Oggi (giovedì 27 giugno) Sebastiano Barisoni sarà ospite a Pollenzo per moderare la decima edizione del Food Industry Monitor, osservatorio sul settore food & beverage realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche e Ceresio Investors. ‘Dieci anni di food italiano’ il tema dell’incontro, e proprio da qui siamo partiti nell’intervista con il vicedirettore di Radio 24, conduttore di ‘Focus Economia’. «In questi dieci anni – ci ha detto subito Barisoni – assieme all’export è raddoppiato anche l’italian sounding. E non è poi una cattiva notizia».
Italian sounding, ovvero il fenomeno degi alimenti e bevande etichettati come italiani, in realtà non prodotti in Italia: perché dovrebbe essere una buona notizia?
«Perché, al di là del fatto che questo fenomeno ci danneggia su vari mercati, va preso come una conferma indiretta della buona tendenza per l’agroindustria italiana, sia nel vitivinicolo che nella parte alimentare: nessuno intende fare il sounding di un prodotto che non sia di tendenza. Come fare? Bisogna solo continuare ad andare avanti con le tutele ed eventualmente anche con gli accordi bilaterali per le nostre produzioni tipiche, cercando di avere una maggior penetrazione nei mercati che si conoscono meno».
In che modo?
«Il nostro posizionamento di fascia alta, a mio avviso, aiuta. Cioè, faccio per dire, se un consumatore vede che la mozzarella del Wisconsin costa molto meno della mozzarella autentica italiana – e purtroppo non possiamo tutelarla a livello di denominazione – almeno cerchiamo di lavorare sulla qualità. Una qualità che quindi giustifichi il prezzo».
Festeggiando il ventennale dell’Usg a Pollenzo, Carlin Petrini ha accennato alla necessità di una nuova mentalità in questo settore.
«L’esperienza di Pollenzo è stata importantissima, a maggior ragione da valorizzare adesso quando notiamo che c’è carenza di profili professionali formati. Loro sono partiti in anni non sospetti creando una specializzazione che si sta rivelando oro puro. Oggi in tutti i settori d’impresa, dall’industria alla metalmeccanica, si cerca di fare scuola di formazione, in primis per persone dts (digital transformation society, ndr). Ora, se vogliamo mantenere i livelli di export, dobbiamo lavorare sulle tradizioni globali. Qual è il problema? Che a volte abbiamo produzioni di grandissima qualità ma che sono rimaste di nicchia».
Un vantaggio che è anche un limite?
«Dobbiamo stare attenti al tema del chilometro zero. Nel senso che è importantissimo, perché invita a consumare prodotti locali e tutela la stagionalità – su cui proprio Slow Food ha molto insistito – soprattutto nell’ortofrutta. Siamo lentamente arrivati a una maggiore riconoscibilità dei prodotti del territorio e non in generale (mi riferisco al prosciutto di Parma mangiato in Sicilia o il caciocavallo mangiato in Trentino). Però dico, attenti alla sostenibilità del prodotto quando esportiamo. Cioè non possiamo ovviamente puntare sul chilometro zero, ma sulla qualità e sul prodotto artigianale anche se magari realizzato con numeri industriali».
Dov’è il punto di equilibrio tra qualità e prezzo?
«Se devo affrontare la concorrenza di finte mozzarelle o finti prosciutti (nel senso di non italiani), al di là della qualità che do per assodata come prima risorsa, l’altro tema deve essere un po’ il prezzo. Se continuiamo a posizionarci sulla fascia medio-alta, questa è in tale espansione a livello mondiale che è già un bel posizionamento.
Esportare facendo concorrenza sul prezzo significa che poi diventa difficile mantenere la qualità».
Come evolve il mercato internazionale in questo settore?
«Vediamo segnali interessanti per l’agroalimentare italiano anche, per esempio, guardando alla Cina: quei turisti adesso vengono in Italia non più per cercare il loro cibo (come fino a dieci anni fa), ma quello italiano. Penso però anche alle limitazioni di esportazione verso l’India e c’è un tema di peste suina che blocca l’accesso proprio in Cina. Ma non sarei così preoccupato. La produzione di qualità che abbiamo noi, non basterebbe comunque a coprire la domanda mondiale. Meglio mantenere le posizioni alte».
Che cosa pensa della proposta di inserire l’educazione alimentare nelle scuole?
«È positiva se permette di tenere sotto controllo l’obesità che è un problema anche nel nostro paese. Anni fa le famiglie tendevano a mangiare prodotti meno elaborati. Adesso a pranzo non si riesce a mangiare a casa e comunque giustamente è aumentata l’occupazione femminile, quindi un po’ di educazione alimentare servirebbe. Anche sulle merendine, che non vanno però criminalizzate».
Nell’agroalimentare servono nuove specializzazioni?
«Lo vediamo proprio nell’export dove per anni siamo stati convinti che il prodotto italiano sarebbe comunque piaciuto: non è detto che sia sempre così. E poi siamo abituati a pensare di esportare grana e parmigiano, ma faccio notare che in Francia la mozzarella ha superato il camembert e in tanti paesi europei si apprezzano i formaggi freschi italiani, che siano burrata o robiola. E allora c’è bisogno di consulenti per il posizionamento nei vari mercati».
Radio24 ospita le ‘classifiche’. Ad esempio quella degli sprechi di denaro pubblico. Una piaga che interessa anche il food & beverage?
«Non è un settore che si presti troppo a spese ingiustificate. Diciamo che fino a dieci anni fa c’erano molte missioni all’estero – secondo me inutili – da parte delle regioni per promuovere prodotti e turismo. Ma in mercati tipo la Cina il turismo va promosso come Paese, altrimenti non ha senso. Spesso vedevamo delegazioni composte anche dai parenti degli assessori: un chiaro spreco di risorse. Fortunatamente non stiamo più raccontando storie del genere, forse c’è maggior consapevolezza».
Altri segnali positivi?
«Vedo molta attività di soggetti istituzionali partecipati, mi riferisco all’Ice (Istituto per il commercio con l’estero), ma anche al Sace (Servizi assicurativi del commercio estero). Dopo anni in cui si riteneva che lo Stato – a differenza di quanto accade in Francia – entrasse poco sui mercati, posso dire che c’è stata una bella rivoluzione. L’Ice è passato sotto il Ministero degli esteri e questo può garantire maggior coordinamento e sinergia tra la rete di rapporti commerciali e tutta l’attività diplomatica».
CHI È
Giornalista radiofonico nato a Roma ma cresciuto in Veneto, conduce ogni giorno ‘Focus Economia’ su Radio 24, programma di approfondimento sui mercati, tra attualità e opinioni. Dal 2013 è vicedirettore esecutivo di Radio 24, emittente del gruppo Sole 24 Ore
COSA HA FATTO
Dopo tre anni di esperienza molto formativa a Londra presso Bloomberg Television, dal 1999 è approdato a Radio 24. Nel 2020 ha scritto il libro ‘Terra incognita’ sul dopo Covid. Nella foto (del 2022) è a Fontanafredda assieme al
presidente di Nomisma, Davide Tabarelli
COSA FA
A Pollenzo sarà moderatore sul tema del Fim 2024 ovvero: ‘2015-2024. Dieci anni di food italiano’ dedicato a un’analisi di ampio respiro sull’evoluzione del food italiano nell’ultimo decennio (l’osservatorio è partito esattamente dieci anni fa, nel 2014) integrata da una riflessione – basata su evidenze quantitative – sulle possibili traiettorie di sviluppo di medio periodo