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Francia-Italia dai vini ai formaggi, perché ci temono

Massimo Martinelli: «Ricordo una degustazione alla cieca in Borgogna, il Barolo li lasciò di stucco»o

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Quando un francese ti incontra, molto spesso, ti bacia sul­le guance partendo da quella destra. L’italiano invece parte da quella sinistra. Sarà un piccolo dettaglio, ma è la prima differenza che salta agli occhi. I cugini transalpini poi, di baci te ne danno almeno tre. Da noi si è un pochino più parsimoniosi. Certo che nel bacio sulle guance probabilmente conta anche la latitudine lungo lo Stivale: piemontesi più freddini, siciliani più espansivi. Da loro no, sono “baciosi” tanto i parigini quanto i marsigliesi.
La storia dei “cugini transalpini” è un affascinante viaggio nel tempo, che ci riporta indietro al Medioevo, un’epoca in cui i re di Francia avevano l’abitudine di nominare “cugini” i loro più fedeli sostenitori. Questo titolo, che suona quasi come un incantesimo nobiliare, era un modo per rafforzare alleanze e legami di lealtà. Immaginate i banchetti medievali, dove tra un boccone di cinghiale e un sorso di idromele, venivano scambiati titoli come fossero figurine. E così, alcuni di questi titoli travalicarono le Alpi, creando un legame più o meno fittizio con i francesi, che persiste ancora oggi nella definizione comune. È un po’ come quando si scopre di avere un cugino terzo in Argentina che nessuno ricordava: sorprendente, ma in fondo, piacevole. E mentre noi italiani possiamo chiamare affettuosamente i francesi “cugini”, loro probabilmente ci rispondono con un elegante “mon cousin”, che suona decisamente più chic con quell’accento francese.
Ma aldilà del parentado più o meno presunto quali sono le pietre di paragone fra francesi ed italiani?
Ce ne sono tantissime, ma almeno quattro differenze tengono banco in un eventuale dibattito su chi fa cosa da questa e dall’altra parte delle Alpi: il vino, la cucina, il formaggio, lo sport (soprattutto il rugby).
Sul vino e sulla cucina ne parla un’autorità in materia come Massimo Martinelli, per quarant’anni alla cantina Rat­ti, all’Annunziata di La Morra, e già presidente del Consorzio del Barolo, Barbaresco e dei Vini di Alba.
«Per esempio noi abbiamo il Dolcetto – dice – e loro hanno il Beaujolais e su questo vino novello hanno fatto una grande azione di marketing. Negli anni Sessanta si vendeva male. Poi si sono inventati l’uscita sul mercato il terzo giovedì di novembre, con le campagne pubblicitarie in ogni angolo di Parigi. “Le beaujolais est en train de arriver” crea tutto un mondo di attesa quasi spasmodica della nuova annata».
«I francesi sui grandi vini però ci temono un po’ – continua Martinelli – ricordo qualche decennio fa, che portammo i nostri prodotti ad una degustazione alla cieca in Bor­gogna. Un grande successo e quando gli rivelammo che si trattava del nostro Barolo rimasero sensibilmente stupiti. Da lì, col passare degli anni, è aumentata la loro consapevolezza che siamo temibili. Pian piano abbiamo costruito un’immagine importantissima, ci confrontiamo con i francesi e in certe situazioni siamo anche più avanti perché abbiamo una qualità che è straordinaria e, soprattutto rispetto ai loro, costa un po’ meno. E a me fa molto piacere che ci sia un flusso sempre più intenso di visitatori d’Oltralpe.
Arrivano qui e poi rimangono stupefatti. Ed è così perché in Francia se volete mangiar bene dovete andare nei locali di alto livello che costano, mentre nelle loro piole si mangia veramente male. Da noi invece con le nostre trattorie rispetto ai francesi finisce “quatr a gnun”, perché abbiamo una fortissima catena di trattorie a conduzione familiare dove si sta molto bene e a prezzi tutto sommato contenuti».
Sulla rivalità franco-italiana in materia di formaggi bisogna dare atto a loro di essere veri maghi del marketing. In ogni angolo del mondo parlando di formaggio si abbina subito l’aggettivo “francese”. Ma a bocce ferme bisogna ricordare che quelli italiani sono più numerosi di quelli transalpini. Secondo stime più o meno ufficiali siamo a 487 per l’Italia e a 246 per i francesi. E 246 non è un numero buttato qui a caso. È il generale Charles De Gaulle in persona, primo presidente della Quinta Repubblica, a rivelare questo numero: «Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?». Alla grandeur francese in materia di prodotti caseari un duro colpo lo ha inferto il sito tasteatlas.com con la sua classifica sui migliori 100 formaggi del mondo 2023/­2024. Il podio è tutto italiano: Parmigiano Reggiano al primo posto, il Gorgonzola piccante al secondo, la Bur­rata come medaglia di bronzo. Nei primi dieci gli italiani sono addirittura otto, mentre il primo francese, il Reblo­chon, si piazza al tredicesimo posto di classifica. Ovvia­mente il formaggio ai francesi è andato per traverso, tanto da aprire anche l’edizione serale del telegiornale di TF1, la più seguita nel paese, con la notizia ferale.
Poi c’è lo sport. Nel calcio la nazionale degli azzurri, però in maglia bianca, esordisce proprio contro i cugini all’Are­na di Milano il 15 maggio del 1910. Un successo per 6 a 2. Il bilancio: 39 incontri, 18 vittorie per l’Italia, 11 per la Francia, 10 i pareggi.
Ma il rugby è la vera disciplina dove la rivalità fa scintille. La Francia nella palla ovale è una vera e propria potenza mondiale. L’Italia sta facendo passi da gigante, soprattutto da quando è entrata nel novero delle migliori nazionali europee partecipando al Sei Nazioni. Oggi è al nono posto del ranking mondiale, mentre i cugini sono al quarto. In termini assoluti dal 1937 49 incontri con soltanto 3 vittorie per gli azzurri e 45 per i bleus. Un solo rocambolesco pareggio, evento rarissimo, all’ultimo 6 Nazioni. 13 a 13. Arbitraggio un po’ partigiano per loro. Per l’Italia del rugby una voglia di rivalsa in forte aumento. Au revoir.

Articolo a cura di Luis Cabasés

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