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«Fedra è una donna contemporanea che ama come noi»

Le grandi passioni di Alessandra Salamida: «Tragedia greca e poesia. Mi piace la dimensione rituale del teatro»

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«Tu somigli alle donne di Cre­ta”. Così le disse Theo­do­ros Terzopoulos, regista greco di cui è stata allieva. Lei è Alessandra Salamida, italianissima attrice di madre bergamasca e padre tarantino, nata e cresciuta in un piccolo paese in provincia di Bergamo e di stanza a Milano, dove ha frequentato università e Accademia dei Filodrammatici. Eppure la Gre­cia è una costante della sua vita, per la Grecia dichiara “amore spropositato”, di grecità è puntellato il suo percorso di donna e di artista. Una passione che ha attecchito molto presto, negli anni di liceo, quando Ales­sandra già progettava di fare l’attrice e le tragedie greche erano per lei approdo e sintesi di studio e vocazione. “Bac­canti”, “Supplici”, “Coefore e Eumenidi” sono state l’ingresso con i crismi in quello che è il tempio della tragedia per eccellenza: il Teatro Greco di Si­ra­cusa, dove ora è Fedra, protagonista di “Ippolito portatore di corona” di Euripide, nell’allestimento del regista scozzese Paul Curran, a sere alterne fino al 28 giugno, prima di toccare Pom­pei l’11, 12 e 13 luglio e Verona l’11 settembre.

Alessandra, ci racconti di questa Fedra e dell’incontro con Curran.
«Pensi che non volevo nemmeno partecipare al provino. Lui è scozzese, vive negli Stati Uniti e io l’inglese lo parlo pochissimo».

E invece?
«Invece è lui che parla italiano. Gli sono profondamente grata per avere visto in me Fedra».

Cosa le ha detto? È vero che voleva una Fedra dalla sensualità prorompente?

«Mah, ci sono state tante circostanze favorevoli. Mi ha chiesto cosa pensassi io del personaggio e siccome lo avevo affrontato nel mio primo esame universitario, avevo maturato idee abbastanza chiare».

In particolare?

«Fedra vive un conflitto insanabile tra desiderio e repressione, tra libertà e autocoercizione. Non è responsabile del suo in­namoramento per il figliastro Ippolito, ma lo è nella misura in cui si sforza di contrastarlo. Il suo è un dramma tra attrazione e rifiuto che genera sempre frustrazione e la frustrazione, a sua volta, genera mostri. Ma la presenza del dolore rispetto all’essere rifiutati è cosa che ri­guarda tutti gli esseri umani».

In questa ottica immagino si collochi la lettura contemporanea che Curran ha dato di Euripide.

«Sì, Paul ha posto l’attenzione sulla salute mentale di Fedra perché l’amore, quando è im­possibile da vivere, può portare all’ossessione, alla depressione, al suicidio. Fedra qui è portatrice di un grande malessere fisico, digiuna, non si regge in pie­di. Il suo eros ha la forma della malattia e del delirio. Inoltre è lei che incarna la colpa atavica della madre Pasifae che si era unita con un toro, colpa che Fe­dra vuol tenere segreta ma che poi trapela dalla malattia».

E con Pasifae che si è unita al toro siamo di nuovo in piena mitologia. D’altra parte la verità anche qui arriva con l’intervento di Artemide, dea ex machina.

«Sì, ma qui Artemide incarna una divinità più umana, che arriva persino a commuoversi e la tragedia stessa, che non si chiude più con la battuta del coro, ma con la battuta di Teseo “Atene gloriosa, terra di Pallade che grand’uomo perdete. Afro­dite, mi ricorderò per sempre dei tuoi mali”, restituisce un dramma più contemporaneo».

Allora lasciamo da parte anche i magheggi di Afrodite: perché Fedra si innamora di Ippolito?
«Per la purezza, la giovinezza, la diversità rispetto a Teseo che era un seduttore e soprattutto per la fascinazione per qualcosa che non si può avere».

Però poi lo calunnia dicendo che è lui ad avere tentato di violentarla.

«In questo vedo il suo lato ombra: la calunnia per un verso è un modo per salvare il suo onore, d’altra parte è proprio il frutto del risentimento per essere stata rifiutata, un tratto, questo, molto umano».

Lei riabilita questa figura?
«Sì perché fa davvero di tutto per padroneggiare questo sentimento, ma poi cede alla supplica della nutrice che le chiede ragione della sua sofferenza. E sappiamo bene quanto sia im­portante la supplica per i Greci».

Allora veniamo proprio alle “Supplici” che lei interpretò qualche anno fa diretta da Moni Ovadia.

«Un’esperienza bellissima in cui cantavo in greco un testo scritto da me, che comprendeva versi dalla tragedia».

E la musica?

«Non l’ho mai studiata ma la invento cantando, seguendo quello che mi risuona dentro, poi i musicisti trovano le note».

Davvero curioso.

«Cominciai in gita scolastica, a Epidauro, cantando un inno alle Baccanti composto da me».

E poi non ha più smesso: che cos’è “La Grecia siamo noi”?
«Uno spettacolo di testi e canzoni nato per diffondere la poesia greca contemporanea: la tragedia greca e la poesia sono le mie due grandi passioni».

Infatti ha affrontato un poeta greco contemporaneo come Ghiannis Ritsos prima che fosse così conosciuto anche in Italia. Quale delle sue eroine vorrebbe interpretare?
«Sono molto legata a “Criso­temi”, il testo che ho studiato insieme a un’attrice greca, e ora anche a “Fedra”».

Naturalmente. Come ha conosciuto Theodoros Terzopoulos?
«Dopo la laurea sulla tragedia greca con Dario Del Corno frequentai un lettorato in lingua neogreca e vinsi una borsa di studio per Salonicco dove co­nobbi alcuni attori legati a lui. Però l’incontro vero e proprio avvenne durante un laboratorio a Berlino. Mi aveva scelta per le “Baccanti”, spettacolo che non si fece per la pandemia».

Cosa la lega alla scuola greca di un regista come Terzopoulos e in cosa si distingue dalla nostra?

«Il suo lavoro parte dal corpo come centro di energia che, portato al suo limite estremo, ci libera da strutture e sovrastrutture: la voce segue organicamente il lavoro sul corpo perché liberando il corpo, si libera anche la voce. Io del teatro amo soprattutto la dimensione rituale, lontana dal dramma borghese e faccio mia l’indicazione di recitare orizzontalmente e verticalmente cioè per lo spettatore e rivolta al cielo».

Torniamo alle sue origini: madre bergamasca e padre tarantino: ma quel Salamida? Mi ricorda in modo irresistibile quella battaglia di Salamina vinta da Temistocle nel mare della Grecia.
«Infatti in Grecia esiste un paesino che si chiama Salamidas: l’ho cercato quando sono stata in gita scolastica, ma mio papà è tarantino».

Però lei ricorda le donne di Creta.

«E siccome a Creta non ci sono ancora stata, ho in programma un viaggio da sola, appena terminate le repliche».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco