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«Giulia mi ha detto: sono la soluzione, il bello della vita»

Gino Cecchettin a Carmagnola per “Letti di notte”: «Concentriamoci sull’amore ogni giorno»

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La stanza di Giulia che resta aperta, simbolo di un legame che non si spezza. Poi, il ricordo degli abbracci, di quel “Ciao papino” pronunciato ogni volta che rientrava in casa. Frammenti di Giulia raccontati dal padre Gino Cecchettin ospite, giovedì scorso, del Festival letterario Letti di Notte organizzato dal Gruppo di Lettura e dal Comune di Carmagnola. Qui, davanti a una folla immensa, ha presentato “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia”. Il libro, pubblicato da Rizzoli, è molto più di un semplice libro. È un atto d’amo­re, un miracolo letterario che va oltre il dolore e la tragedia per restituire l’essenza di una persona straordinaria: Giulia Cecchettin.
Ventitré capitoli, 23 lettere scritte alla figlia vittima di femminicidio, in cui il padre offre una visione intima e personale: bimba timida, giovane donna intelligente, sorella premurosa, figlia amata, ma anche una 22enne buffa, con le sue espressioni stupite e i balletti che facevano ridere tutta la famiglia. “Cara Giulia” non raccoglie solo l’efferatezza del fatto di cronaca che tutti conoscono, l’ultimo brutto capitolo della vita di una ragazza straordinaria. Raccon­ta una giovane e la sua vita. «Giulia era bella, ma bella veramente, dentro nell’anima. Portava gioia e valore. Ogni pagina, ogni parola è stata ispirata a lei», spiega Cecchettin nel raccontare la genesi del libro e del suo impegno civile nel corso di un toccante dialogo con l’insegnante e speaker radiofonica Natalia Ceravolo.
Il libro benché permeato di memorie è, soprattutto, un percorso di consapevolezza, di impegno esplicitato negli incontri con il pubblico e i ragazzi delle scuole per spiegare cosa sono il patriarcato e la violenza di genere, di trasformazione del dolore in qualcosa di più grande. Cecchettin ha iniziato a scriverlo per far vivere Giulia in una forma nuova, con il desiderio di ricordarla non solo per l’ultimo tragico momento, ma per la sua vera essenza. Attingendo da un precedente dolore, la perdita della moglie causata da una lunga malattia, racconta come trasformare il dolore in un messaggio di speranza e non di rabbia. «Avevo lì una foto di Giulia, con un sorriso forse tra i più belli e mi guardava come per dire “Papino, la soluzione so­no io. Te la dico e te la spiego” perché molte volte nella vita lei mi ha insegnato come comportarmi. E allora ho detto: mi devo concentrare sull’amore, sul bello della vita, e giorno dopo giorno mi concentravo su di lei e magicamente tutto il resto è scomparso. Non ci credevo neanche io. Poi è diventato un esercizio di vita anche nelle cose quotidiane, che consiglio a tutti: di fronte a un problema, provate a togliere la parte negativa».
Ecco spiegata, con parole semplici, l’importanza di vivere ogni istante non con il “pilota automatico” ma con consapevolezza, allenando la memoria al ricordo, sostenendo Davide ed Elena, gli altri suoi figli, nel dolore. Cristal­lizzando i momenti – un pranzo semplice, come l’ultimo con Giulia e Davide, o un’arrabbiatura – per costruire una memoria ricca e significativa. Per «non vivere a propria insaputa».
Cecchettin porta in platea anche l’impegno sociale e ricorda quando Elena, migliore amica e quasi gemella di Giulia (dalla quale la separavano solo 20 mesi), smosse le coscienze parlando coraggiosamente del patriarcato come causa della violenza di genere. A uccidere «non è stato il mostro, è stato il vostro bravo ragazzo» disse riferendosi a Filippo Turetta, l’ex fidanzato di Giulia. Un messaggio che ha suscitato critiche oltre all’ammirazione, e ha spinto Gino Cecchettin a sostenere Elena con forza. «Se in una relazione una donna vuole vestirsi come vuole e il compagno dice no, è una limitazione della sua libertà. Se vuole andare a bere un caffè con le amiche, se vuole andare in discoteca con le amiche e dice di no, anche quella è espressione del patriarcato. E se una ti dice “non ti amo più”, e l’altro non lo accetta, allora di cosa stiamo parlando?». Perché le critiche? «C’è ancora una parte di società che probabilmente vuole continui a essere quella che è stata negli ultimi mille anni, dove il maschio è predominante e la femmina è subordinata. Chi non lo accetta ti attacca senza pensare che tu stai vivendo un dramma, si dimentica che tua figlia è stata trucidata in modo barbaro».
Per condividere la propria esperienza e creare quegli anticorpi necessari a riconoscere e combattere le radici culturali della violenza di genere nasce la Fondazione Giulia (www.fondazionegiulia.org), fondata da Cecchettin per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere coloro che ne sono vittime. Cec­chettin si rivolge anche ai giovani e ai ragazzi per parlare di speranza, esortarli a vivere i propri sogni come faceva Giulia che sognava di diventare illustratrice. «Parlando ai ragazzi che pensano al lavoro, al futuro, alla loro voglia di vivere, non si può continuare a essere pessimisti. Bisogna insegnare a essere felici per vivere degnamente. Oggi Gi­no Cecchettin sta vivendo anche dei momenti di felicità, nonostante tutto».
Ci insegna che, anche nel dolore più profondo, è possibile trovare la forza per celebrare la vita e trasformare la tragedia in un’opportunità per cambiare il mondo.

Articolo a cura di Erika Nicchiosini