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«Al S.Croce e Carle tante nuove sfide per crescere ancora»

Abbiamo intervistato Lorenzo Angelone, che dal prossimo 15 luglio assume il ruolo di direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera cuneese: «Le logiche che il direttore Tranchida mi ha indicato sposano i miei desideri»

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Nelle scorse settimane il direttore generale del San­ta Croce e Carle di Cuneo, Livio Tranchida, ha nominato il nuovo direttore sanitario dell’Azienda Ospe­daliera. A ricoprire il prestigioso incarico, dal prossimo 15 luglio, sarà il dottor Lorenzo Angelone, attuale direttore sanitario presso l’Azienda Ospedaliera Uni­versitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e in precedenza direttore del Distretto Area Metropolitana Sud dell’Asl To3. A pochi giorni dalla presa di servizio, Rivista IDEA lo ha intervistato sulle emozioni del nuovo incarico e, in generale, sulle linee guida della sua direzione.

Direttore, con quale spirito si approccia ad affrontare questa nuova esperienza?

«Nei colloqui avuti con il direttore generale Tranchida mi sono state proposte una serie di idee e di progettazioni che si vogliono implementare in maniera ulteriore, nonostante l’Ospedale di Cuneo abbia già performance di primo livello come hub del territorio ma non solo. Mi è stata inoltre presentata anche la sfida futuristica del nuovo Ospedale, su cui però non mi esprimo oltre perché non conosco ancora i dettagli. Le logiche che mi sono state prospettate sposano insomma i miei desideri di continuare a svolgere un ruolo come quello di direttore sanitario in una grossa azienda. Questo non vuol dire che gli stessi stimoli non ci siano in Città della Salute, ma nel nostro lavoro bisogna anche cambiare e proiettarsi in contesti completamente diversi per cercare di portare l’expertise che uno ha sulle spalle e imparare nuovi metodi di approcciarsi e di sviluppare progettazioni con altri colleghi che operano in contesti sanitari differenti, come può essere il S. Croce e Carle».

Sono proprio questi nuovi stimoli gli aspetti che più la incuriosiscono?
«Effettivamente sì. Vengo dalla Calabria, ma sono da trent’anni in Piemonte e ho sempre accarezzato poi l’idea di andare a lavorare in provincia di Cuneo. Questo per una serie di ragioni. Abito a San Secondo di Pinerolo, so­no più verso il confine con la parte cuneese e ho sempre frequentato Saluzzo, Barge e Bagnolo Piemonte. Mi piace tanto la montagna. Ho avuto anche la fortuna di iniziare a lavorare nel pubblico negli anni 2000 nelle Valli Chi­sone, Germanasca e nella Val Pellice, quindi professionalmente mi sento legato a delle strategie che in qualche modo aiutano o hanno una visione più strutturata per i territori di montagna o di alta montagna».

Questo discorso potrebbe riguardare anche il S. Croce e Carle?

«Anche per il S. Croce e Carle è inevitabile che si possano e anzi si debbano fare delle intersecazioni e delle concertazioni con l’Asl territoriale. Spero che la mia esperienza ventennale da direttore di distretto, la conoscenza delle dinamiche e del territorio possano rappresentare un apporto di valore per l’Azienda. Insieme al direttore generale Tranchida, al direttore amministrativo Gior­gio Rinaldi e a tutto lo staff lavoreremo per erogare al meglio le prestazioni sanitarie e le assistenze di presa in carica del cittadino».

Quali saranno in linea di massima gli obiettivi della sua direzione?
«Gli obiettivi saranno sicuramente quelli che verranno declinati dalla Regione e quindi già abbiamo un’idea su tutto ciò che si dovrà perseguire per poter dare una logica di sistema a livello regionale. Evidentemente, poi, sarò in ascolto sia per le grandi opportunità sia per le criticità da affrontare. Come dicevo, ho sempre lavorato in squadra. Mi piace ascoltare tutti e concertare, se poi non si trovano le linee di indirizzo – che sono quelle dettate dalle necessità e dai bisogni di salute della popolazione da una parte e dalla Regione che è il nostro mandatario dall’altra -, allora svolgo il mio ruolo e decido insieme alla direzione».

Centrale, per la continua crescita del personale sanitario, è il discorso della formazione. Quanto è importante dal suo punto di vista questo aspetto?
«La formazione, sia in aula che sul campo, è fondamentale. Se posso, in qualche modo cerco sempre di perorare quella sul campo perché si crea un’empatia tra le persone che porta a svolgere le attività anche per passione. Il sistema informatico funziona, ma forse a volte è un tipo di formazione che serve per andare a riconoscere la parte creditizia, come prevede la normativa, e non quella più sostanziale, per la quale tengo invece ad un confronto diretto e ad una risoluzione dell’eventuale criticità che sia più repentina e che lasci traccia».

Continui.

«Credo nel pathos delle persone e quindi in quella trasmissione di intenti che ognuno di noi come professionista nell’ambiente sanitario deve avere e deve perorare. Ce la metterò tutta a far capire che per me questo è di fondamentale importanza per cercare di risolvere i problemi che oggi sulla sanità sono abbastanza eclatanti, a partire dalle liste d’attesa o dalla presa in carico del cittadino».

A tal proposito, come si pone invece sul tema del rapporto che il personale sanitario deve avere nei confronti del paziente e dei suoi famigliari?
«Parto dal presupposto che chi viene in ospedale lo fa perché ha necessità di un bisogno. Spesso il paziente è contornato da una famiglia molto presente, in altri casi no. Il percorso deve essere mantenuto in egual modo da parte del personale sanitario in entrambe le situazioni, ap­procciandosi e cercando di spendere una parolina buona, anche ecclesiastica, che rientra in quella medicina pastorale che serve. Una volta si sosteneva che quanto dicevano in un paese il medico, il maresciallo e il prete fosse indicatore delle linee guida del comportamento della società civile di quel paese. Sono all’antica da questo punto di vista e ci credo: con le parole si può dare speranza e instaurare un rapporto empatico. Poi c’è gente che vuole sentire e altra che preferisce non farlo, ma nella mia esperienza prevale il primo caso».

Arriverà a Cuneo dopo quattro anni alla Città della Salute e della Scienza di Torino. Cosa conserverà di questa esperienza?
«Conservo la grande determinazione e la collaborazione del mio direttore generale, il dottor Giovanni La Valle, che ringrazio. Mi ha trasmesso una serie di nozioni, anche di tipo tecnico-operativo, assai preziose. Porto con me poi la grande collaborazione con tutti i professionisti dell’azienda Città della Salute – in particolare con i direttori di dipartimento, di struttura complessa e dipartimentale semplice -, anche se purtroppo non ho avuto modo di conoscere personalmente l’intera filiera operativa. Ci tengo poi a ringraziare il Dipsa, il sistema infermieristico, che dipende direttamente dalla direzione sanitaria. Con il direttore di struttura e con 7-8 dirigenti abbiamo fatto grossi miracoli nell’armonizzare e rendere più dinamico un sistema che a volte è un po’ ingessato. In un momento difficile, in cui la professione infermieristica viene un po’ disattesa da parte dei giovani per tutta una serie di motivi, su tutti un riconoscimento economico che lascia il tempo che trova, la sfida futuristica è anche motivare adeguatamente il suddetto personale in modo da rendere sempre fluida l’assistenza alla popolazione».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo