«Il vino migliore lo abbiamo dedicato a mia moglie»

Massimo Rivetti presenterà a Treiso la speciale selezione di Barbaresco, omaggio “a Silvana”

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Gestita con amore, cura e sapienza da Massimo, Sil­va­na e dai loro figli Davide, Simone e An­drea, l’Azienda Agricola Mas­simo Rivetti – con sede a Neive, in via Rivetti 22 – rappresenta una straordinaria eccellenza, per il territorio e non solo, nel campo della produzione enologica. Con i suoi 25 ettari di vigneti, coltivati interamente nel sistema biologico, la splendida realtà vi­nicola della bassa Langa presenta una gamma di vitigni sia nazionali sia internazionali, producendo in media circa 100mila bottiglie all’anno, suddivise principalmente fra Barbera d’Alba e Barbaresco. Proprio una selezione di quest’ultimo, Barbaresco Docg Riserva 2014 “a Silvana”, così chiamato in omaggio alla moglie-mamma «pilastro del­la famiglia», lunedì 24 sarà al centro di un evento privato di presentazione con racconto, che si terrà a Treiso, presso il ristorante La Ciau del Tor­navento. Per conoscere me­glio questo vino e l’evento speciale che lo vedrà protagonista, abbiamo intervistato il titolare dell’azienda, Massi­mo Rivetti.

Che occasione sarà quella di lunedì prossimo a Treiso?

«Presenteremo la prima annata di questo nuovo vino, “a Silvana”. Con l’occasione ab­biamo deciso anche di dare un riconoscimento ad una delle donne che ha reso famoso il paese di Neive, “La don­na selvatica” di Romano Le­vi».

“Ospite” della giornata sarà quindi anche la famosa grappa (nel box maggiori dettagli), per la cui produzione la vostra azienda forniva le vinacce. Che rapporto c’era con Levi e co­m’è nato il desiderio di rivolgergli questo omaggio?
«Il rapporto con Romano era sia lavorativo che di amicizia: c’è sempre stata stima reciproca. Si è deciso di omaggiare “La donna selvatica” perché il vino è dedicato appunto ad una donna e quindi ci è sembrato particolarmente bel­lo collegare questo discorso con una delle figure femminili simbolo di Neive».

Quando è nata, invece, l’idea di dedicare il vino a sua moglie?
«Quella del 2014 è stata la prima annata. Visto che Sil­vana è uno dei pilastri fondamentali sia della famiglia che dell’azienda, abbiamo deciso di omaggiarla con una selezione particolare, presa dalla vi­gna migliore usando i grappoli migliori. Si tratta infatti di una selezione molto limitata, lavorata, quindi pigiata e diraspata completamente a mano e movimentata solo per gravità. L’idea era appunto proprio quella di selezionare il meglio del meglio per poi dedicarlo a lei».
Il processo di cura per la realizzazione di questo vino è stato quindi particolarmente attento e ricercato. Cosa lo rende particolare?
«Ciò che lo rende particolare, come dicevo, è il fatto che si tratti di una selezione della selezione. Sono stati scelti i grappoli migliori della vigna migliore e ne sono state prodotte circa 1.600 bottiglie. A renderlo caratteristico è an­che questo affinamento più lungo, per un totale di dieci anni, di cui cinque in legno e cinque in bottiglia».
Quali sono le altre sue principali peculiarità e con quale piatto si sposa al meglio?
«La collina dove ci troviamo, la collina Serraboella, dà dei vini con un grande potenziale. Questo Barbaresco si può benissimo affinare per tantissimi anni. Difatti usciamo adesso con un vino di dieci anni che però ha ancora un elevato potenziale davanti a sé. Direi che si sposa molto bene con un arrosto o con un piatto tipico della tradizione».
La presentazione si svolgerà lunedì 24, giorno dei falò contadini di San Giovanni. Si è trattato di una scelta voluta o casuale?
«Il giorno è stato scelto anche per questo motivo. In quelli immediatamente precedenti, tra l’altro, cade anche il compleanno di mia moglie. Non siamo riusciti a far coincidere tutto, ma nell’occasione la omaggeremo anche per quello».
Parlando più in generale della sua azienda, tra i temi che le sono più cari c’è quello della sostenibilità. Quanto conta questa dimensione?
«Il primo passo di rilievo in questo senso lo abbiamo fatto nel 2016, quando – dopo essere partiti alcuni anni prima – abbiamo ottenuto la certificazione biologica. L’abbiamo fatto non in chiave commerciale, ma perché la nostra famiglia e i nostri collaboratori lavorano in vigneto, per cui siamo i più esposti alle decisioni che prendiamo. Perciò abbiamo deciso di abbandonare tutti i prodotti di sintesi, in vigneto e poi anche in cantina. Oltre a questo, ora siamo in fase di costruzione di una nuova cantina, molto più rispettosa dell’ambiente, che si trova per buona parte sotto terra, quindi con temperature naturali. È stato poi installato un impianto fotovoltaico per renderci autonomi e indipendenti dal punto di vista elettrico e raccogliamo l’acqua piovana da utilizzare poi per i trattamenti in vigneto. Nei prossimi anni abbiamo idea di prendere una certificazione per la sostenibilità che dimostri tutto quello che stiamo facendo. È un discorso al qua­le teniamo molto».
Qual è l’aspetto che più la emoziona del vostro lavoro?
«Sicuramente abbiamo un mercato molto ampio, inteso sia come rivenditori che come privati. Lavoriamo praticamente in tutti i continenti e ciò che ci emoziona di più è portare la storia dei nostri vini in giro per il mondo e vedere che, tante volte, chi ci troviamo davanti si emoziona esattamente come noi nel vedere e nel percepire direttamente la passione del nostro lavoro».
Quanto è piacevole, in definitiva, poter lavorare e coltivare al tempo stesso una grande passione nell’ambito di un contesto famigliare?
«Lavorare in famiglia non è semplice perché tenere separate le due sfere è a volte complicato. Dall’altra parte, però, è un grande vantaggio perché tutti noi cinque sappiamo sempre di poter fare affidamento l’uno sull’altro e di poter quindi superare ogni genere di ostacolo».


E il pensiero va anche alla “Donna selvatica” di Romano Levi

Nella speciale occasione di lunedì 24, come svelato nel corso dell’intervista, l’Azienda Agricola Massimo Rivetti renderà omaggio – con un menù dedicato – anche alla donna più celebre di Neive: “La donna selvatica”. Straordi­nario simbolo della natura libera e selvaggia per la società contadina langarola, il mito della “donna selvatica” è stato poi reso famoso da Romano Levi e dalla grappa da lui prodotta con la sorella Livia; un distillato di pregevole fattura, ulteriormente arricchito dalle splendide etichette, disegnate a mano proprio da Romano, ancora oggi riconosciuto come uno dei principali vanti della storia di Neive. L’omaggio che si consumerà lunedì a Treiso sarà pertanto l’occasione per riannodare il filo con la tradizione e suscitare ricordi e sensazioni dal contorno poetico.

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo