Home Articoli Rivista Idea «Casa delle minoranze l’Europa è al centro di questioni vitali»

«Casa delle minoranze l’Europa è al centro di questioni vitali»

L’ex direttore del Corriere della Sera sabato riceverà il premio “Cherasco Storia”: «Affluenza ai minimi? Ci pensano i giovani ad alzare la media. L’Ue è chiamata a regolare intelligenza artificiale e nuovo umanesimo, transizione ecologica ed esercito continentale. Sarà un’assemblea “costituente”»

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In avvicinamento alle elezioni europee di inizio giugno e prima dell’occasione di “Che­rasco Storia” che lo vedrà tra i premiati, per IDEA abbiamo consultato un giornalista e saggista qualificato come Fer­ruccio De Bortoli, intellettuale tra i più attenti al concetto (in evoluzione) di Europa.

Direttore, mai come questa volta c’è il timore di un’affluenza davvero molto bassa tra meno di un mese. È così?
«C’è il rischio effettivo di una delegittimazione popolare di quella che resta la più importante istituzione europea. Ne­gli anni ’90 si cominciò a registrare un primo calo di affluenza dopo l’inizio molto promettente del 1979, in occasione delle prime elezioni a suffragio universale e dirette (in precedenza erano di secondo livello). I dati fu­rono molto alti, con un 65% di elettori alle urne e in Italia si arrivò addirittura all’85%. Fu un’affermazione rilevante. Poi si passò da 9 Paesi partecipanti ai 27 attuali. Negli anni la cifra si è attestata al 45-46% fino all’ultimo dato molto alto del 2019 quando è stato registrato un 50% caratterizzato soprattutto dalla grande partecipazione degli elettori più giovani. Un dettaglio significativo, perché i giovani hanno voglia di Europa».

Nel frattempo sono arrivati molti richiami per sottolineare l’importanza dell’appuntamento dall’8 al 9 giugno.
«Proprio riferendomi ai giovani, non è passata inosservata la pubblicità in occasione dell’Eurovision festival: il parlamento europeo ha parlato direttamente ai giovani, ricordando che alle elezioni potranno decidere direttamente il nuovo Parlamento. C’è da sottolineare che ormai il 70% della nostra legislazione ha un’origine europea, i parlamenti delle diverse na­zioni hanno sempre di più un ruolo secondario verso questioni che riguardano la co­munità internazionale. E il prossimo Parlamento europeo dovrà occuparsi tra le altre cose di transizione energetica, di intelligenza artificiale e soprattutto dovrà decidere se l’Europa dovrà dotarsi di un esercito comune. Sarà una sorta di assemblea costituente su temi essenziali…».

Tutto questo nel bel mezzo di un’evoluzione tecnologica inarrestabile, con varie ricadute.
«Fondamentale la regolamentazione della partita tecnologica che si gioca anche sul versante dei risvolti antropologici, che portano a un nuovo umanesimo o, come è stato definito, trans-umanesimo. Ma ci sono tanti altri argomenti – come l’energia – che hanno a che fare con le nostre vite».

In questo scenario colpisce però negativamente l’apparente disinteresse della politica italiana: il cammino verso le Europee è stato contraddistinto dalle solite scaramucce interne.
«Storicamente le elezioni si prestano a queste speculazioni. Non è solo un difetto italiano. Ormai è diventato una sorta di appuntamento di “mid term”, come accade negli Stati Uniti per una verifica del mandato elettorale. Sta accadendo in Europa, le votazioni continentali sono un’occasione per una verifica degli equilibri nazionali. La premier Meloni ne ha fatto quasi una questione personale, da “io sono Giorgia” tutto è incentrato su di lei. Come se con l’occasione delle Europee possa trovare un’eventuale conferma della sua leadership personale. La domanda che si fa è: al di là delle vicende di partito, ho superato il pregiudizio storico che pesa anche sulla mia persona? Questo è l’interrogativo. Ma poi un discorso analogo lo si può estendere a tutti i candidati, perché anche Elly Schlein ha incentrato la sua campagna su sé stessa e sulla segreteria del Pd, la leadership va oltre le divisioni interne su temi come le guerre, il jobs act e tutto il resto. Ecco perché si va verso le elezioni non solo come mid term, ma per la conferma delle leadership personali. E vale anche per Giuseppe Conte, leader dei 5 Stelle. Sono torsioni politiche che ci tengono lontani da temi di interesse europeo. Ne ricordo uno: il Pac, ovvero Politica agricola comune. Significa mettere in campo per cinque anni gli interventi comunitari in agricoltura e, fatalmente, anche sul versante energetico».

Nel frattempo Ursula von der Leyen è stata ospite da Fabio Fazio e ha preso posizione sulla necessità dei due stati, Israele e Palestina.
«Sulla risoluzione Onu che per la prima volta ha aperto al riconoscimento dello stato palestinese, l’Europa si è divisa. La Spagna per esempio si è schierata totalmente a favore, altri stati come l’Italia sono stati più prudenti. È così emersa la debolezza del Pesc (Politica estera e di sicurezza comune), già verificata in occasione della guerra in Ucraina. Il rischio è di dimenticare il ruolo di Israele come avamposto della cultura occidentale, pur considerando i difetti di Netanyahu non bisogna confonderlo con il popolo israeliano in una semplificazione eccessiva. L’altro tema è l’imbarazzo degli Usa che storicamente è al fianco di Israele ma non ha condiviso i metodi usati in reazione al pogrom del 7 ottobre scorso».

Lei sabato sarà in Langa per ricevere il premio giornalistico Cherasco Storia. Da poco è stato celebrato l’anniversario dell’Armistizio datato 28 aprile 1796: anche dalla figura di Napoleone è passata l’idea di Europa?
«Nel bene e nel male sì, specie per quanto riguarda aspetti come l’idea dello stato laico e la codifica delle leggi che hanno portato al nostro codice civile. Lui aveva un’idea d’Eu­ropa alla francese e qualche volta, an­che recentemente, abbiamo visto quell’istinto in Ma­cron».

Qual è secondo lei il concetto alla base dell’idea di Europa?
«La tutela delle minoranze. L’Europa stessa è un’unione di minoranze, spesso inserite nel contesto di altri stati. La stessa guerra che si combatte tra Russia e Ucraina nasce dalla mancata integrazione delle minoranze. L’Europa può e deve essere la risposta vincente, per una messa in sicurezza sul piano civile, dei cittadini e delle politiche. Guardiamo anche alla Catalogna, in quel caso la questione è stata risolta dall’Europa non assecondando la spinta indipendentista catalana. E se ci pensate, proprio una questione di minoranza è stata l’ostacolo maggiore alla riuscita della Brexit, cioè la questione nordirlandese. Che così è stata disciplinata, garantita e appoggiata dall’Europa, condivisa dall’Ir­landa che fa parte dell’Ue, con le frontiere che sono rimaste rimaste inalterate anche dentro alla Brexit».

CHI È

È nato a Milano il 20 maggio 1953. Dal 2015 ricopre la carica di presidente della casa editrice Longanesi e dell’associazione Vidas. Attualmente ha il ruolo di editorialista del Corriere della Sera e del Corriere del Ticino oltre a curare una rubrica nell’edizione serale di Tg2000

COSA HA FATTO

È stato in due occasioni direttore del Corriere della Sera (dal 1997 fino al 2003 e in seguito nel periodo dal 2009 al 2015), nonché direttore del Sole 24 Ore dal 2005 al 2009. È stato anche amministratore delegato di Rcs Libri e presidente di Flammarion

COSA FA

È stato scelto da Cherasco Storia come destinatario del premio giornalistico per l’edizione 2024: sabato 18 maggio durante la giornata conclusiva della manifestazione, dopo la lectio magistralis di Marie Favereau e Tamar Herzig, sarà presente assieme ad altri personaggi della cultura come Mario Turetta (che abbiamo intervistato in altra pagina del giornale)