Home Articoli Rivista Idea Il clima che cambia: quali conseguenze su vino e tartufi?

Il clima che cambia: quali conseguenze su vino e tartufi?

Le piogge renderanno più fresco il mese di giugno, ma si prevede già un forte incremento delle temperature tra luglio e agosto in tutta Europa

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L’Italia, come gran parte del Piane­ta, si accinge ad af­frontare l’ennesima estate cocente, che, secondo i climatologi, potrebbe eguagliare, se non superare, le ondate di calore record degli ultimi due anni. La siccità prolungata tornerà con precipitazioni che seguiranno la tendenza ormai decennale di fenomeni sempre più rari ma sempre più intensi, esempio recente la grandinata anomala che il 7 maggio ha colpito la città di Mondovì.
Questi dati fanno presagire una stagione difficile per i tartufi, che prosperano nel terreno fresco e umido, e per i vigneti, il cui frutto perde di qualità se esposto a temperature troppo alte e in mancanza d’acqua. Un indebolimento di queste industrie avrebbe un impatto economico enorme, come mostrano gli studi accademici. Si stima infatti che il Pil globale scenda del 3,2% in risposta ad un incremento delle temperature pari a +1,5 C, e del 10% qualora le temperature si alzassero di +3°C. In Italia un clima più avverso potrebbe risultare in un crollo del Pil pari al 3,7% entro il 2050, secondo le stime del G20. L’ultimo inverno si è rivelato particolarmente mite sul territorio europeo, con aprile che è stato – come gli undici mesi precedenti – il mese più caldo registrato, secondo Coperni­cus, il programma di osservazione europeo.
La temperatura si è alzata, dal 1980 ad oggi, di +0,8° C globalmente, mentre l’incremento registrato in Italia nello stesso periodo è pari a +1,75° C, come mostrano le ricerche di Claudio Cas­sandro dell’Università di To­rino. L’anno scorso, l’Italia è stata colpita dalle ondate di calore Cerbero e Caronte. «Le previsioni attuali per l’estate preannunciano una stagione molto calda su tutto il territorio europeo» dice Todd Crawford, dirigente della sezione meteorologia presso Atmospheric G2, agenzia di previsioni me­teo­rologiche statunitense che studia il territorio europeo dal 2002. «Le temperature supereranno leggermente quelle dell’anno passato, e si avvicineranno a quelle del 2022 in alcune parti d’Eu­ropa, nella fa­scia meridionale – e dunque anche in Italia – dove si prevede il superamento maggiore della media».
Luglio e agosto saranno più caldi del solito, mentre maggio e giugno si preavvisano più freschi, avvisa Crawford. A maggio le precipitazioni saranno sopra la media, ma luglio e agosto minacciano una siccità accanita. La mancanza d’acqua è un altro problema incombente. Fra le braccia delle Alpi, il Pie­monte si è sempre appoggiato sulle nevicate invernali per ricolmare le sue riserve idriche, ma il manto nevoso si assottiglia di anno in anno e il Po si è ridotto ad un ruscello. La concentrazione di “gas serra” – fra cui il metano e le emissioni de­rivanti dalla combustione di carburanti fossili – nell’atmosfera ha portato a condizioni climatiche estreme.
I tartufi sono pignoli sul terreno dove prosperano; sono estremamente sensibili ai cambiamenti avversi del loro habitat, in particolare il tartufo bianco d’Alba, il Tuber magnatum Pico, così chiamato da un medico torinese di nome Vittorio Pico, che nel 1788 soprannominò un tartufo bianco Tuber magnatum. Il Pico prospera meglio su terreni ben drenati, morbidi, composti da sabbia e argilla in proporzioni più o meno uguali. Il terreno deve avere un pH fra il neutro e il moderatamente alcalino, e le temperature estive devono essere di circa 20°C.
Saranno necessarie molte più ricerche per capire come i cambiamenti influenzeranno il ciclo vitale del tartufo. Che possiede già alcuni meccanismi di difesa. Il micelio del “Pico” prolifera in profondità nel terreno, circa 10-20 centimetri. A queste profondità il suolo è meno disturbato e il micelio è protetto dallo stress ambientale e dalla concorrenza di altri organismi. Per quanto riguarda i vigneti, i cambiamenti climatici stanno influenzando la resa dell’uva, la composizione e la qualità del vino, come hanno recentemente dimostrato i ricercatori dell’ Università di Bor­deaux: un’eccessiva siccità e ondate di calore più frequenti e più intense potrebbero portare alla scomparsa di quasi il 90% delle regioni vinicole tradizionali in Italia entro la fine del secolo.
In Piemonte, il clima caldo produce germogli molto delicati all’inizio della primavera, quando la regione è suscettibile al gelo. Grandinate forti e dannose, soprattutto alla fine dell’estate, sono diventate più frequenti, distruggendo i vigneti quando gli acini d’uva – piccoli, duri e di colore verde brillante – si stanno formando, una fase chiamata “allegagione”. Le temperature più calde prolungano il periodo in cui il vapore acqueo nell’atmosfera è in deficit, c’è radiazione solare e lo stress idrico del suolo è elevato.
Dal 1980 ad oggi, secondo Cassardo, il contenuto di zucchero alla vendemmia è salito a un punto tale da far aumentare il tasso alcolemico dei vini di un valore tra l’1 e il 2%. La fioritura avviene 1-2 settimane prima. L’inizio della maturazione, quando gli acini iniziano ad accumulare zucchero, avviene fino a 42 giorni prima. Il processo dalla fioritura al raccolto si è ridotto da sei a cinque mesi.
Gli agricoltori stanno già rispondendo: stanno potando la vite per creare un ombrello di fogliame a protezione dei grappoli d’uva. Alcuni stanno scavando solchi affinché il deflusso delle forti piogge rimanga nel vigneto quando i terreni soleggiati ne impediscono l’assorbimento. Alcuni viticoltori stanno sperimentando cloni resistenti alla siccità. Ma diversi climatologi ritengono che queste siano solo misure tampone che alla fine saranno sopraffatte dalla gravità delle condizioni derivanti dal cambiamento climatico. Un’in­ter­ruzione severa della produzione vinicola italiana avrebbe enormi conseguenze dal mo­mento che l’Italia è leader mondiale nella produzione di vino, producendo il 20% del totale mondiale. E il tartufo è un business ugualmente importante.
Il cambiamento climatico sta provocando uno scontro tra cercatori di tartufi e produttori di vino. Il Consorzio per la Tutela del Barolo e del Bar­baresco ha proposto di estendere i vigneti sui pendii esposti a nord per affrontare «le condizioni climatiche che stiamo vivendo». Ciò, afferma Antonio Degiacomi, presidente del Centro nazionale studi tartufo con sede ad Alba, potrebbe significare la fine del tartufo nella regione. «Tutta la biodiversità della regione è concentrata sui pendii settentrionali e senza di essa non ci sarebbero i tartufi», ha affermato.

Articolo a cura di James Spellman