La riscoperta del gelso

Un progetto di rilancio dell’Università di Torino. E il lavoro di Mauro Mellano sulla collina di Saluzzo. Ora la raccolta, aspettando una marmellata

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Per secoli ha fatto parte del nostro panorama, visto che era un albero fondamentale per il bilancio di molte famiglie perché da esso dipendevano i piccoli allevamenti di bachi da seta. Poco alla volta, sono pressoché spariti senza che nessuno si lamentasse o indicesse proteste pubbliche, eppure il gelso è un albero stupendo. Per gli antichi era sinonimo di prudenza e sotto le sue fronde Ovidio ha ambientato la triste storia di Piramo e Tisbe. Erano le foglie un tempo il bene prezioso che nutriva i bachi, ma in primavera arrivavano i frutti e sono in tanti quelli che ne ricordano l’elegante dolcezza.
Il progetto Gelso.net, promosso da UniTo nel 2021, è nato per rilanciarne la coltivazione, per l’allevamento dei bachi da seta praticamente scomparso e promuovere la produzione dei frutti che in Piemonte non vanta la stessa tradizione che in altre regioni italiane.
A raccontarmelo è stata Maria Gabriella Mellano di UniTo che fa parte del team che da oltre un decennio si interessa al gelso curando il progetto. Ma il racconto non poteva bastarmi, così mi ha accompagnato sulla collina di Saluzzo dove è situato uno degli impianti più importanti di gelsi da frutto. A una prima occhiata colpisce l’esplosione di verde dovuta alla combinazione della tipologia di pianta con una stagione piovosa, ma a un’occhiata più attenta sono altri i particolari che colpiscono e man mano che ascolto il racconto di Mauro Mellano, coltivatore di gelsi, capisco di cosa si tratta.
Le prime piante sono state messe a dimora nel 2010, poi sono aumentate fino a essere oggi circa 800. Quando ancora non era di moda la parola sostenibilità, Mellano si è inventato un sistema che prevedeva il recupero delle strutture della coltivazione dei kiwi che era in forte crisi. Scegliendo un terreno a vocazione biologica come quello della collina di Saluzzo, Mellano ha pensato di trattare i gelsi con la mentalità di frutticoltore qual è. È riuscito a contenere la mole delle piante con potature e piegature in modo che vegetino e producano frutti adatti alle richieste del mercato. Ha riutilizzato i pali dei kiwi per l’impianto, mentre le reti che venivano posizionate al di sopra con lo scopo di proteggere le piante dalla grandine, sono in basso, in modo che nel periodo della raccolta, i frutti cadano senza rovinarsi. Ogni mattina all’alba la pianta viene scossa leggermente da mani esperte e i frutti devono essere raccolti subito a causa della loro fragilità e delicatezza. Tecnicamente il nome è sorosi, ma per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di assaggiarli si chiamano more di gelso, con infinite varianti dialettali, a dimostrazione che per secoli sono stati ben presenti nella quotidianità del nostro territorio.
La raccolta si effettua tra maggio e giugno ed è solo in questo periodo che si possono mangiare freschi. La maggior parte dei sorosi è destinata all’esportazione. Una parte viene essiccata e, come peraltro il frutto fresco, possiede grandi qualità nutrizionali.
E la marmellata? Pressoché inesistente. La conoscenza e la sensibilità verso un prodotto antico e quasi dimenticato avrebbe bisogno di cultori che ci regalassero questo sapore tutto l’anno. Siamo in tanti ad aspettare con trepidazione!

A cura Di Paola Gula