«Il Tour? Un sogno che mi ha travolto e fatto crescere»

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Basta evocare il Tour de France: il ricordo luccica e il tempo torna al 2014, anno in cui lo “squalo” Vincenzo Nibali conquista l’agognata maglia gialla. Già nel 2012 aveva sfiorato la vittoria, salendo sul terzo gradino del podio. Ma due anni dopo dominò la corsa fin dalle prime tappe, dimostrando una classe e una grinta inconfondibili. Ed è naturale riavvolgere il nastro e riascoltare le sue parole: «Ogni volta che corro, lo faccio con il cuore e con la passione di un bambino che ha sognato di diventare ciclista. Il Tour de France è stata la realizzazione di quel sogno, e sono grato per ogni momento vissuto su quelle strade». Questo traguardo ha rappresentato anche una cesura, uno spartiacque. Un momento in cui il campione ha sentito il bisogno di fermarsi e di capire la direzione da intraprendere, come aveva confessato in più occasioni: «Non nascondo che dopo la vittoria al Tour de France la mia vita è radicalmente cambiata. Dopo quel trionfale viaggio in giallo sono finito davvero dentro una giostra, che continuava a girare e io non ho mai smesso di correre. Ho davvero temuto di non farcela, di essere travolto dagli eventi». Quando si va un po’ su di giri bisogna avere il coraggio di frenare, come Nibali aveva raccontato senza peli sulla lingua: «Mi è venuto in soccorso l’equilibrio, mi sono imposto di mantenere la calma. Tutti mi volevano, tutti mi cercavano, ho anche pensato di dire di no a tutti. Poi sono tornato sui miei passi, non volevo passare per quello che non sono. Allora ho cercato nel limite del possibile di accontentare le persone che mi mostravano il loro affetto. È stata un’impresa non facile, a livello nervoso ho patito molto più il dopo Tour che la corsa in sé».
Il successo, però, non è mai frutto del caso e le grandi imprese nascono se ci sono basi solide, sacrificio e idee chiare: «Il Tour richiede una preparazione meticolosa. Bi­sogna lavorare su ogni aspetto, dalla resistenza alla velocità, passando per la strategia. Ogni allenamento è pianificato nei minimi dettagli per garantire che si arrivi alla gara nella migliore forma possibile». Nibali spiegò anche di aver partecipato a gare preparatorie come il Tour of Oman e il Giro del Delfinato per raggiungere la miglior forma possibile.
La sua vittoria non è stata solo una questione di resistenza e velocità, ma anche di strategia impeccabile. L’ex corridore dell’Astana ha dimostrato una straordinaria capacità di adattarsi a ogni tappa, sia in montagna che nelle cronometro, consolidando la sua reputazione di corridore completo. Uno dei momenti più iconici della sua carriera al Tour de France è stata la sua vittoria nella tappa di La Planche des Belles Filles nel 2014. Con una salita finale impegnativa, Nibali ha staccato tutti i suoi avversari, arrivando al traguardo con un vantaggio decisivo. Nel post gara aveva commentato il segreto di quell’exploit: «Sapevo che quella tappa sarebbe stata cruciale. Ho dato tutto quello che avevo, e il supporto della mia squadra è stato fondamentale. Ogni pedalata è stata un passo verso la vittoria finale».
Il Tour de France ha rappresentato anche un ostacolo, una situazione impegnativa che ha richiesto mol­ta forza d’animo all’ex corridore.
Durante l’edizione del 2018, un incidente con uno spettatore ha costretto “lo squalo” al ritiro. Questo episodio si è verificato durante la tappa verso l’Alpe d’Huez, una delle più iconiche del Tour. La caduta gli ha provocato una frattura a una vertebra, mettendo fine prematuramente alla sua partecipazione. In una recente intervista Nibali ha riflettuto su quell’episodio: «È stato un momento molto difficile. Lasciare la gara a causa di un incidente è frustrante, ma queste sono le cose che possono accadere nel ciclismo. Ogni caduta ti rende più forte e più determinato».
Il suo spirito e la sua forza emergevano nel passato, ma vengono fuori ancora oggi da un post scritto pochi giorni fa su Facebook: «Ricordatevi che un ciclista, in periodo di gare deve sempre avere fame. Se non ha fame significa che ha mangiato troppo, e in cor­sa non combinerà niente».
Parole che aveva usato nel suo libro “La mia vita raccontata a Enrico Brizzi. Di furore e lealtà”. E come spiega la si­nos­si dell’autobiografia, l’uo­mo aveva dovuto scegliere come provare a diventare campione: «Dopo le prime vittorie nelle competizioni locali, l’adolescente Vin­cenzo si trova a un bivio: restare a casa o emigrare in Toscana per affinare il proprio talento? La sua scelta, dettata dal coraggio e dal desiderio di indipendenza, non può che essere quella di trasferirsi, armi e bagagli, nella regione che considera “la mamma del ciclismo”. Inizia così la sua avventura più grande: dimostrarsi in grado di trovare un posto nel mondo grazie alla capacità di sacrificio e all’istinto che lo guida ad attaccare senza risparmio in ogni corsa».
E queste qualità lo porteranno a essere un esempio e a vincere il Giro d’Italia (due volte), la Vuelta e il Tour De France. «È stato un onore portare il tricolore sul gradino più alto del podio. Ho sentito il sostegno di tutti gli italiani, che mi hanno spinto a dare il massimo».

Articolo a cura di Daniele Vaira