l’allegria dei paesi dove passa la corsa. Era stato così anche in quell’occasione a Fossano».
Come le sta sembrando la città, in questi giorni in attesa della tappa?
«Sono contento di poter essere con i ragazzi delle scuole. Per uno che, come me, è anzitutto un grande appassionato di ciclismo, poter trasmettere la mia passione e raccontarla è sempre stato un grande privilegio».
La passione è la stessa di quando era corridore?
«Certo, la passione non è mai cambiata».
Quindi continua a salire in sella anche ora che sono passati diversi anni dalle ultime gare? C’è chi, terminata la carriera, decide di cambiare totalmente vita.
«Non è il mio caso. Uso la bici ogni volta che posso. La uso anche per spostarmi in città. Se devo andare a pranzo da un amico o a fare una commissione, mi piace farlo in bici, quando è possibile».
Le nuove tecnologie hanno cambiato molto del ciclismo. Guardando le corse di oggi, cosa nota di completamente diverso dagli anni in cui gareggiava lei?
«Fare paragoni è quasi impossibile. Una volta anche gli uomini di classifica andavano in fuga da lontano. Adesso sarebbe improponibile. Poi penso ai percorsi delle tappe. Oggi le tappe possono essere più brevi, ma molto più complicate, soprattutto in salita. È possibile grazie alle biciclette moderne, che non sono le stesse che utilizzavamo noi. C’è però una cosa che non è mai cambiata».
Quale?
«La fatica. Il ciclismo è uno sport di fatica. È la stessa per tutti: chi arriva per primo, chi taglia il traguardo tra gli ultimi. Tutti pedalano sulla stessa strada e fanno la stessa fatica. Anche guardando le corse da casa, le immagini mettono sempre in risalto questo aspetto. Non è solo questione di tecnica e strategie. Le molte variabili incontrollabili aumentano il fascino delle gare».
Per esempio?
«Una caduta, una foratura, un problema meccanico… Non si può controllare tutto. Quest’anno Pogacar parte da grande favorito e tutti siamo entusiasti di vederlo in azione sulle nostre strade. Ma anche i più grandi campioni devono fare i conti con le incognite e gli imprevisti».
A Fossano si aspetta anche lei un arrivo in volata? Chi vede come favorito?
«Tra i velocisti, sono in tanti a poter fare bene. Sarà una tappa interessante, la prima veloce dopo le salite del primo e del secondo giorno. Lo spettacolo è garantito. Lungo le strade e in televisione, potremo ammirare due caratteristiche che contraddistinguono tutti i migliori ciclisti: lo spirito e la passione».
La sua, di passione, dov’è nata?
«Ero ragazzo, stavo provando diversi sport. Quando ho sperimentato la bicicletta, ho subito capito che mi piaceva più di tutti gli altri che avevo praticato fino a quel momento. Ho continuato. È stata la scelta giusta, visto che oggi sono ancora qui a parlarne».
Articolo a cura di Luca Ronco