Home Articoli Rivista Idea «La vita di Herbert in una rapsodia d’amore autentico»

«La vita di Herbert in una rapsodia d’amore autentico»

Caroline Pagani e il suo spettacolo dedicato al fratello: «Autore, paroliere, conduttore e artista»

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Parlare con Caroline Pagani di suo fratello Herbert, è un po’ come percorrere a ritroso un pezzo di storia tra gli anni Settanta e gli Ottanta con gli occhi incantati di una bambina. Un fratello maggiore, molto maggiore, un quasi padre adorato, emulato, troppo presto perduto. Herbert Pagani morì a soli 44 anni, nel 1988, quando Caroline era adolescente. E oggi che è una donna, artista indipendente di un teatro altrettanto indipendente, ha deciso di rendergli omaggio. Di rimediare a modo suo ai torti della dimenticanza, alle ingiustizie, persino alle colpe di questo nostro Paese, e di questo tempo ingrato, nevrotico, pronto a seppellirti per rin­correre nuove glorie da idolatrare nello spazio di una stagione.

Caroline, com’è nata l’idea di questo spettacolo, “Per amore dell’amore”, un atto d’amore già solo nel titolo.

«È un’idea che avevo da tempo. Tenevo molto a questo lavoro che non è semplicemente un concerto perché tratta la figura di Herbert a 360 gradi. Herbert era autore e paroliere, era conduttore radiofonico, i suoi programmi hanno rinnovato la radiofonia di quegli anni, era ecologista e pacifista e il suo primo amore è stato per l’arte visiva: ha creato opere d’arte riciclando i rifiuti che recuperava sulle spiagge. Diceva che siccome i rifiuti non hanno valore, hanno in realtà un valore inestimabile».

Al punto che le sue opere sono state esposte persino a Ferrara a Palazzo dei Dia­manti, una cosa seria.
«A Ferrara e anche a Milano, a Brera, nella chiesa sconsacrata di San Carpoforo e in altri spazi ancora».

Di cosa si tratta esattamente?
«Sono opere realizzate con materiali di recupero, legnetti che sono serviti a creare modellini enormi di città, scarpe vecchie che sembrano volti oppure assemblate a restituire ritratti, Woody Allen, Alfred Hitchcok, tanti papi».

E si possono vedere nello spettacolo?

«Alcune opere vengono vi­deoproiettate. La regia è di Giuseppe Marini e in scena con me c’è anche Giuseppe Di Be­nedetto, pianista che suo­na dal vivo musiche arrangiate da Alessandro Nidi».

Possiamo definirla una forma di teatro canzone?
«Io lo definirei una rapsodia che ripercorre la sua vita attraverso il mio sguardo di bambina, quando lo seguivo sulle spiagge o nella sua casa atelier di Milano, un posto bellissimo che aveva ricreato da una vecchia fabbrica dismessa, a due piani».

Ci spieghi meglio la scelta del titolo.
«Ha a che fare con l’idea di gratuità dell’amore e dell’arte, l’inestimabilità delle opere e dell’amore quando è incondizionato. Nello spettacolo si parla molto di amore incondizionato: per i genitori, i figli, gli animali, la città in cui si vive».

Ecco, la città: lei vive tra Roma e Venezia e a Venezia Herbert era molto legato.

«E si mobilitò molto per la sua salvaguardia. Fece anche un documentario, “Venezia amo­re mio”, una sorta di pamphlet ci­nematografico che venne poi scelto dall’Unesco come monito da diffondere per sensibilizzare alle problematiche della città».

Cosa conserva del vostro rapporto?
«Ho fatto in tempo a innamorarmi di tutto quello che faceva. Un fratellone a cui chiedevo consigli perché allora avrei voluto fare la pittrice e gli chiedevo di insegnarmi».

E lui?

«Lui diceva che non sono cose che si insegnano e che non bisogna avere padroni, ma un grande amore per la propria vocazione, se il caso anche lottando con la famiglia».

Lei ha dovuto lottare?

«Oh sì, moltissimo. Volevano mi iscrivessi a Giurispru­denza o Economia e Com­mercio. Invece io ho studiato filosofia e teatro».

Capisco. So che sta scrivendo un libro sul Bardo dal titolo molto curioso, “A letto con Shakespeare”.

«Si tratta di un testo in cui analizzo i rapporti amorosi dei personaggi maggiori delle sue ope­re, tutte tranne i drammi storici. Al centro c’è sempre la po­tenza della parola di Shake­spe­are che non ha bisogno di scenografia perché le sue opere so­no perfette scenografie verbali. Shakespeare ci dice quello che noi umani siamo capaci di fare per amore».

Quale personaggio shakespeariano la intriga di più?
«Cleopatra è di per sé personaggio teatrale. Una donna che met­te in scena sé stessa, che sa come usare il demone dell’eros. E poi è divertente, si presta per fare parodia, è possibile cogliere gli aspetti più critici con ironia».

E a proposito di eros e di amore incondizionato, cosa mi dice di questo verso: “chi è troppo amato amore non dà”, tratto da “Teorema”, uno dei più celebri testi scritti da Herbert e portato al successo da Marco Ferradini che scatenò le sue ire sui social?

«Più che ire il mio era disappunto. “Teorema” è un testo bellissimo ma è anche un regalo ge­neroso che Herbert fece a Mar­co Ferradini che a quella canzone deve tutto, perché era scomparso dalle scene e fu grazie a “Teorema” che tornò a cantare e ad avere successo. Però quando gli dicono “ma che bel testo” lui risponde “grazie” e di Her­bert non fa parola. Un’omis­sione molto grave».

Vero. Ma scorriamo ancora un po’ le strofe. “Prendi una donna, trattala male. Lascia che ti aspetti per ore”: eppure alla fine non sembra un testo maschilista. Un paradosso?
«Ma sì. Herbert era femminista. C’è una lettera che scrisse a Ingmar Bergman in cui descrive il suo lato femminile e gli dice che quando pensa alle donne, pensa alle attrici dei suoi film che non sono solo le sue attrici ma rappresentano tutte le don­ne. Herbert scrive che Bergman aiuta le persone a partorire la propria verità, così come i pa­stori con le pecore e i preti con le anime».

È vero che molti testi di prosa e di poesia, oltre naturalmente alle canzoni più belle, faranno parte di un album dedicato?

«Un doppio album uscito in tiratura limitata da vendere dopo lo spettacolo, per ora soltanto su supporto fisico. “Pa­gani per Pagani”».

Ha incontrato delle difficoltà dal punto di vista emotivo, nell’affrontare una materia così incandescente e personale?
«L’emotività è sempre una risorsa ma bisogna sapere attingervi mantenendo la giusta lucidità. In questo caso la tecnica è stata molto importante perché con le canzoni non ti puoi permettere cedimenti emotivi. Io canto tutti i giorni e mi sono preparata affidandomi a un’e­sperta come Francesca Della Monica, vera e propria maieuta della voce».

Teorema fa parte della scaletta dello spettacolo?

«No, non la canto perché non mi piacciono le musiche, che non sono di Herbert».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco