«Occhio a Jonathan Milan, che arriva al Giro con una squadra ben attrezzata ed è pronto a fare bene. A Fossano, tutti avranno sulle gambe le salite dei primi due giorni. Chi punta a vincere la corsa, quest’anno più che mai, deve essere protagonista da subito e non può restare a guardare».
Della storia del ciclismo, soprattutto quello italiano e soprattutto al Giro d’Italia, conosce aneddoti, dietro le quinte e segreti di ogni tipo. Beppe Conti, giornalista e scrittore, segue e racconta la corsa Rosa da quasi cinquant’anni, in televisione e non solo. Anche questa volta sarà tra gli ospiti fissi dei programmi della Rai che trasmetteranno le tappe della 107esima edizione, dal 4 al 26 maggio. Lunedì 6 maggio, ci sarà anche lui ad assistere alla Novara-Fossano, 166 chilometri nella pianura Padana, con gli unici strappi di Lu e Cherasco.
Che tappa si aspetta?
«Sarà il primo appuntamento adatto ai velocisti. La breve salita sul finale, a Cherasco, è poco impegnativa e non spaventa. Se partirà la fuga, le squadre proveranno a contenerla per garantire l’arrivo in volata. Ma, fino al 3 maggio, queste restano solo ipotesi. Nel calcio si dice che la palla è rotonda; nel ciclismo, che la corsa la fanno i corridori. Il significato non cambia: lo sport è sempre imprevedibile.
Tanto più in un Giro come quello di quest’anno».
C’è qualche novità che può cambiare le carte in tavola?
«Avere la salita fino a Oropa già al secondo giorno (tappa San Francesco al Campo-Santuario di Oropa, domenica 5 maggio, 161 chilometri, ndr) significa avere un Giro diverso dal solito. Non dimentichiamoci che il primo giorno c’è anche l’attesa salita di Superga, a metà di una tappa molto impegnativa (Venaria Reale-Torino, 143 chilometri). Solo alla terza tappa si potrà puntare tutto sulla velocità. Indossare la maglia rosa da subito può essere un rischio, perché mantenerla a lungo è sempre molto complicato. Ma chi ambisce a conquistare la corsa non può temporeggiare e aspettare l’ultima settimana per risalire la classifica».
Chi potrà fare bene, secondo lei, al traguardo di Fossano?
«Potrebbe essere l’occasione per una bella recita di Jonathan Milan, che arriva al Giro con una squadra ben attrezzata, ha già vinto al Giro (Teramo-San Salvo, 7 maggio 2023, ndr) ed è pronto a conquistare altre tappe. Dovrà guardarsi le spalle dal belga Tim Merlier, che a Fossano potrebbe fare bene. Per il resto, le squadre stanno ancora definendo gli elenchi di chi sarà iscritto alla corsa e potrebbero esserci tanti altri nomi adatti a questa tappa».
Per la classifica finale del Giro, al termine della 21esima tappa a Roma il 26 maggio, il grande favorito è uno solo, vero?
«Tadej Pogacar, classe 1998, nazionalità slovena. Quest’anno ambisce a coronare il sogno di una delle imprese più difficili del ciclismo: vincere il Giro e il Tour nella stessa annata. Tra gli italiani, per ora, solo Coppi e Pantani sono riusciti a realizzarla. E chissà cosa riuscirà a fare Pogacar anche alle Olimpiadi. È lui il grande favorito per il Giro, ma non dovrà sottovalutare le insidie della corsa. Potrebbe puntare già molto sulle prime tappe, con buoni piazzamenti a Torino e Oropa».
A Fossano l’ultimo arrivo di tappa è stato nel 1993. Se lo ricorda?
«Ho rivisto le immagini proprio in questi giorni, per preparare un servizio che andrà in onda in televisione. Quella volta, ci fu un bell’arrivo in volata. Era l’anno della seconda vittoria consecutiva dello spagnolo Miguel Indurain, che a Fossano confermò la Maglia Rosa. Fu Adriano Baffi a vincere la tappa».
Dopo Nibali, l’Italia fatica a trovare un nuovo campione in grado di conquistare la scena mediatica. Come se lo spiega?
«Ai nostri ciclisti non mancano il talento né le capacità. Non si può non tenere in considerazione un aspetto: negli ultimi anni, il ciclismo si è mondializzato moltissimo. Ha avuto un percorso diverso da altre discipline. Per anni, nello scorso secolo, al Giro si vedevano solo corridori italiani. A lungo, hanno dominato sempre le solite quattro o cinque nazioni, tra cui l’Italia. Adesso il movimento, su scala globale, è molto cresciuto. Sarà importante trovare un nuovo campione che si imponga sulla scena internazionale. Ma lo spettacolo delle grandi corse è lo stesso indipendentemente da chi vince. Questo, il pubblico, lo sa bene. Basta osservare l’entusiasmo di chi, ogni anno, assiste di persona al passaggio del Giro.
Le prime tre tappe del Giro, quest’anno, sono tutte in Piemonte. Il 1° luglio, poi, la terza tappa del Tour de France si snoda tra Piacenza e Torino (229 chilometri) e il giorno seguente, la quarta, va da Pinerolo a Valloire (138 chilometri). Adesso la Giunta regionale si è candidata anche a ospitare la Vuelta nel 2025».
Il Piemonte può ambire a imporsi sulla scena ciclistica internazionale?
«Lo sta già facendo. In Regione sono stati bravi a capire quanto questa disciplina possa dare al territorio. Uno studio recente sostiene che ogni euro investito nelle grandi manifestazioni del territorio ne renda 7,5. Sono contento che non siamo più unicamente una regione calciofila. Anche i talenti non mancano. Basta pensare a Filippo Ganna, che da queste parti è sempre ben accolto dai tifosi».
Il suo libro sul Tour con storici retroscena
Ha anche scritto un nuovo libro… sulla maglia gialla, Beppe Conti. Si intitola infatti “Il giallo del Tour” ed è edito da Minerva. Si parla di trionfi e tragedie, imprese storiche, retroscena, segreti, misteri e misfatti dei leggendari protagonisti del Tour de France, dal 1903 ai giorni nostri. Dal primo vincitore, Maurice Garin, uno spazzacamino valdostano che rinnegò l’Italia per la Francia, al primo vincitore italiano Ottavio Bottecchia, nel 1924 e nel ’25. Poi nel ’27 la sua morte misteriosa sulle strade friulane. Il fascismo impedì a Bartali di vincere nel ’37. La vera storia del passaggio della borraccia fra Gino e Fausto. La leggenda di Pantani, che salvò il Tour dagli intrighi del doping, ultimo campione ad aggiudicarsi nella stessa estate prima il Giro e poi la corsa a tappe francese. Le frodi di Armstrong, l’arrivo dei britannici. L’ultimo nostro grande trionfo con Vincenzo Nibali, sino ai duelli fra Pogacar e Vingegaard.
Articolo a cura di Luca Ronco