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«È un’apocalisse? Non solo sciagura ma cambiamento»

Nel film di Paolo Casalis la storia del professor Grimalda che perse il lavoro per evitare gas serra

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Un’anteprima mon­­dia­le al Fe­sti­val internazionale CinemAm­bien­te di Torino: è quella che ha avuto il documentario “Il Ri­cercatore – Perché ho perso il lavoro per 5 tonnellate di CO2” firmato dal regista braidese Paolo Casalis e dedicato alla storia diventata vi­rale e di interesse mondiale di Gianluca Grimalda, 51 anni, scienziato italiano e attivista ambientale, licenziato dopo es­sersi rifiutato di volare pur di contenere le proprie emissioni di gas serra. Si trovava in Papua Nuova Guinea dove si era recato per studiare l’adattamento delle popolazioni locali agli ef­fetti del “climate change” e del­la globalizzazione e gli era stato ordinato di tornare entro pochi giorni a Kiel, presso l’Istituto per l’Economia Mondiale dove lavorava. Il nocciolo del dibattito lo spiega bene il regista stesso: «In questo film di viaggio, di avventura, di principi morali individuali e questioni universali c’è indubbiamente qualcosa di folle. Resta però da stabilire se lo sia la storia de “Il Ri­cercatore” oppure il comportamento quotidiano dei suoi spettatori. Grimalda ha scelto di ri­nunciare a tutto (una carriera e uno stipendio invidiabili, una fi­danzata, gli affetti famigliari e un lavoro che amava oltre ogni cosa) per lanciare un segnale di allarme sulle condizioni disperate del nostro Pianeta, per fornire un esempio e, forse, una possibile via d’uscita».

Partiamo dall’inizio, come è nata l’idea alla base del do­cumentario?

«Allora, ci sono due spiegazioni. Quella più folle è che sto facendo una trilogia dell’apocalisse: “Il predicatore”, uscito qualche mese fa, è stato il primo documentario. Poi c’è “Il ricercatore”, che è quello con Gianluca Grimalda, e poi ce ne sarà uno prossimo sui “prepper”, cioè i survivalisti, quelli che si preparano operativamente e fisicamente all’apocalisse».

La risposta B, invece?

«Quella ufficiale è che ho sentito la storia di Gianluca e mi ha appassionato. Era una vita che volevo fare qualcosa sul cambiamento climatico, ma sostanzialmente sbagliavo approccio, nel senso che io cercavo lo sfondo, le trasformazioni. Ed è quasi impossibile conciliare i due elementi: o racconti l’emergenza oppure il cambiamento. Filmi­camente non puoi raccontare un territorio che si desertifica, per fare un esempio».

Qual è stata la novità?

«Ho cambiato strategia e mi sono buttato sulla storia. L’idea iniziale era di fare un documentario con quattro personaggi, ma alla fine la vicenda di Gian­luca era così forte, che era giusto diventasse l’assoluta protagonista».

Aveva già iniziato a seguire la storia del ricercatore, prima che diventasse famosa?

«Nella prima parte abbiamo documentato il viaggio di andata, mi piaceva già la storia, ma con l’epilogo del licenziamento è diventata ancora più complessa e virale. Ci ero dentro co­munque da dieci mesi. Con Gianluca abbiamo fatto una serie di incontri per spiegargli che materiale doveva mandarmi. Io non ho girato nulla, se non inserito qualche frammento di notiziari o post social di giornali prestigiosi che hanno seguito la vicenda, tipo il Guar­dian».

Tutto il materiale è stato girato da Grimalda?

«Ho cercato di trasmettergli tutte le mie conoscenze, un sunto di tutto quello che so sull’argomento cinematografico: co­me fare le inquadrature, co­me riprendere l’audio, di cosa parlare, cosa mi interessava anche per il documentario. Gli ho consigliato di imparare da Pif, di inquadrarsi in modo da rendere le immagini più dinamiche e di rendere i discorsi più fluidi».

La risposta è stata ottima.
«È stato bravissimo, non so se per merito dei miei consigli o del fatto che un certo sguardo era già nelle sue corde. Il nostro è stato un lavoro a distanza, complicato dalle difficoltà di connessione, ma ha funzionato. Ogni tanto mi mandava dei vocali per raccontare la giornata ed è stato molto utile avere questi messaggi come copertura delle immagini».

Che momento è della sua carriera?

«Sono interessato alla tematica dell’apocalisse, non in senso di sciagura, ma nel suo significato greco: scoperta, rivelazione e quindi cambiamento. E voglio raccontare questo, prima l’ho fatto in termini religiosi, poi dal punto di vista della scienza e a breve lo farò in un terzo capitolo. Ho anche capito che mi piace “delegare” le riprese, l’ave­vo già fatto durante il Co­vid, realizzando un documentario pionieristico nei pri­mi quattordici giorni della quarantena: avevo affidato il contenuto agli youtuber».

Quali sono i vantaggi di questo metodo?
«Il lavoro di montaggio è molto noioso, ma il materiale che ti arriva non ha filtri. Nel documentario “Il ricercatore” vengono fuori delle cose che io non avrei potuto cogliere nemmeno se avessi seguito Gianluca 10 mesi. Di fronte a una telecamera ci sono barriere, filtri, con questo metodo sei sempre nel vivo dell’azione, non è mediato. E spero che l’intimità col personaggio e il realismo vengano fuori e siano percepiti».

Abbiamo parlato di territorio, qual è il suo rapporto con i luoghi in cui vivi?
«Una domanda difficile: vivo a Bra e apparentemente potrei risponderti che non ho nessun rapporto, ma se poi analizzo i lavori che ho fatto viene fuori ciò che ho intorno: il cibo, i pastori, il vino. Per cui sicuramente l’ambiente mi ha in­fluenzato».

Come sta vivendo questa vetrina?
«Con curiosità e interesse, il do­cumentario è all’inizio della sua vita e spero che Cine­mAm­biente gli dia slancio. At­tualmente è già stato selezionato per altre due rassegne: a Ischia e Cefalù. I primi feedback degli amici sono positivi, mi dicono che non è noioso e per me è già un aspetto molto importante».

Chi volesse vederlo, lo trova in streaming al costo di due caffe sulla piattaforma Vimeo, all’indirizzo https://vimeo.com/ondemand/researcher

Articolo a cura di Daniele Vaira

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