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«Cosa ho imparato negli Stati Uniti? Tutto è possibile»

Giorgia Barreca, ventiquattrenne di Vicoforte, è tra le finaliste del premio “Au Pair of The Year 2024”: «Questa sfida mi ha permesso di godermi ogni cosa bella che il mondo ha da offrirci»

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C’è anche una fetta di Gran­da nella finale del premio “Au Pair of The Year 2024” di Cultural Care Au Pair, agenzia specializzata nel programma alla pari negli Stati Uniti. A rappresentare il Cuneese, do­po essere stata selezionata come una delle 19 finaliste tra più di 600 candidate, è Giorgia Barreca, ventiquattrenne di Vicoforte, au pair da agosto 2022 a Chappaqua, paesino dello stato di New York, che nell’ambito di questa esperienza sta frequentando dei corsi presso il West­chester Community College (New York) e l’Hudson Co­unty Community College (New Jersey).

Giorgia, che emozione prova per essere stata selezionata tra le finaliste del concorso “Au Pair of the Year 2024”?

«Essere tra le finaliste (la vincitrice sarà proclamata domani, venerdì 28, nda) è stata una notizia del tutto inaspettata, ma soprattutto mi commuove perché è l’evento me­morabile che va a coronare la mia esperienza da ragazza alla pari, che purtroppo terminerà a luglio. È come se mi venisse dato un premio per la passione costante che mi ha animata durante questo percorso e che mi ha spinta giorno dopo giorno a condividerla attraverso i social. Ma l’emozione più grande è dovuta al fatto che questo traguardo va a simboleggiare uno dei legami più profondi e sinceri che abbia mai avuto in vita mia: quello con la mia famiglia ospitante, la protagonista della mia esperienza negli Stati Uniti».

Quando, come e perché ha deciso di intraprendere questo tipo di percorso negli States?

«Sin da piccina sono sempre stata appassionata di lingue, culture e paesi che non conoscevo. Questo mi ha spinta a intraprendere Lingue come percorso universitario e, successivamente, a spendere il mio ultimo anno triennale in Irlanda come studentessa Erasmus. Proprio quando ero immersa nella cultura irlandese, mi sono resa conto di non essere destinata a rientrare definitivamente in Italia. Sapevo, dentro di me, di dover seguire quella voglia di esplorare e conoscere che mi animava sin da bambina. Quindi, poco prima di rientrare dal mio anno di studi all’estero, ho deciso di seguire ciò che volevo davvero e non ciò che gli altri mi dicevano fosse giusto fare. Avevo bisogno di trovare me stessa, scoprire le mie passioni più profonde e raccogliere le esperienze necessarie per prendere le decisioni giuste in futuro, tutte cose che indaffarata tra i manuali universitari e i lavoretti di circostanza non mi ero mai concessa il tempo di capire. Ed è così che, ottenuta la laurea triennale in Scienze della Mediazione Linguistica, si è aperto un capitolo di studio diverso, quello di vita vera».

Cos’è ciò che più l’ha colpita della cultura americana?

«Questo Paese affascinante mi ha colpito innanzitutto per il suo multiculturalismo. L’e­qui­librio tra le diverse lingue, tradizioni e aspetti culinari mi ha aperto gli occhi su cose che non avevo mai sperimentato prima. Dal comunicare in spagnolo con buona parte della popolazione al provare autentico cibo messicano. Per non parlare delle mille conversazioni che ho avuto con italo-americani della mia zona e delle bellissime storie di come le loro famiglie italiane, molti anni fa, sono emigrate negli Usa. Ma tra le cose che apprezzo maggiormente della cultura americana ci sono di certo lo spirito imprenditoriale e quello del “tutto è possibile”. Questa mentalità molto diversa dalla realtà in cui sono cresciuta mi ha offerto prospettive nuove, alle quali sono estremamente grata, che han­no fatto di me una persona totalmente diversa».

L’avventura che sta vivendo è una grande occasione di crescita personale. In che modo sente di essere maturata? Suggerirebbe ai suoi coetanei di viverla?
«I libri e i manuali universitari mi hanno insegnato cose alle quali sarò per sempre grata. Ma questo è stato un percorso diverso, un’esperienza sul campo che mi ha rivelato aspetti di me e del mondo che mi circonda dei quali non ero a conoscenza. Lasciare la mia zona di comfort a 22 anni e iniziare una vita nuova partendo dal nulla è stata una sfida contro me stessa. Mi ha insegnato come cavarmela da sola e come farmi forza nei momenti di sconforto lontano da casa. Ma soprattutto mi ha permesso di godermi in prima fila tutto il bello che questo mondo ha da offrire e che la zona di comfort, talvolta, ci porta a di­menticare. Quindi sì, consiglio quest’esperienza ai miei coetanei perché siamo nell’età giusta per viverla. In questa fase della vita, imparare cose così importanti su di sé e su ciò che ci circonda è fondamentale per garantire un futuro migliore basato su scelte consapevoli e personali. Ma in generale è questo il mo­mento perfetto per mettersi in gioco e rischiare tutto, dato che non si ha ancora nulla da perdere».

Diceva di aver instaurato un eccellente rapporto con la sua host family, la famiglia Dubs. Che legame ha con loro?

«I miei host parents mi hanno accolta sin da subito come un membro della loro famiglia e mi hanno amata come tale. Sono stati i miei primi migliori amici appena arrivata negli Usa e tutt’oggi sono i miei più cari confidenti. Senza di loro quest’esperienza non sarebbe stata la stessa: non mi hanno mai fatta sentire sola e mi hanno sempre capita e supportata, proprio come farebbero dei veri genitori. I miei host kids sono ad oggi i miei fratellini più piccoli. Mi vedono come un modello, una sorella maggiore e amano condividere con me più momenti possibili. Ma la verità è che attraverso i loro occhi da bambini e le loro emozioni genuine sono io, tra i tre, quella a imparare di più. Vivere con dei bambini così dolci e sensibili mi insegna ogni giorno a vedere le cose sotto un’altra prospettiva e gliene sono immensamente riconoscente».

A colpirli è stata anche la sua bravura nella preparazione dei dolci.
«Proprio così! Per Natale ho preparato il classico pandoro a strati ripieno di crema al mascarpone e ne sono andati matti. Ho rivisitato la classica versione del banana bread americano e l’ho fatto più volte in versione più salutare, ma ammetto che i bimbi lo preferiscono con le gocce di cioccolato, giustamente. Ma il dolce che più gli piace è il tiramisù. Nonostante debba sempre curiosare tra vari supermercati per trovare i savoiardi giusti, questo dolce è sempre il mio porto sicuro quando voglio farli felici».

Qual è invece il rapporto con la sua terra d’origine e con Vico­forte?

«Vicoforte è un paesino che porto nel cuore, anche se l’ho sempre vissuto come un luogo di passaggio. Lo reputo il mio trampolino di lancio, il paese in cui, nella mia cameretta, scrivevo dei miei sogni e delle mie aspirazioni mentre leggevo libri che mi facevano viaggiare».

Cosa sogna, in generale, per il futuro?

«Non posso negare che dopo aver viaggiato per due anni senza fermarmi e aver consolidato una volta per tutte questa mia passione, il mio sogno è quello di poter lavorare viaggiando. Ancor meglio se aiutando altre persone a vivere ciò che ho vissuto io e a sperimentare scambi culturali memorabili».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo

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